Siria: i ribelli non convincono del tutto l'Occidente commento di Angelo Panebianco
Testata: Corriere della Sera Sette Data: 28 giugno 2013 Pagina: 14 Autore: Angelo Panebianco Titolo: «Sciiti e sunniti, la partita dell'equilibrio»
Riportiamo da SETTE del CORRIERE della SERA di oggi, 28/06/2013, a pag. 14, l'articolo di Angelo Panebianco dal titolo "Sciiti e sunniti, la partita dell'equilibrio".
Angelo Panebianco Bashar al Assad
La guerra civile in Siria è in una fase di stallo. Il regime di Assad, dato sull'orlo della dissoluzione solo un anno fa, ha ripreso forza grazie all'intervento attivo di Iran e Hezbollah, alla protezione diplomatica dei russi, e alle divisioni degli insorti sunniti. La guerra civile siriana è una guerra interna al mondo islamico (lo scontro fra sunniti e sciiti) con le potenze sunnite (Turchia, Arabia Saudita, Egitto, Qatar) schierate con gli insorti e quelle sciite (Iran, sciiti libanesi e irakeni) con il regime. È anche una guerra che ricorda da vicino gli schieramenti dei tempi della guerra fredda: con gli occidentali che appoggiano (fino a oggi flebilmente e contraddittoriamente) i sunniti anti-Assad e la Russia che sostiene Assad.
Perché gli occidentali non si sono impegnati con maggiore decisione? Per diverse ragioni Una di esse ha certamente a che fare con la crisi di leadership degli Stati Uniti. L'amministrazione Obama ha verso il Medio Oriente politiche oscillanti. Di sicuro, ha mostrato di essere priva di una qualsivoglia strategia. Poi c'è il problema della scarsa affidabilità dei gruppi armati impegnati contro Assad. La presenza fra le loro fila di Al Qaida fa (giustamente) paura. Ma c'è, soprattutto, un problema di fondo. Quando scoppiò la guerra civile gli occidentali la interpretarono come una conseguenza delle rivoluzioni arabe. Parve allora un conflitto fra combattenti per la libertà e un regime sanguinario. Ma era una lettura semplicistica che non ha retto al tempo. Tanto più che gli occidentali si erano già scottati in Libia. Lì intervennero in forze a favore degli insorti contro il tiranno Uheddafi. Per scoprire subito dopo di avere contribuito a fare della Libia "liberata" un territorio ove scorrazzano bande armate e tagliagola di ogni sorta. Se fossimo ragionevolmente sicuri che in Siria gli insorti sunniti siano in grado costruire un regime politico meno oppressivo di quello di Assad sarebbe un delitto non appoggiarli. Ma sappiamo che le cose non stanno così. A sostituire Assad sarebbe probabilmente un regime islamista di segno sunnita altrettanto oppressivo e pericoloso del precedente. Qualcuno in Occidente ha cominciato a chiedersi: dove sta il vantaggio? Le rivoluzioni arabe hanno portato al potere, dall'Egitto alla Tunisia, movimenti islamisti di osservanza sunnita. Conviene davvero indebolire ulteriormente gli sciiti a vantaggio dei sunniti? O non è meglio che, in Medio Oriente, le due componenti si equilibrino? Poiché in gioco non c'è la democrazia come noi la intendiamo ma solo differenti varianti dell'islam politico, forse è meglio essere cauti. Anche se, in parte, per ragioni sbagliate, abbiamo probabilmente fatto la cosa giusta non sposando fino in fondo la causa anti-Assad.
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