Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 19/06/2013, in prima pagina, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Il barone berciante".
Italo Calvino
Tralasciamo di commentare alcune sottolineature contenute nel pezzo su Italo Calvino. Lo riprendiamo perché la parte che riguarda Israele è interessante se si vuole tracciare un ritratto del suo 'impegno politico'.
Ecco il pezzo:
Roma. Italo Calvino si conferma lo scrittore italiano della seconda parte del Novecento più noto all’estero. Lo dimostra la grande attenzione che la stampa anglosassone, dal Wall Street Journal alla New York Review of Books, sta riservando all’uscita in inglese del suo epistolario, “Letters, 1941-1985”, settecento pagine edite dalla Princeton University Press. Ma attratta dalla biografia del celebre scrittore, la stampa anglosassone scopre pure quanto Calvino fosse opportunista. Molte recensioni calviniane puntano il dito su alcune lettere imbarazzanti, note e meno note in Italia. Non poteva essere altrimenti, visto che Calvino ebbe a definire George Orwell “libellista di second’ordine” e portatore di “uno dei mali più tristi e triti della nostra epoca: l’anticomunismo”. E a Pietro Citati – che a differenza di Calvino non abbracciò la censura del “Dottor Zivago” – il narratore italiano scrisse una lettera in cui deplorava una sua critica dell’ortodossia comunista: “Ma sei matto? Forse ogni sfogo d’ira è giusto e sano, basta che dopo a ripensarci si arrossisca, come spero tu faccia”. La stampa anglosassone, specie quella americana, non poteva rimanere indifferente all’adulazione che Italo Calvino esprime nei confronti dell’Unione sovietica. Alla stazione di Lvov, lo scrittore elogia “le ragazze semplici, non dipinte, allegre”, mentre annota, passando da via Gorki a Mosca: “Cos’ha questa gente di così diverso dall’altra gente che passa per le vie del centro di Milano, di Vienna o di Parigi? Alla prima occhiata, capisco subito che qui c’è una società diversa, sento la presenza d’un elemento nuovo: l’uguaglianza”. Secondo Paul Hollander, autore nel 1981 del celebre saggio “Pellegrini politici”, Calvino fa parte degli “intellettuali che contribuiranno, volontariamente o involontariamente, alla distruzione delle loro società relativamente libere, a causa delle loro illusioni su altre società e a causa delle loro ricorrenti fantasie su nuove forme di liberazione e realizzazione collettive”. Dall’epistolario spiccano anche le idee su nascita e aborto – un coacervo di banale cinismo e fascinazione eugenetica – del mandarino einaudiano: “Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo figlio è voluto, coscientemente e liberamente, dai due genitori. Se no è un atto animalesco e criminoso”. Oppure: “Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri. Se no, l’umanità diventa – come in larga parte già è – una stalla di conigli”. Infine: “Abortire non è soltanto una triste necessità, ma una decisione altamente morale da prendere in piena libertà di coscienza”.
“Contro l’invasore straniero”, cioè ebreo
Ma i recensori anglosassoni, sensibili più dei nostri intellettuali alla questione di Israele, puntano gli occhi soprattutto su una lettera di Italo Calvino datata “Torino, 1968”, mai dibattuta in Italia, e si capisce perché. La lettera è indirizzata a un giornalista giordano, Naouri Amman, in cerca di un editore italiano per gli scritti dei terroristi palestinesi in carcere. Calvino commenta una loro collezione di poesie: “In noi europei il trauma della persecuzione dei palestinesi ha una speciale risonanza, perché i loro attuali persecutori hanno sofferto le persecuzioni sotto il nazismo”. Siamo a un anno dalla fatidica Guerra dei sei giorni, e Calvino accusa gli ebrei israeliani di essere i nuovi nazisti: “Che le vittime del passato siano diventate gli oppressori di oggi è un fatto angosciante. Mi dispiace che nessuno di questi poeti ne parli”. Poi Calvino fa dichiarazione di pieno appoggio al terrorismo palestinese e arabo: “La Resistenza è una battaglia contro l’invasore straniero, e un profondo rinnovamento della società. Volevo chiarire i miei pensieri per confermare la mia solidarietà agli oppressi palestinesi e ai loro combattenti della resistenza”. Pochi giorni dopo scoppierà una bomba al mercato Mahane Yehuda di Gerusalemme. Dodici morti.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante