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Come funziona lo “stato palestinese”
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli a destra: Rami Hamdallah
Cari amici,
anche oggi devo parlarvi di un paio di notizie poco diffuse e per niente commentate dalla stampa occidentale e in particolare da quella italiana. Voglio cioè darvi qualche informazione sul funzionamento dello stato palestinese. E' così che bisogna chiamarlo, no? Almeno dopo il voto dell'assemblea generale dell'Onu che l'ha riconosciuto come “stato osservatore”.
Bene, questo “stato” come sappiamo sono due, anche a ignorare la Giordania, che è a maggioranza palestinese, è stata ritagliata dagli inglesi nel Mandato britannico di Palestina con la giustificazione di dare uno stato anche agli arabi che ci vivevano, ma oggi incomprensibilmente è tenuta fuori dal conto di chi vuole “due stati per due popoli”. Sono due: l'autorità nazionale palestinese in Giudea e Samaria e Hamas a Gaza. Come funzioni Hamas non devo spiegarvelo qui io: torture, esecuzioni capitali, impossibilità per le donne delle libertà fondamentali, ingerenza dei “poliziotti” di Hamas addirittura nella pettinatura dei ragazzi, nessun pluralismo politico, una dittatura poliziesca insomma, che è tutta diretta ad alimentare il terrorismo: la fabbriche producono solo razzi, il contrabbando serve a importare le armi, il principale datore di lavoro sono le bande terroristiche. Bene, se ci pensate questo è il solo vero stato autonomo palestinese, senza un sovrano beduino come in Giordania, senza la vigilanza dell'esercito israeliano contro il terrorismo come a Ramallah e dintorni, senza neppure le pressioni americane. Se pensiamo a uno stato palestinese veramente libero diretto dal gruppo dirigente attuale, non importa se di Fatah o di Hamas, dobiamo pensare a Gaza; chi si batte per una “Palestina libera” di fare la sua strada vuole Gaza su tutta la Giudea e Samaria e magari su tutto il territorio israeliano ( Abu Mazen Per il momento Ramallah è un po' diversa da Gaza, nel senso che non produce razzi e non li spedisce sulle città israeliane - perché l'esercito israliano è lì e glielo impedisce.
Come funziona quello stato. E' questo che vi volevo raccontare. C'è un presidente della repubblica, il cui mandato è scaduto quattro anni fa e che nessuno si sogna di rieleggere; c'è un parlamento il cui mandato è scaduto tre anni fa e che nessuno si sogna di rieleggere e neanche di convocare, perché la sua maggioranza è contraria al presidente. E c'è un primo ministro, cui nessun parlamento ha dato la fiducia per le ragioni che vi ho appena detto. Nominato a suo gusto dal presidente scaduto e privo di verifiche parlamentari: democraticissimo. Salam Fayyad
O meglio c'era. Si chiamava Fayyad era stato un economista di secondo piano del Fondo Monetario (non che voglia dire granché, anche lì c'è la lottizzazione nazionale come in tutti gli enti internazionali), aveva un dottorato di un'università americana, anche se di secondo piano. Almeno sapeva l'inglese e conosceva quel tanto di economia che poteva permettergli di capire che una cleptocrazia, cioè una società governata da ladri come l'Anp non può sostenersi a lungo.
Per questa ragione, e per il fatto di mancare di un curriculum terrorista, non avendo mai fatto parte di bande armate né essendo mai stato condannato per omicidio, godeva della fiducia degli americani e del rancore sia di Fatah che di Hamas: che cosa c'entrava con la Palestina quel mollaccione senz'armi? E perché pretendeva di ottenere cose inutili come i bilanci, il rendiconto delle spese, la distinzione fra investimenti produttivi e capricci di lusso dei capataz delle bande? Fatto sta che Fayyad, senza essere uno stinco di santo, per carità, si è trovato sempre più spesso in conflitto con il suo presidente scaduto Abbas, che ne aveva bisogno per offrire al mondo e soprattutto ai donatori un volto rispettabile, ma non lo sopportava per differenza antropologica e soprattutto per sostanziosi conflitti di interesse. Di più, sia Fatah che Hamas, nelle interminabili trattative per la riunificazione, ne chiedevano la testa. E così Fayyad si è spesso dimesso, la sue dimissioni sono state dimenticate o di malavoglia rifiutate, fino a un paio di mesi fa, quando finalmente Abbas si è deciso a eliminarlo. Senza voti parlamentari, sia ben chiaro.
Dopo un bel po' di interregno dovuto a inutilità e indecisioni, non alla necessità di raccogliere una maggioranza come da noi, Abbas si è trovato un altro primo ministro, tale Rami Hamdallah che di mestiere fino a quel momento faceva il rettore dell'università di Nablus, con una formazione anch'egli un po' internazionale (laureato all'Università di Amman, master a Manchester e ph. d. a Lancaster), ma non è un economista né un politico né un diplomatico, all'università insegna lingua inglese. E non ha precedenti per terrorismo, a quel che ne so, anche se è membro di Fatah. Come vedete anche lui scelto per la sua presentabilità internazionale, ma anche per non avere strumenti tecnici per occuparsi della politica palestinese, delle relazioni internazionali e soprattutto del punto critico della politica interna che è la gestione degli aiuti: un figura cerimoniale, messa lì per non contare nulla e non dare fastidio ai traffici del rais.
Per esserne più sicuro Abbas gli ha nominato lui due vicepresidenti (nello strano funzionamento dello stato palestinese la composizione del governo non dipende dal suo presidente ma dall'onnipresente Abbas): Mohammed Mustafa che è un suo consulente personale per l'economia (follow the money, seguire sempre i soldi, come dice il proverbio) e Ziad Abu Amr, già ministro degli esteri. Il messaggio era chiarissimo: Habdallah facesse rappresentanza, delle cose serie si sarebbero occupati gli uomini di Abbas. Che infatti si sono messi subito a prendere decisioni, senza neppure informare il loro capo. Che però deve avere un caratterino anche lui perché non è stato al gioco e si è dimesso. Dimissioni non sanzionate dal Parlamento come non lo era stata la sua nomina. Ma prontamente accettate da Abbas, che evidentemente non aveva voglia di avere a fianco un altro rompiscatole dello stile di Fayyad. (http://www.defenddemocracy.org/media-hit/the-exit-of-palestinian-prime-minister-rami-hamdallah-and-the-need-for-real/ )
Vedremo nelle prossime settimane (e mesi e anni) come proseguirà la telenovela, su chi convergerà l'equilibrio fra presentabilità internazionale e fedeltà personale ad Abbas. Questa storia però è importante, perché spiega come funziona il sistema decisionale dell'Anp, anche in cose più serie della nomina di un primo ministro, cioè nelle trattative con Israele e con gli Usa. Di solito si dice “i palestinesi vogliono”, “i palestinesi rifiutano”, “i palestinesi chiedono”. Be', sappiate che non sono “i palestinesi”. E neanche “gli arabi dell'Anp”, se preferite questa terminologia più realistica. E' l'Anp, che non ha nessuna base democratica. Cioè è Abbas, con i suoi capobanda. E se qualcuno cerca di mettere il dito in queste decisioni, quale che sia il suo titolo formale, glielo tagliano.
Ugo Volli |
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