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Libero - Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
02.07.2013 Egitto: l'ultimatum dell'esercito a Morsi
cronache e commenti di Carlo Panella, Cecilia Zecchinelli, Francesca Paci

Testata:Libero - Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Carlo Panella - Cecilia Zecchinelli - Francesca Paci
Titolo: «Dietro il caos un’economia che affonda. E il futuro è un’incognita- Poeti, artisti e registi uniti contro la cultura 'velata' - I 370 giorni del Faraone: alla guida senza patente ha sepolto l’Islam politico»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 02/07/2013, a pag. 18, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Dietro il caos un’economia che affonda. E il futuro è un’incognita ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Poeti, artisti e registi uniti contro la cultura «velata» ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " I 370 giorni del Faraone: alla guida senza patente ha sepolto l’Islam politico ".
Ecco i pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : " Dietro il caos un’economia che affonda. E il futuro è un’incognita "

 
Carlo Panella

Dalla rivolta alla rivoluzione: domenica l’Egitto ha fatto il passo decisivo per trasformare un convulso movimento di protesta in una vera e propria rivoluzione. L’am - piezza delle manifestazioni controMohammed Morsi in tutto il Paese - persino a Zagazig, la sua città natale - e poi gli assalti della folla alla sede centrale dei Fratelli Musulmani del Cairo (8 morti) e a tante sedi periferiche, le dimissioni di cinque suoi ministri, indicano una tendenza inarrestabile. L’escalation insurrezionale, aggravata dalla demenziale decisione di Morsi e della Fratellanza di contrapporre piazza a piazza e di scatenare a propria difesa decine di migliaia di propri militanti e supporter armatidi bastoni, è stata perfettamente colta dalle Forze Armate egiziane, che sono intervenute pesantemente dopo una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale (senza la presenza di Morsi che pure ne fa parte), scegliendo la piazza: Morsi ha solo 48 ore per «rispondere alle esigenze del popolo, trascorse le quali l’esercito proporrà una sua road map». Il comunicato è stato accolto con un boato di gioia a piazza Tharir - sorvolata da elicotteri militari imbandierati in segno di omaggio. L’Esercito ha poi arrestato 15 guardie del corpo del capo della Fratellanza Khairat al Shater, chiaro segno di intimidazione. Ma non è il 2011, quando fu semplice alle Forze Armate portare a termine un «golpe di palazzo» - diretto da Omar Suleiman, braccio destro del rais -mandare in esilioMubarak, impadronirsi della forza della piazza e iniziare la tentennante transizione verso la democrazia. Oggi tutto è incancrenito, sulle rive del Nilo. La situazione economica è drammatica, l’inflazioneè a due cifre, le riserve monetarie sono passate da 32 a 14 miliardi di dollari per tamponare i buchi di un Paese che non produce più: l’elettricità scarseggia, le poche fabbriche sono ferme, i turisti - spaventati dai bacchettoni inferociti in turbante - scelgono lidi più accoglienti di Marsa Alam, Sharm el Sheik e le Piramidi; la disoccupazione è galoppante. Ma si è incancrenito soprattutto il quadro politico. La totale incapacità di governare con un minimo di efficienza e di decenza da parte di Morsi e della Fratellanza sono sotto gli occhi di tutti. In un anno hanno saputo solo accaparrarsi tutte le cariche dello Stato e dell’amministrazione,dandoper lo piùprova della stessa corruzione - e inefficienza - dei tempi di Mubarak. Unica loro preoccupazione è islamizzare il Paese, introdurre la sharia nella Costituzione, lasciare che le torme di islamisti perseguitassero impunemente i cristiani (10% degli egiziani) e imusulmani sciiti (5 uccisi la settimana scorsa). Ma c’è poco da aspettarsi anche dai partiti dell’opposizione «laica». El Baradei parla molto ed èmolto ascoltato dai media occidentali, ma in Egitto pochi sanno addirittura chi sia; molto popolare ai tempi di Mubarak, Amr Moussa (già segretario delle Lega Araba), gode di un buon consenso e conosce perfettamente la macchina statale (oltre che i vertici delle Forze Armate) ma ha pur sempre perso le elezioni e soprattutto vede el Baradei come il fumo negli occhi. Amer Shafiq, stretto collaboratore di Mubarak di cui fu anche primo ministro, ha «quasi vinto» le presidenziali contro Morsi, ma è un gerarca dell’ancien régime e vede come il fumo negli occhi sia el Baradei, che Amr Moussa, che Abdel Abu el Fothou, altro candidato presidente perdente. Ammesso e non concesso che Morsi ceda, che rischi di essere linciato dalla sua stessa piazza e chiami sul serio l’op - posizione al governo-mabuona parte della Fratellanza rifiuta di «cedere le armi»- queste eventuali «larghe intese» al couscous non pare abbiano molte chances di poter governare un Egitto vicino all’orlo del baratro.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Poeti, artisti e registi uniti contro la cultura «velata» " 

IL CAIRO — Poeti, scrittori, registi e pittori, scultori e tanti musicisti di tutte le età, tutti egiziani: nella palazzina bianca del ministero della Cultura a Zamalek, l’isola nel Nilo nel centro del Cairo, decine di artisti e di intellettuali sono incollati alle tv e ai cellulari, discutono, entrano e escono, qualcuno si abbraccia. Da pochi minuti l’esercito ha dato l’ultimatum finale al raìs islamico Mohammad Morsi, o almeno di questo sono tutti convinti, anche se il futuro non è certo chiaro.

«Siamo stati tra i primi a dire che si può cambiare, ci si può opporre a questo governo disastroso per l’arte, la cultura e l’intero Paese», ci dice Mohammad Abla, uno dei più quotati pittori egiziani, famoso per i suoi quadri sociali e recentemente per quelli in onore della Rivoluzione. «Il 5 giugno, in una trentina abbiamo preso possesso discretamente di questo edificio in protesta contro il ministro islamico della Cultura, Alaa Abdel Aziz, che aveva licenziato i responsabili più attivi delle istituzioni statali, come i direttori dell’Opera e della Biblioteca nazionali, delle Belle Arti, del settore Libri. E contro la deriva islamica dell’Egitto, volevano perfino proibire il balletto perché anti-religioso». Poi, con il tacito appoggio della polizia ostile al governo e dei dipendenti del ministero che hanno continuato a lavorarvi (qualcuno è stato licenziato in tronco), la palazzina è diventata un centro chiave della ribellione.

«I giovani di Tamarrod all’inizio portavano qui le petizioni firmate dalla gente, li aiutavamo a contarle — continua Abla, membro del “comitato direttivo” della protesta —. Adesso che sarà? Fino a quando non avremo un ministro che approviamo non ce ne andremo. E vogliamo proporre di reggere noi il dicastero, collettivamente, durante la transizione».

«Il nostro è un sit-in permanente, non ci piace parlare di occupazione, l’arte e la cultura libere sono un nostro diritto che non ci riconoscevano e che ci siamo presi pacificamente», continua Ahmed Nabil, giovane ma già noto cantante di musica araba classica, indicando lo striscione sopra al cancello con scritto «L’arte è resistenza». Da quasi un mese dorme nel ministero, e la sera partecipa agli spettacoli offerti regolarmente, due o tre ogni giorno, accanto alle mostre e altre attività.

Spesso arrivano politici della opposizione, da Mohammad ElBaradei a Hamdeen Sabbahi, si tengono incontri e assemblee. E domenica, giorno della Grande Protesta, tutti gli «occupanti» insieme a centinaia di altri artisti hanno sfilato in corteo battendo tra loro zoccoli di legno, gli stessi con i quali nel XIII secolo un gruppo di schiavi ribelli uccise il governatore egiziano Shagarat Al Dor. Non a caso: la via dove sorge il ministero porta il suo nome.

«Ci hanno attaccato in tutti i modi, una trentina di noi sono stati denunciati ma non ci siamo presentati in tribunale, e poi pubbliche accuse, proclami, calunnie ma tranne pochi incidenti nessuna violenza», spiega il poeta in lingua egiziana Zein Abdeldin Fouad, interrompendo una discussione con una veterana della protesta, la regista di documentari Nabiha Lotfi.

«Sono nata nel 1937, fate voi i conti della mia età, e ho visto passare molti raìs – dice la signora Lotfi –. L’unico che si preoccupava davvero del popolo è stato Nasser, anche se certo non era perfetto e per alcune cose era forse un dittatore. Sadat e Mubarak non erano molto meglio di Morsi ma quest’ultimo ha aggiunto la censura religiosa a quella sociale e politica. Per questo, nonostante i miei anni sono qui ogni giorno. Adesso stiamo a vedere. Il mio sogno è che l’Egitto torni ad essere rispettato dal mondo, che sia finalmente libero e in pace».

La STAMPA - Francesca Paci : " I 370 giorni del Faraone: alla guida senza patente ha sepolto l’Islam politico "

Le transenne intorno alla sede bruciata dei Fratelli Musulmani al Muqattam, la montagna a ridosso del centro del Cairo, raccontano meglio di mille analisi quella che oggi sembra a tutti gli effetti la parabola discendente del primo presidente islamista democraticamente eletto nel mondo arabo nonché della sua potente casa madre, l’ottuagenaria organizzazione fondata da Hasan al Banna proprio qui in Egitto.

«Abbiamo dato a Morsi la patente ma lui non sa guidare» ripete da giorni il leader dell’opposizione Mohammed el Baradei. Dopo l’ultimatum dell’esercito, il suo ex sfidante Ahmed Shafik gli concede al massimo «una settimana di vita politica» mentre i ragazzi di Tamarod, anima e corpo della oceanica manifestazione di domenica, prevedono uno scenario ancora più clamoroso, «la scomparsa dei Fratelli Musulmani». Siamo a fine corsa?

Eppure solo un anno fa Mohammed Morsi, non brillantissimo ma certamente uno dei più disciplinati membri della Fratellanza, veniva acclamato dagli egiziani come il presidente della rivoluzione, prima di essere nominato uomo dell’anno dalla rivista «Time» (che poi ci avrebbe ripensato). Allora anche molti liberal si schierarono con lui contro il candidato dell’ex regime Shafik, portando vittoriosamente a tredici (il 51%) i sei milioni di voti irriducibili su cui poteva contare. In realtà, dopo aver conquistato il 47% dei seggi in Parlamento, i Fratelli Musulmani avevano già iniziato a perdere terreno bruciando parecchi milioni di consensi sull’altare del potere.

Com’è accaduto che l’astro del professor Morsi, formatosi in una università americana ma fiero della velatissima consorte Najila, si smorzasse tanto velocemente?

I primi passi erano apparsi promettenti a quella piazza Tahrir che oggi brandisce la sua foto bannata da una X rossa, con il programma di cento giorni per rilanciare l’economia e restituire all’Egitto un posto sul palcoscenico internazionale. Ma già dopo il fortunato ruolo di mediatore nella crisi di Gaza, a novembre 2012, Morsi aveva incrociato violentemente le armi con l’opposizione forzando la mano sul referendum per la Costituzione scritta dagli islamisti e insinuando il dubbio di voler mascherare con la diplomazia estera la propria incapacità in politica interna e l’avidità di potere dei Fratelli Musulmani. Anche perché, nel frattempo, la disoccupazione balzava al 13%, la crescita si fermava al 2,2%, il prestito del Fondo Monetario Internazionale si arenava in un infinito rinvio e l’Egitto, a corto di benzina e di elettricità, guadagnava il 34° posto nella nefasta classifica dei paesi guidata dalla Somalia.

«Morsi è una marionetta, un utile incapace messo lì dai boss della Fratellanza, pare che da anni prenda antidepressivi in seguito a un’operazione alla testa» rivela un ex collega fuoriuscito dall’organizzazione nei mesi scorsi. Alle sue spalle ci sarebbe tra gli altri il potente businessman Khairat al Shater, l’originario candidato della Fratellanza escluso dalla corsa presidenziale all’ultimo minuto, le cui guardie del corpo sono state arrestate ieri dall’esercito egiziano dopo uno scontro a fuoco. I militari hanno sempre evitato lo scontro con gli islamisti dotati di addestrate milizie ma ora l’equilibrio del potere è mutato.

La sede del partito Libertà e Giustizia, alle spalle del Parlamento, è un fortino inaccessibile presidiato da tredici blindati della polizia antisommossa. Nessuno risponde al citofono e i telefoni squillano a vuoto.

«Credo che le dimissioni e il voto anticipato siano la soluzione» ammette Kamel Helbawy, ex Fratello Musulmano e membro importante del ramo dell’organizzazione dove in queste ore la preoccupazione per le sorti del gruppo egiziano sarebbe fortissima. «Tutti i partiti islamisti della regione sono in allarme» osserva Shadi Hamid del Brooking Center di Doha. Il fallimento della presidenza Morsi che l’operaio Sallah accampato da due giorni in piazza Tahrir considera «un tradimento del Corano per bramosia di potere», metterebbe in discussione la capacità gestionale dell’intero progetto «islam politico».

«Sono gli ultimi giorni dei Fratelli Musulmani, libereremo il mondo dal terrorismo come gli americani con tutte le loro guerre non hanno saputo fare», dichiara Mohammed Khamis, uno dei fondatori di Tamarod, fumando una sigaretta dietro l’altra nella sede del movimento assai meno lussuosa di quelle degli ex alleati nella rivoluzione contro Mubarak e oggi nemici giurati. Mohammed ha perso degli amici nella guerriglia scoppiata nei pressi del palazzo presidenziale Ittahadiya lo scorso dicembre e non perdona quella che considera «l’occupazione» dei governatorati, dei ministeri, deivertici delle istituzioni da parte dei Fratelli Musulmani. «Morsi e i suoi compari si sono comportati come quei nuovi ricchi che vengono invitati a una festa elegante per la prima volta e si abbuffano oltre misura» chiosa l’ingegnere Ahmed Mhamoud seduto al Beladi, il caffè dei rivoluzionari in piazza Tahrir. Fuori una folla eterogenea a cui si mescolano anche i proletari di Matareyah, Imbaba, Shubra e Ain Shams, storiche roccaforti islamiste, inneggia all’esercito, l’altra faccia della parabola discendente di Morsi.

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