Egitto nel caos, 22 milioni di firme contro Morsi commenti di Carlo Panella, Souad Sbai
Testata: Libero Data: 30 giugno 2013 Pagina: 15 Autore: Carlo Panella - Souad Sbai Titolo: «Un anno di Morsi: l’Egitto pronto a riesplodere - Il popolo è alla fame. Non sarà difficile convincerlo a resistere»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 30/06/2013, a pag. 15, gli articoli di Carlo Panella e Souad Sbai titolati " Un anno di Morsi: l’Egitto pronto a riesplodere " e " Il popolo è alla fame. Non sarà difficile convincerlo a resistere ". Ecco i due articoli:
Carlo Panella - " Un anno di Morsi: l’Egitto pronto a riesplodere"
Carlo Panella
Non solo il Cairo, ma tutto l’Egitto oggi rischia di trasformarsi in una immenso scontro tra piazze, le une contro le altre armate: al Cairo, piazza Tahrir brulica già di migliaia di manifestanti che pretendono le immediate dimissioni del presidente Mohamed Morsi e che imputano - giustamente - al governo della Fratellanza Musulmana il disastro economico in cui è il Paese è precipitato. Sono chiamati a manifestare dal movimento Tamarod “Ribelli”, che sostiene di aver raccolto 22 milioni di firme per far dimettere Morsi. Mahmud Badr, portavoce del movimento con toni solenni ha annunciato ieri: «È finita, il popolo ha fatto cadere il regime. Abbiamo 22 milioni di firme. Chiediamo loro di riunirsi in tutte le piazze del Paese domenica». Ma, a qualche chilometro di distanza da piazza Tharir, nella periferia di Nasr City, davanti alla moschea di Rabia al Addawyia, altre decine di migliaia di manifestanti chiamati in piazza dalla Fratellanza musulmana, con banderuole e bastoni si preparano a marciare contro i Tamarod per «proteggere il palazzo del nostro presidente». Facile prevedere che sarà difficile per l’esercito e la polizia impedire che si scontrino le due fiumane di folla, cariche d’odio l’una per l’altra. Questo è già avvenuto venerdì nel centro di Alessandria, a Sidi Gaber, dove i Tamarod si sono assembrati con intenzioni bellicose sotto la sede dei Fratelli Musulmani. Qualcuno, dalle finestre, ha sparato con un fucile a pallini. La folla inferocita ha subito assaltato e dato alle fiamme la sede del partito di Morsi: due i morti, un egiziano colpito da una pistolettata e un americano, Andrew Pochter di 28 anni, ucciso a coltellate, decine i feriti. Un morto a Port Said durante l’assalto ad un'altra sede dei Fratelli Musulmani. Ma il movimento di protesta coinvolge tutto l’Egitto, sono decine e decine le località in cui si registrano incidenti, soprattutto nell’immenso Delta del Nilo, il polmone verde, disseminato di villaggi in cui le disastrose situazioni economiche a cui l’incapacità del governo ha ridotto il Paese rendono difficile la vita. Il clima del Paese è fosco: la popolazione tutta sente avvicinarsi qualcosa di grave e prende d’assalto i supermercati e i negozi per accumulare scorte, mentre l’aeroporto del Cairo è affollato da migliaia di persone -moltissimi gli egiziani, non solo gli stranieri - che tentano, spesso invano, di lasciare il Paese: «Sembra d’ esse - re a Saigon, il giorno prima dell’ar - rivo dei Vietcong», commenta sconsolato un diplomatico Usa, richiamato in patria, come tutto il personale dell’ambasciata, dal Dipartimento di Stato. Il dato di fatto drammatico è che le due mobilitazioni di piazza ferocemente contrapposte appaiono di uguale forza e disperazione, ma l’una e l’altra sono incapaci di far altro se non di scagliarsi con la violenza contro l’avversario politico. Si fronteggiano dunque due debolezze politiche, non due forze, perché speculare alla manifesta incapacità della Fratellanza di governare il paese, salvo irresponsabilmente chiamare “le masse arabe” a difesa, è la cronica incapacità di una opposizione sempre divisa e frammentata di dare uno sbocco politico alla protesta. Il braccio di ferro spinge sempre di più le Forze Armate (che Morsi ha riformato, mettendone alla guida il fido generale Abdel Fatah al Sisi) a svolgere un ruolo politico, non solo di controllo delle piazze; il portavoce delle Forze Armate Ahmed Ali ha “rassicurato” gli egiziani: «L’esercito protegge loro e i loro beni, consapevole del suo ruolo nel compiere questa missione». A fonte di queste convulsioni, Usa e Europa sanno solo esprimere “preoccupazione”. Pure il disastro del governo Morsi era annunciato e sicuro. Palese la sua totale incapacità di governare la crisi economica e la sua unica, maniacale, preoccupazione di introdurre la sharia nel paese. Pure, Usa e Europa avevano e hanno forti possibilità di pressione su Morsi, se solo avessero voluto giocare con forza e determinazione l’arma di aiuti economici condizionati al rispetto di un minimo di regole democratiche. Ma l’amministrazione Obama, anche in Egitto, ha preferito tergiversare. E così, ormai, l’Egitto brucia.
Souad Sbai - " Il popolo è alla fame. Non sarà difficile convincerlo a resistere"
Souad Sbai
L’Egitto è di fronte al suo destino. La piazza che mentre parliamo si va riempiendo, sarà come altre volte in questi due anni dallo scoppio dei moti di Piazza Tahrir, arbitro del domani di un grande Paese arabo. Il debito pubblico della terra dei faraoni è salito, nel Gennaio scorso, al suo massimo storico superando i 240 miliardi di dollari, secondo la Banca Centrale che ha diffuso i dati di insieme. In crisi economica profonda, l’Egitto a guida Fratelli Musulmani, ha disperato bisogno di pane. E di pace sociale. L’Osservatorio Alimentare Egiziano, come se la realtà già non fosse evidente agli occhi degli analisti, ha reso noto che sempre più famiglie non riescono a sostenere i propri bisogni con i fondi a disposizione mensilmente: dal 74% del 2011 all’86% di fine 2012. Ma è la crisi sociale a fare più paura. I cosiddetti “Tamarod”, i ribelli del post Piazza Tahrir hanno da tempo gettato il guanto di sfida a Morsi, che con due ore e quaranta di schizofreniche parole di fuoco altro non ha fatto se non infiammare una piazza già in ebollizione, che gli ha rivolto delle sonore scarpate al fine di invitarlo ad togliere il disturbo. Mohamed Badr, portavoce della campagna Tamarod che ha raccolto oltre 22 milioni di firme in poche settimane per chiedere le dimissioni del presidente egiziano Morsi ha chiuso la porta ad ogni genere di apertura: «È troppo tardi, non ci sarà nessun dialogo e nessuna trattativa. Ci vediamo in piazza». Così accade che la paura faccia capolino fra le fila degli “uomini di ferro” della dirigenza dei Fratelli Musulmani, tanto da chiamare a raccolta tutti gli islamisti del Paese, per fronteggiare la marea umana che si preannuncia agguerritissima. Le forze di sicurezza di Qalyubiya solo ieri hanno arrestato novanta islamisti armati di bastoni, molotov e lattine di benzina diretti in pullman a Nasr City, sobborgo del Cairo per sostenere Morsi. Ed è così che esplode la violenza nella seconda città d’Egitto, Alessandria. E si odono degli spari. La stampa araba dice, forse a ragione, che si sia sparato precisamente contro i manifestanti. La variabile impazzita? I militari. Che solo la settimana scorsa hanno ribadito, dopo il massacro degli sciiti, che non avrebbero assistito inermi allo scempio del popolo egiziano. Molti, in segreto, solidarizzano con i ribelli perché la fame colpisce anche loro. La piazza, dunque, contro il nuovo Raìs. Contro un sistema di potere teocratico che non sa sfamare un popolo allo stremo, ma ancora capace di rialzare la testa e combattere. Perché gli arabi hanno capito, a loro spese, che i Fratelli Musulmani non sono e non saranno mai la soluzione.
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