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Rohani e l'inganno iraniano: le paure degli arabi e la passività dell'Occidente (Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Giovanni Quer)
Per capire l'elezione di Rohani alla presidenza dell'Iran, bisogna analizzare la questione iraniana da un punto di vista interno, culturale, politico e sociale, e da un punto di vista diplomatico, in particolare con riguardo alle negoziazioni sul nucleare e al ruolo dell'Iran nella regione. Anzitutto si deve partire dalla pratica culturale sciita conosciuta come "taqiyya", cioè inganno. Sin dalla nascita dell'Islam sciita nella metà del VII secolo d.C., i suoi seguaci sono stati perseguitati dalla maggioranza sunnita. Per la necessità di sopravvivere, gli sciiti hanno sviluppato la "taqiyya", che si manifesta nella "khoda'a", cioè inganno o simulazione, che è un elemento culturale radicato nella società sciita. Da un punto di vista politico, c'è da considerare che il Presidente dell'Iran non ha una funzione pari a quella del presidente di una repubblica presidenziale, dove il capo dello stato è anche capo del Governo. In Iran, il Presidente della Repubblica è la quarta carica dello stato, soggetta a tre livelli di autorità religiosa: il Leader Supremo (Ayatollah Khamane'i), il Consiglio dei Saggi e il Consiglio dei Guardiani della Costituzione. Queste tre istituzioni sono controllate da autorità religiose e sono al vertice della piramide istituzionale dell'Iran, limitando di fatto l'autorità e il potere delle istituzioni elette. I poteri del presidente sono limitati, e tra questi non rientra il controllo del progetto nucleare, soggetto invece al Leader Supremo. Inoltre, il Leader Supremo seleziona i candidati alla presidenza e approva la loro elezione, assicurandosi il controllo sul loro operato. Nel 2009, Khamene'i aveva messo da parte Mir Hussein Musavi, il candidato riformista che aveva vinto le elezioni, nominando il suo candidato preferito, Ahmadinejad, cui erano seguite le rivolte che causarono centinaia di morti. Queste elezioni capitano però in un periodo di cambiamenti sociali e politici nell'intero mondo islamico, e Khamene'i ha confermato l'elezione di Ruhani per evitare altre possibili rivolte tra la popolazione e con l'intento di dare all'Iran un presidente benaccetto all'Occidente, per evitare un eventuale attacco militare. Da un punto di vista sociale, la società iraniana è per la maggior parte laica, con circa il 90% della popolazione che non conduce una vita religiosa, nonostante sembri il contrario a causa del regime teocratico, che è anche la ragione per cui i giovani, che rappresentano la maggioranza della popolazione e nati dopo la Rivoluzione del 1979, abbandonano la fede. I giovani hanno partecipato alle elezioni presidenziali non per spirito di convinzione nel sistema o per apprezzamento di un candidato specifico, ma semplicemente per ottenere il male minore dalla situazione esistente, cioè eleggere un candidato un po' più moderno e moderato rispetto ai tradizionalisti. Per quanto attiene alla politica estera, le negoziazioni con i Paesi occidentali sul progetto nucleare iraniano, che vanno avanti da ormai vent'anni, rappresentano ancora la questione fondamentale nelle relazioni con l'Iran, senza che i Paesi occidentali siano ancora riusciti a fermare la corsa al nucleare, rallentata solo dall'invasione dell'Iraq nel 2003, quando gli iraniani temevano un attacco. Gli iraniani hanno capito però che la tigre americana è solo una tigre di carta, e hanno riattivato le centrifughe, arrivando al punto di creare la bomba nucleare, attraverso la tattica di negoziazione basata sulla "taqiyya" e "khoda'a" (simulazione e inganno). Il ruolo centrale dell'Iran in Siria, dove la guerra civile si è trasformata in una guerra tra sciiti e sunniti, è un'altra questione che l'Occidente ignora di considerare. Infine, Khamene'i è convinto che l'elezione di un presidente dal volto presentabile farà ricredere l'Occidente sulle sanzioni economiche, che hanno avuto notevoli conseguenze interne, ma non hanno portato ai risultati attesi rispetto alla questione nucleare, avanzandosi l'ipotesi di ritirare le sanzioni anche sotto la pressione delle industrie e compagnie occidentali che beneficiano dei rapporti economici con l'Iran. Dal punto di vista di Khamene'i, il nuovo presidente dell'Iran serve a scrivere una pagina nuova nelle relazioni dell'Iran col mondo, attraverso un volto moderato che permetta all'Iran di continuare ad essere uno stato oscurantista e radicale, controllato da un gruppo di ottusi ayatollah che stanno alimentando il conflitto sunnita-sciita e che minacciano la pace mondiale, per favorire il ritorno del Mahdi (l'immam nascosto) in un contesto di caos globale, per il trionfo ultimativo della religione sciita nel mondo. Arabia Suadita, Qwait, Qatar, Bahrein e Emirati Arabi Uniti conoscono le intenzioni dell'Iran, che agisce anche attraverso le numerose comunità sciite che abitano la penisola arabica. L'Iran sciita minaccia di bloccare il movimento delle petrolifere attraverso lo Stretto di Hormuz, il fulcro degli esporti di petrolio dal Golfo. La debolezza americana dimostrata nelle negoziazioni e sui fronti iracheno e afghano, in cui l'Iran ha sabotato i tentativi di instaurare regimi democratici, non fa che aumentare la tensione nella regione, perché gli Stati del Golfo temono che con Obama al potere, nel suo tentativo di assumere un comportamento accettabile agli islamisti radicali, finiranno tutti nella trappola iraniana. Nel Golfo si teme in particolare che gli americani saranno ancora più passivi con Rohani Presidente dell'Iran, pertanto hanno incominciato a reagire: gli Stati del Golfo comprano armi e munizioni con cui armano i ribelli contro Assad, il protetto degli iraniani - l'Arabia Saudita ha comperato di recente missili antiaerei spalleggiabili in Europa per darli ai ribelli in Siria. Allo stesso tempo, i Paesi del Golfo hanno aiutato i sunniti dell'Iraq, che ora tentano di destabilizzare il regime sciita. Il denaro sunnita arriva anche al Libano, per rafforzare, armare e addestrare l'opposizione agli Hezbollah; anche Hamastan a Gaza ha ricevuto mezzo miliardo di petrodollari dal Qatar per non dover dipendere dall'Iran. L'idea di riavviare le relazioni tra gli ayatollah dell'Iran e i Fratelli Musulmani nell'Egitto di Morsi ha già sortito alcuni effetti: l'Arabia Saudita si è affrettata a dare aiuto finanziario alle casse sempre più vuote dell'Egitto perché Morsi potesse restare al potere senza dover chiedere aiuto agli Ayatollah. L'Occidente non conosce abbastanza la cultura sciita e non capisce i motivi più profondi che muovono l'Iran. L'unica via efficace per fermare il progetto nucleare iraniano è circondare l'Iran con tutte le forze navali, aeree e di terra della NATO, e mandare agli iraniani un messaggio chiaro e semplice: "amici iraniani, il vostro tempo è scaduto e la nostra pazienza è finita. Avete una settimana a partire da adesso per smantellare tutto il vostro progetto nucleare, caricarlo su una barca e spedircelo. Tempo una settimana a partire da ora vi bombarderemo a raffica, e abbiamo già puntato il mirino. Ascoltateci attentamente, perché questa volta facciamo sul serio. Non concederemo nessuna dilazione. Avete una settimana, non un minuto di più". Più la minaccia è chiara, più è credibile ed efficace. L'Iran non ha preso sul serio le minacce dell'Occidente, perché non sono credibili. Se non si ferma il progetto nucleare iraniano, il mondo dovrà accettare un Iran nucleare, che terrà sotto scacco tutta la regione, il Medio Oriente e il mondo intero con le armi nucleari nelle mani degli Ayatollah, che credono di essere i rappresentanti terreni dell'Onnipotente. Le armi nucleari nelle mani dell'Iran causeranno il collasso del sistema internazionale formatosi dopo la Seconda Guerra Mondiale allo scopo di prevenire altri disastri globali come la guerra stessa, e il risultato può esser catastrofico per il mondo intero. Hassan Rohani sarà usato per anestetizzare il mondo civilizzato, in modo da renderlo insensibile al fatto che lo stanno distruggendo, secondo il disegno degli Ayatollah. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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