In Gran Bretagna debutta il TERFOR, la nuova task force del governo inglese
Londonistan, di Annalisa Robinson
Annalisa Robinson David Cameron
Il TERFOR non è né un nuovo analgesico né una nuova tassa, bensì la task force (Tackling Extremism and Radicalisation Task Force) formata da David Cameron dopo l’assassinio del soldato inglese Lee Rigby, allo scopo di contrastare l’influenza del radicalismo islamico nei suoi tradizionali luoghi di indottrinamento: scuole, università, prigioni, moschee. Presentando l’iniziativa, Cameron ha parlato della necessità di bloccare quella che è una vera e propria “catena di montaggio per la radicalizzazione” dei giovani. Quindi il gruppo studierà misure quali il divieto agli estremisti di predicare in sedi ufficiali, rendendo i leader delle moschee e dei centri islamici responsabili per le esternazioni dei predicatori; affronterà l’annosa e frustrante questione di come deportare i predicatori d’odio stranieri (cosa praticamente impossibile, visto che sia i tribunali britannici che quelli europei si sono regolarmente espressi a favore di questi ultimi in nome dei loro diritti umani); incoraggerà i musulmani a informare la polizia riguardo ad apologeti e fiancheggiatori del terrorismo; sosterrà le moschee e le comunità che vogliono liberarsi degli estremisti ostacolando le attività di questi ultimi e offrendo aiuto dal punto di vista legale, il che comporterà costi notevoli. Del TERFOR fanno parte il vice Primo Ministro Nick Clegg, il ministro degli Interni e il cancelliere dello Scacchiere, ma Cameron ha sollecitato idee e strategie anche dai ministri della Pubblica Istruzione, delle Università e della Giustizia, nonché dal ministro per la Fede e le Comunità, Baronessa Warsi (che è appunto musulmana). Il TERFOR comprende, oltre ad alti funzionari dei servizi segreti MI5 e della polizia, anche leader religiosi moderati.
E “moderazione” sembra essere la parola d’ordine. In pratica, David Cameron si propone di combattere l’Islam radicale con l’Islam moderato: “Dobbiamo incoraggiare una chiara condanna da parte di quei gruppi ai quali le persone più vulnerabili alla radicalizzazione potrebbero prestare ascolto.” Un indispensabile corollario del corteggiamento di cuori e menti è rappresentato dalle consuete banalità che i governanti non possono esimersi dal pronunciare, tipo l’immancabile luogo comune secondo il quale “l’Islam è una religione di pace”.
Con tutta la buona volontà, non riesco ad avere grandi speranze per il TERFOR, anche se spero sinceramente di sbagliarmi. In primo luogo, le giovani generazioni non hanno bisogno di ascoltare fisicamente i predicatori dell’odio “in sedi ufficiali”, visto che questi ultimi si servono abilmente della rete, dei social media, di adunanze organizzate tramite il passaparola, e anche di una sorta di apostolato personale, one-to-one.
In secondo luogo, è vero che in diverse occasioni preziose informazioni riguardo ad attività di stampo terroristico sono state fornite proprio da musulmani – ad esempio, nel caso della parrucchiera di Manchester che, con il marito, progettava attacchi a obiettivi ebraici con ordigni fatti in casa, fu proprio un parente stretto ad allertare la polizia ed evitare il peggio. Ma in generale, le comunità musulmane (come altre comunità etniche o religiose) sono piuttosto chiuse se non omertose, a volte deliberatamente non integrate, e nei limiti del possibile tendono a sistemare le cose al loro interno. Quindi, cosa succederebbe concretamente se qualcuno segnalasse alla polizia un imam che incoraggia il terrorismo? Quali scenari? Senza andare troppo lontano, ricordiamoci cosa succedeva nell’Irlanda del Nord ai sospetti informatori della polizia.
Lee Rigby, decapitato da un terrorista islamico
Non aiutano le strambe dichiarazioni del ministro degli Interni e colonna portante del TERFOR, Theresa May, che è arrivata a dichiarare di voler perseguire coloro che “fomentano l’odio ma non incitano alla violenza” (http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/terror-in-woolwich-theresa-may-moves-to-ban-extremists-who-dont-advocate-violence-8632652.html) e ad annunciare iniziative di difficile attuazione: ad esempio, non solo il bando di certe organizzazioni radicali, ma anche regole più rigide riguardo al loro accesso a Internet. Il problema è che attualmente il ministro degli Interni ha il potere di mettere al bando organizzazioni in qualche modo collegate al terrorismo, come la ben nota al-Muhajiroun, resa illegale nel 2010; ma non ha nessuna autorità per agire contro organizzazioni sospettate di incitare “all’odio e alla divisione”, e per molte organizzazioni la propaganda non arriva a sostenere direttamente il terrorismo, ma si ferma ad appena un passo dal farlo. Il governo sta studiando come aumentare i poteri del ministro riguardo a questa “zona grigia” (in cui non si è, parafrasando il nostro Francesco Merlo degli anni di piombo, né per il terrorismo né contro di esso); ma rimane estremamente difficile, se non impossibile, giungere a una definizione legalmente precisa (e che regga in sede giudiziaria) di “odio e divisione”. Basti pensare alle controversie che hanno circondato e circondano il gruppo Hizb ut-Tahrir, del quale lo stesso Cameron aveva chiesto la messa al bando ben sei anni fa, e tuttora attivo e prospero. O ad Anjem Choudary, portavoce di Islam4UK (ora messo al bando), secondo il quale chi non accetta l’Islam commette “un crimine contro Dio”, ma nondimeno ospitato nel prestigioso programma di approfondimento dell’attualità di BBC2, Newsnight (sollecitando gli strali di Theresa May).
Theresa May, ministro degli Interni
Il ministro si è adoperato per l’introduzione di nuove regole, in base alle quali più di 5500 messaggi inneggianti alla jihad sono stati rimossi da Internet, e pensa di estendere i poteri affidati alla polizia in proposito. Theresa May considera il monitoraggio di Internet come essenziale nella lotta al terrore, e ha sostenuto la necessità di chiedere ai provider di servizi Internet di raccogliere dati riguardo alle visite di certi siti, alle mail, ai messaggi sui social media, alle chiamate su cellulari. Questo atteggiamento, che ha portato alla presentazione del Communications Data Bill in parlamento, ha suscitato le ire dei gruppi che si occupano di libertà civili nonché del vice Primo Ministro e membro del TERFOR, il liberaldemocratico Nick Clegg; ma è sostenuto da parecchi parlamentari di alto profilo, come gli ex ministri degli Interni laburisti David Blunkett, Jack Straw e Alan Johnson, che hanno scritto una lettera aperta al Times dichiarando che “quando si profila una minaccia del genere, il governo ha il dovere di fare tutto il possibile per opporvisi”. Secondo gli ex ministri, il progetto di legge vuole semplicemente adeguare le capacità di combattere il crimine e il terrorismo ai recenti progressi tecnologici; inoltre, non prevede l’accesso ai contenuti dei messaggi, bensì all’acquisizione di dati sufficienti per aiutare gli investigatori ad appurare, qualora si verifichi un attentato terroristico, chi vi sia coinvolto, in che misura, dove e quando.
Ora, la posizione di Clegg si spiega in termini puramente politici e interni al partito liberale, ritrovatosi a tallonare gli antieuropeisti dell’UKIP alle ultime elezioni amministrative, ma potrebbe essere elusa dalla convergenza dei voti conservatori e laburisti, bypassando i compagni di coalizione (come auspicato, nell’interesse nazionale, sia da Jack Straw che dall’ex ministro degli Interni conservatore Michael Howard).
Tuttavia questo è uno spinosissimo terreno per un Paese per il quale la libera espressione del proprio pensiero è un principio fondante. Inoltre, la tradizionale riluttanza degli inglesi ad accettare ciò che viene percepito come una ulteriore erosione della propria privacy, unito al netto rifiuto di collaborare da parte di Google, Yahoo, Facebook e Twitter, fa prevedere controversie e proteste.
Infine: dichiarazioni come quelle di Cameron alla presentazione del TERFOR le abbiamo già sentite e risentite, sia da lui stesso che dai suoi predecessori. Dice Cameron: “TERFOR si propone una valutazione più precisa delle dimensioni del problema, in modo da capire con che cosa abbiamo a che fare e come opporvisi” – e viene in mente una famosa affermazione di Blair: “Risoluti ad agire contro il crimine e contro le cause del crimine”. Dopo più di un decennio, siamo ancora qui, a studiare le dimensioni del problema e a formare comitati, che spesso sono un mero espediente per mostrare al pubblico che si sta davvero facendo qualcosa.
Auguri al TERFOR, ma non credo che predicatori di odio e fiancheggiatori del terrorismo stiano esattamente tremando di paura. Finora le uniche azioni concrete sono state contro coloro che, per fortuna senza uccidere nessuno, dell’Islam hanno un’opinione opposta a quella ufficiale di David Cameron. Gravissimi sono episodi come la bottiglia molotov alla moschea di Grimsby, che avrebbe potuto avere conseguenze molto serie; ma lasciano perplessi azioni come l’arresto immediato, con tanto di manette e furgone, di una signora ottantacinquenne che aveva gridato “Tornatevene a casa vostra” ai fedeli musulmani riuniti davanti alla moschea di Gillingham (Kent) prima della preghiera del venerdì (dimostrazione di una solerzia che è invece mancata subito dopo l’omicidio del soldato). Nel caso dell’arresto di due giovani inglesi non musulmani per messaggi postati su Twitter, la polizia di Bristol ha deplorato i commenti in quanto espressi “contro una sezione della nostra comunità” e dannosi “per la comunità tutta”.
Vero, assolutamente vero, e da condannare; ma dev’essere vero, e da condannare apertamente, per tutti.
Nei confronti dell’anziana signora, nei confronti di altra gente come lei, che rappresenta anch’essa “una sezione della nostra comunità”, non si ritengono necessari né il tatto, né i distinguo, né la ricerca e la comprensione delle motivazioni, né le invocazioni alla libertà d’espressione che vengono usati (e giustamente, per l’amor del cielo) nei confronti dei musulmani quando compiono lo stesso genere di atti. Con un doppiopesismo e un’ipocrisia (per di più di Stato) che finiscono per produrre un effetto radicalizzante anche nella popolazione autoctona, che ha innegabilmente pagato e continua a pagare, in tutti i sensi, un prezzo notevole in nome del multiculturalismo. E allora, Mr. Cameron, chi fomenta l’odio?