" La vita sotto il regime "
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
avete idea di che cosa voglia vivere sotto una dittatura totalitaria? Pochi oggi sono coloro che hanno memoria personale del fascismo e del nazismo; molti di più hanno fatto visita in paesi comunisti, prima dell'89 nell'Europa dell'Est o in Russia o magari anche dopo, a Cuba o in Cina. Ma durante queste visite di solito prevale l'esotismo, l'effetto turistico o il trattamento speciale che ricevono le “delegazioni” e non occorre essere vili adulatori delle dittature (come sono stati la grande maggioranza degli intellettuali europei del Novecento) per scambiare l'oppressione più feroce per il paradiso in terra; basta parlare con le persone giuste e vedere i luoghi giusti, evitando accuratamente di entrare in contatto con la gente che fa le spese di questi paradisi, di vedere prigioni o gulag, di provare che cosa significa il tentativo di formulare idee “sbagliate”.
Lo stesso vale per il mondo islamico. Non solo coloro che sono andati da turisti a Sharm o a Luxor, a Saana o a Petra non hanno potuto capire nulla dei regimi che governavano l'Egitto, lo Yemen o la Siria, ma anche i non pochi turisti politici che andavano a baciare la pantofola a Khomeini e ad Assad, ad Arafat o a Gheddafi si sono preoccupati della vita dei sudditi di quelle dittature. Ora buona parte di esse è stata sostituita da guerre civili aperte o striscianti, dove il potere, quando c'è, è tenuto in maniera apertamente violenta. La domanda allora è più semplice: avete idea di che cosa vuol dire vivere nella guerra civile, in una situazione in cui il fronte è dappertutto e nessuno è al riparo dai nemici? Anche in questo caso la risposta della nostra generazione è no, per fortuna. Ma forse è più facile immaginarsi l'orrore diretto della repressione quotidiana, la guerra della dittatura totalitaria.
Vi è però almeno un luogo nel mondo islamico dove la dittatura regge, ed è capace di suscitare sempre nuove illusioni di “moderazione” e “riforma”, così come regge la dittatura comunista di Cuba: è l'Iran, dove da trent'anni il pugno del clero islamico continua a soffocare un paese che una volta era moderno e ancora è pieno di risorse intellettuali e materiali. La mia domanda è: avete idea di che cosa significa vivere in Iran? In un luogo in cui non solo si impiccano gli omosessuali, si lapidano le donne adultere, si picchiano a morte gli oppositori, ma un ragazzo qualunque che non ha fatto nulla di speciale ma magari si veste in maniera un po' diversa dal “normale” può ricevere un sms dal governo che gli dice: “il tuo comportamento non convenzionale e’ stato notato. la ripetizione di un comportamento del genere ti causerà ripercussioni legali“ cioè in parole non ipocrite: il carcere, le torture, magari la morte (http://nopasdaran2.wordpress.com/2013/06/25/iran-sms-regime-minacce/ )?
Difficile per noi anche immaginare la mescolanza dell'odore di antica violenza fisica e la sorveglianza postmoderna da Grande Fratello (quello di Orwell, non quello della Tv) che questa storia comporta. Difficile anche che i giornalisti si mettano a raccontare queste storie, parlano piuttosto di fazioni del regime, fanno gossip su questo o quel personaggio, magari avvertono dei rischi strategici che il regime con l'armamento atomico che persegue con terribile ostinazione porta al contesto mediorientale e in prospettiva anche alla nostra regione (ma più spesso no, raccontano storie consolatorie su una prossima “svolta moderata” o sulla “razionalità poilitica” dewgli ayatollah...). E però è importante capire come si vive sotto una dittatura islamista, soprattutto se non è semplicistica e primitiva come quella dei talebani afghani o delle bande di Al Qaeda che girano il mondo a cercare la riconquista islamica di tutta la terra. In fondo ci sono serie possibilità che un regime islamista si instauri in diversi paesi europei nel giro di pochi decenni ed è bene sapere che cosa rischiamo, se non noi, probabilmente i nostri figli.
Sahar Delijani, L'albero dei fiori viola (ed. Rizzoli)
Per questo mi permetto di raccomandarvi non un link giornalistico, ma un romanzo. Un romanzo che non si vuole esplicitamente politico, che non è militante o partigiano, ma che racconta la vita quotidiana in Iran sotto il regime degli ayatollah. Ne è autrice una giovane iraniana che vive in Italia da qualche anno, dopo essere lei stessa nata in una prigione di Teheran dove sua madre era rinchiusa, Sahar Dedlijani. Il libro (“L'albero dei fiori viola”, Rizzoli, pp.358, € 18) racconta la vita di una famiglia normale, medio-borghese, sotto l'oppressione degli ayatollah. E' una storia di donne, perché il punto di vista è prevalentemente femminile: sono le donne che vedono i loro uomini arrestati e torturati, che subiscono esse stesse la violenza, che cercano di conservare un minimo di normalità. E' una storia di paura quotidiana, in cui il terrore ha odore, sapore, oscurità ancora prima che forma umana: è difficile trovare un libro in cui la violenza psicologica quotidiana dell'oppressione sia più efficacemente fatta percepire. E' naturalmente anche una storia di persone che cercano di vivere normalmente e in parte anche ci riescono emigrando per sfuggire al regime, ci sono amicizie e amori e momenti di allegria, che rendono la storia un romanzo piacevole e tradotto in molte lingue e non un pamphlet politico. Ma quel che conta per noi qui è la verità dell'oppressione, il senso concreto della vita sotto il giogo infinito della dittatura: un libro da leggere, su cui emozionarsi, e intorno a cui meditare.
Ugo Volli