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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.06.2013 Afghanistan, che ruolo potrebbe avere il mullah Omar nei negoziati ?
E quale sarà il destino delle donne? Cronache di Guido Olimpio, Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 giugno 2013
Pagina: 15
Autore: Guido Olimpio - Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Vita, misteri e (forse) miracoli della primula rossa dei talebani - Noi donne in pericolo: mi vieteranno di cantare?»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/06/2013, a pag. 15, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Vita, misteri e (forse) miracoli della primula rossa dei talebani ", l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Noi donne in pericolo: mi vieteranno di cantare? ".
Ecco i pezzi:

Guido Olimpio - " Vita, misteri e (forse) miracoli della primula rossa dei talebani "


Guido Olimpio              Mullah Omar

WASHINGTON — Nulla è certo quando si parla del mullah Omar. A cominciare dal primo giorno. Raccontano che siano nato nel 1959. Forse. In circostanze drammatiche. La mamma, incinta, è in viaggio a dorso di un asinello tra le province di Oruzgan e Kandahar quando è colta dalla doglie. Si corica in un prato e il futuro Comandante dei Credenti viene alla luce, sotto le stelle del cielo. Non è in salute, rischia di morire. Invece la scampa e la sua sopravvivenza sarà citata dai futuri talebani come un segno del destino.

Tenace, duro, Omar diventa un combattente come tanti suoi fratelli afghani e lotta contro i sovietici arrivati a Kabul per domare la ribellione. Resta ferito diverse volte e perde un occhio a causa di una scheggia. Dove e quando cambiano a seconda delle fonti, probabilmente attorno al 1986. Abituato alla vita spartana, non ha un becco di un quattrino e quando deve trovare moglie è costretto ad arrangiarsi per rimediare la dote. Si vende il suo Kalashnikov e offre il ricavato al padre della sposa. Più facile la storia con la seconda moglie, offerta in dono, da una delegazione venuta a trovarlo quando era già ai vertici.

La carriera di Omar è legata agli studi coranici e ai rapporti con i servizi pachistani. A capo di un gruppo ristretto di studenti-guerrieri si trasforma in un leader carismatico e dal largo seguito. Da quel nucleo di miliziani nasce un movimento che, con la benedizione di Islamabad (e degli Usa), spazza via i signori della guerra afghani e conquista la capitale. Siamo nel 1996, data chiave. Una volta al potere impone un sistema di vita severo, mette al bando tutto. Dalle tv ai giochi. E amplia il rapporto con Osama Bin Laden, considerandolo un ospite e un alleato. Un legame che procede, però, su strade parallele. Il mullah ha i suoi interessi, concentrati nello scacchiere afghano-pachistano. Pensa al controllo di picchi e vallate, è quello il regno. L’America è qualcosa di lontano mentre per il capo di Al Qaeda è un bersaglio da abbattere. Differenze che sarebbe cresciute nel tempo e che avrebbero persuaso Omar — insieme alle pressioni saudite — a scaricare Bin Laden. Gli attentati dell’11 settembre fanno saltare l’operazione e l’intervento americano li ricompatta. Entrambi sono ricercati, Washington mette una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa del mullah, peraltro per nulla contento dell’offensiva qaedista. E di certo infuriato per le conseguenze. L’invasione Usa segna la fine del suo regime e lo costringe — secondo la leggenda — ad una fuga precipitosa in motocicletta. Un nuovo miracolo che alimenta la sua fama di leader imprendibile. E introvabile.

Da quel giorno l’ombra di mistero copre il mullah che si fa sentire solo con qualche raro audio. Al punto che non sono pochi coloro che si chiedono: È ancora in vita? Esiste davvero? Qualche comandante talebano, in forma anonima, rivela il suo scetticismo: «Non lo vediamo dal 1999». Altri, specie coloro che sono silurati dagli ordini emessi in nome di Omar, insinuano il complotto: «Si sono impossessati del suo nome e lo usano per dettare le regole al movimento». Chi ha buona memoria ricorda che l’emiro avrebbe sofferto di una forte forma di depressione dopo essere scampato a un attentato costato la vita a due suoi fratelli. Un episodio che forse lo ha segnato per sempre e spinto talvolta a rinchiudersi in se stesso. In realtà il mullah (o la figura che lo interpreta) non smette di governare i talebani insieme all’assemblea, la Shura. Diffidente verso la tecnologia e non solo per motivi religiosi, comunica attraverso alcuni corrieri e un uomo di fiducia, Gul Agha Akhund, il responsabile delle finanze e molto inviso ai suoi «colleghi» col turbante. Mantiene anche la relazione con i qaedisti (lo rivelano le carte di Osama). Ogni tanto arrivano disposizioni precise intervallate da lunghi silenzi che sembrano fatti apposta per tenere vivo il mistero. Nel 2011 voci, poi smentite, sostengono che avrebbe subito un infarto, malanno seguito da un lungo ricovero. Quindi riferiscono del suo arresto da parte dei pachistani che vogliono sbarazzarsi di un personaggio ingombrante. I talebani temono che possano averlo ucciso. Confuse anche le segnalazioni sui possibili nascondigli. Le città di Karachi e Quetta in Pakistan, le zone di confine nell’Est dell’Afghanistan e molti altri posti. Nulla di definitivo.

Le direttive diffuse in questi ultimi mesi hanno fatto discutere i guerriglieri. Il mullah, per prima cosa, ha condannato i rapimenti. Poi ha sollevato dal comando alcuni «ufficiali» che hanno reagito mettendo in dubbio l’autenticità dell’ordine: «Siamo sicuri che sia proprio lui?». Infine si è occupato dei talebani pachistani, con in quali potrebbe innescarsi una faida sanguinosa. Ora tutti si aspettano un segnale sul negoziato con gli americani, trattativa che potrebbe cominciare entro pochi giorni a Doha, Qatar. Un momento chiave che potrebbe riportare Omar a Kabul e magari costringerlo ad uscire allo scoperto.

Lorenzo Cremonesi - " Noi donne in pericolo: mi vieteranno di cantare? "


Lorenzo Cremonesi        Aryana Sayeed, cantante afghana

«Ma ve ne rendete conto? Rischiamo di tornare ai tempi della musica vietata, delle donne che non vanno a scuola, della gente arrestata se canta per la strada! Una tragedia per tutto l’Afghanistan. E un mio problema personale. I talebani al potere mi daranno la caccia. Non potrò lavorare. Dovrò tornare in esilio». Paura? Certo che ha paura Aryana Sayeed. Stella splendente dell’ancora incerto mondo musicale afghano, interprete originale delle antiche tradizioni del suo Paese che negli ultimi due anni è riuscita a imporsi con prepotenza sul suo pubblico con motivi che mischiano classico e ritmi ispirati al rock contemporaneo, Aryana reagisce con preoccupazione alla notizia che gli americani stanno avviando dialoghi diretti con i rappresentanti del Mullah Omar. «E’ un errore dare credito ai talebani. Appena la coalizione internazionale se ne sarà andata si rimangeranno qualsiasi promessa e torneranno a imporre la loro folle teocrazia islamica», dice. Non che sia una sfegatata simpatizzante per Hamid Karzai. Tutt’altro. In genere la politica le interessa poco. «Credo nella musica come veicolo che unifica i popoli e porta la pace», ripete. Però concorda con le critiche espresse dal suo presidente contro la svolta voluta da Barack Obama: «Karzai ha fatto bene a prendere le distanze. Dobbiamo difenderci, abbiamo il diritto di difenderci!».

La sua biografia è quella degli afghani che non vogliono tornare al Medioevo. Nata nel 1985 a Kabul da padre pashtun e madre tajika, ha l’infanzia segnata dalle battaglie tra invasori sovietici e guerriglia mujaheddin. Quando ha solo otto anni, e la lotta di liberazione precipita nella guerra civile, fugge con la famiglia in Pakistan, poi a Zurigo, infine nel Duemila si stabiliscono a Londra. «E’ sul Tamigi che scoprii il mio amore per la musica. Mio padre era ben collegato con la comunità afghana in esilio. Venivo chiamata a cantare per le feste di matrimonio, nei party privati. I miei modelli erano Jennifer Lopez e Amy Winehouse», ci raccontava tre settimane fa in un ristorante di Kabul. La svolta avviene con la decisione di rielaborare in chiave contemporanea alcuni motivi classici del repertorio afghano. «E’ così che sfondai con Mashallah, una canzone d’amore scritta ottanta anni fa. Folk e Rock, fu un successo totale, sono tornata da star nel mio Paese d’origine». Due anni fa compone «Afghan Pesarak», che in Dari significa «Ragazzo Afghano», mischia motivi indiani e pakistani. «Tolo», la più importante televisione nazionale, la invita come ospite fissa. «Il motivo piace, perché con voce di donna parlo al cuore dei nostri uomini», commenta. E intanto rilancia con «Gul-e-Seb», Fiore di melo, un motivo composto nel 1935. Il successo è tale che le affidano un programma tutto suo. Ogni settimana conduce una serata in cui invita almeno due cantanti esordienti. Non è difficile cogliere la sua popolarità. Nel ristorante dove ci incontriamo la riconoscono tutti. Ancora non si è seduta al tavolo che il proprietario fa suonare alcuni dei suoi brani tra gli applausi. Ma con la notorietà arrivano anche le minacce, le intimidazioni. «Da circa un anno mi mandano messaggi minatori. Mi hanno accusato di corrompere i giovani e le donne. Così non ho una dimora fissa. Viaggio di continuo tra Londra e Kabul. Ogni volta sto in una lodge diversa. E non so proprio come andrà a finire. Nel 2014 le truppe Nato-Isaf dovrebbero andarsene. Ma non credo che i nostri soldati siano in grado di rimpiazzarle». Da qui la scelta di passare a canzoni più militanti. In quella che sta preparando, «La donna che siede sul fuoco», recita: «Ho un tal numero di sofferenze che la morte mi sembra un privilegio. Sono un peso per mio figlio, una schiava come moglie e un fardello come sorella».

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