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Il compromesso fra la mucca e il macellaio?
Cari amici, c'è una bugia consolatoria che spesso sentiamo ripetere sul conflitto arabo-israeliano: che è una questione di terra e di confini, che l'ideologia non c'entra e tanto meno la religione e che dunque un compromesso è possibile, come in tutte le situazione in cui due parti si contendono qualcosa di materiale: basta dividerla, trovare il punto di equilibrio in cui tutti siano ugualmente soddisfatti (o tutti ugualmente insoddisfatti, non fa differenza): magari non sarà un compromesso perfettamente giusto (non ce n'è mai), ma alla fine ci si accomoda e funziona. Così è accaduto per le dispute territoriali fra Italia e Jugoslavia (l'Italia si è tenuta Trieste, che gli slavi volevano, ma loro hanno avuto Istria e Dalmazia, compreso città da sempre italiane come Pola e Fiume), fra Germania e Polonia, Russia e Finlandia, Gran Bretagna e Irlanda, eccetera eccetera. La pace in Europa si fonda su queste mezze ingiustizie dimenticate e chi oggi volesse rivendicare Lussino o Breslau sarebbe isolato come guerrafondaio stupido e pericoloso. Tutto ciò funziona per l'Europa, anche se è costato grandi sacrifici a grosse popolazioni, proprio sulla base della certezza della chiusura delle rivendicazioni, sulla volontà degli stati di assorbire i profughi, sulla scelta di convivere accettando l'esistenza dei nemici e il loro diritto a vivere secondo la propria identità. Tutto questo nella guerra che da cent'anni ormai gli arabi fanno all'insediamento ebraico nell'antica Terra di Israele non esiste e se fino a mezzo secolo fa gli arabi mantenevano memoria della presenza ebraica nel paese, precedente alla loro invasione e tenevano in considerazione quel che anche il Corano riconosce sull'appartenenza di Gerusalemme al popolo ebraico, da quando si è inventata la "Palestina" come nazionalità autonoma (quasi 50 anni fa, con la fondazione dell'Olp) questi dati sono stati progressivamente cancellati e sostituiti da una colossale rimozione dell'ebraismo storico. Al Corano e alla tradizione islamica, che certo non sono teneri con i non musulmani, ma a certe condizioni tollerano l'esistenza dei "popoli del libro" nei territori islamizzati, si è sostituita una ideologia genocida, che si propone l'eliminazione completa degli ebrei dal territorio storico di Israele e in generale dal mondo islamico. E' una delle poche mete ideologiche del panarabismo laico condivisa con l'islamismo e una delle poche vere realizzazioni del periodo postcoloniale in questi paesi. Dove una volta fiorivano comunità di decine e centinaia di migliaia di ebrei, in Iraq, Egitto, Libia, Algeria, Siria, Libano, ora non vi è più nessuno. Di recente si è parlato della comunità egiziana per la morte del vecchio presidente e la nomina di una nuova leader ed è uscito il numero di meno di 50 ebrei egiziani (http://www.jpost.com/Jewish-World/Jewish-News/Egyptian-Jewish-community-elects-new-leader-310195 ), mille volte meno del '48. Anche in paesi apparentemente più tolleranti, come il Marocco, la Tunisia, la Turchia, lo Yemen, il percorso demografico si svolge secondo la stessa traiettoria di estinzione, solo un po' più lentamente. Il semplice fatto che questa distruzione di comunità una volta fiorenti accada dappertutto fra l'Afghanistan e il Marocco, senza eccezioni, dimostra che non è un caso, ma il frutto di persecuzioni, espulsioni, espropriazioni, pogrom. Ma soprattutto dimostra un'altra cosa, che il conflitto è religioso e genocida, che cioè per la grande maggioranza del mondo islamico contemporaneo non vi sia alcuna distinzione fra ebrei e israeliani, cioè che tutti gli ebrei, compresi quelli "buoni" alla Chomsky o alla Falk siano nemici; e che la loro sorte collettiva non può che essere la distruzione. La soluzione finale del problema ebraico per la grande maggioranza del mondo islamico attuale (non importa se sciita o sunnita, "moderato" o estremista, schierato dalla parte dell'Arabia Saudita, di Al Qaeda o dell'Iran) è perfettamente analoga a quella di Hitler, con l'unica eccezione che la conversione degli ebrei è possibile, diciamo in analogia a quel che decisero i re di Spagna e Portogallo con l'eliminazione della popolazione ebraica dalla penisola iberica alle soglie del Cinquecento. Non posso mostrarvi qui tutta l'estensione di questa tendenza. Ne trovate peraltro le prove sparse in tutte le mie cartoline. Voglio solo darvi un esempio: l'Autorità Palestinese, quella buona e moderata, quella con cui bisognerebbe fare la pace, non solo è la stessa che ha stabilito che nel nuovo "stato palestinese" cui ambisce, o che ha già secondo le decisioni dell'assemblea dell'Onu, non debba poter vivere un singolo ebreo (il che trasforma la questione dei confini richiesti in un progetto di pulizia etnica), ma ha preso di recente la politica di porre la condizione, per ogni incontro con delegazioni e giornalisti di tutto il mondo "che non vi siano ebrei". E' accaduto così il mese scorso alla delegazione della città di Torino guidata dal sindaco Fassino, che pure era fortemente sbilanciata a favore dei palestinesi, per essere eufemistici. Continua a succedere coi giornalisti europei, che se hanno nomi che ai palestinesi suonano ebraici non sono ammessi, succede così anche alle delegazioni americane guidate da Kerry (http://www.gatestoneinstitute.org/3783/palestinians-no-jews-allowed ). E' un po' più e peggio di una discriminazione: è razzismo bello e buono. Ma soprattutto è la negazione degli interlocutori, è un indizio chiarissimo che il conflitto non è territoriale, ma religioso, o meglio - diciamola questa parola, perché è giusta: razziale. E che non può esservi un compromesso, come non può esservi compromesso fra il pesce e il pescatore, o fra la mucca e chi vuole trasformarla in bistecche. Per fortuna Israele non è né un pesce né una mucca, è ben deciso a difendersi e sa farlo. Ma la prossima volta che vi capita di sentire parlare di compromesso e di pace, pensateci. Ugo Volli |
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