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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
19.06.2013 Afghanistan: Obama pronto a trattare coi talebani
cronaca di Maurizio Molinari, commenti di Gianni Riotta, Carlo Panella

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Maurizio Molinari - Carlo Panella - Gianni Riotta
Titolo: «Obama, colpo a sorpresa: colloqui Usa-taleban - E Obama si arrese: 'Sì alle trattative coi talebani' - Gli ostacoli che restano sul percorso»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 19/06/2013, a pag. 1-29, l'articolo di Gianni Riotta dal titolo " Gli ostacoli che restano sul percorso", a pag. 2, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama, colpo a sorpresa: colloqui Usa-taleban ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " E Obama si arrese: «Sì alle trattative coi talebani»".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama, colpo a sorpresa: colloqui Usa-taleban "


Maurizio Molinari, Barack Obama

Barack Obama chiude il G8 con un colpo di scena. Durante l’ultima seduta dei lavori del summit, chiede la parola e fa un annuncio che rivoluziona l’agenda e riconsegna l’iniziativa politica agli Stati Uniti: «Inizia il processo di pace in Afghanistan». Quanto Obama spiega viene confermato dalle notizie che arrivano quasi in tempo reale da Doha e Kabul. Il Qatar fa sapere che «i taleban aprono un ufficio di rappresentanza a Doha» dopo due anni di tentativi, il presidente afghano Hamid Karzai annuncia l’invio di una delegazione dell’«Alto Consiglio per la Pace in Afghanistan» per «guidare i negoziati diretti con i taleban» e Zabihullah Mujahid, portavoce della guerriglia, conferma: «I taleban sostengono una soluzione politica del conflitto per ripristinare la pace, vogliamo rapporti con la comunità internazionale».

In una «conference call» da Washington e Lough Erne due alti funzionari americani aggiungono il resto: «Fra 48 ore una delegazione Usa sarà in Qatar per organizzare il primo incontro con i taleban, finalizzato anzitutto allo scambio di prigionieri». A guidare la delegazione Usa sarà James Dobbins, inviato speciale in Afghanistan e Pakistan, mentre fra i taleban vi saranno Tayyab Agha, consigliere del Mullah Omar, e Maulvi Shahabuddin Dilawar. L’interlocutore di Kabul e Washington è la Commissione politica dei taleban, che «include rappresentanti di tutti i partiti e le fazioni» affermano fonti diplomatiche Usa.

A dare il via libera ai taleban è stato il Mullah Omar, già capo del regime che venne deposto nell’autunno del 2001 a seguito dell’intervento Usa in risposta agli attacchi dell’11 settembre, che Al Qaeda organizzò dai campi afghani. Il network di Haqqani, la più feroce espressione dei taleban, non sarà direttamente presente ai negoziati in Qatar ma gli americani sottolineano che «è rappresentato dalla Commissione dei taleban». Fonti della delegazione Usa spiegano che «i taleban si sono impegnati per iscritto ad evitare che in futuro l’Afghanistan possa essere usato per lanciare attacchi contro altri Paesi ed a sostenere il processo di pace» e «questa è stata la premessa per arrivare all’apertura dell’ufficio a Doha» con l’avallo personale dell’Emiro Sheikh Hamad bin Khalifa Al Thani, che rafforza così il prestigio regionale. L’obiettivo dei negoziati, aggiungono le fonti americane, è di «arrivare all’accettazione da parte dei taleban della rottura con Al Qaeda, della rinuncia della violenza, del riconoscimento della Costituzione afghana e della protezione dei diritti di donne e minoranze».

Nell’incontro fra delegati Usa e taleban si parlerà della «restituzione dei prigionieri» frutto di 12 anni di guerra e per il Pentagono ciò significa sperare di riottenere il sergente Bowe Berghdal, scomparso quattro anni fa. «È il primo passo che facciamo su una strada ancora molto lunga ma è un percorso che può giovare alla stabilizzazione dell’Afghanistan ponendo fine a 30 anni di conflitti armati» spiega uno stretto consigliere di Obama, lasciando intendere di puntare a sanare ferite che risalgono all’invasione sovietica. Il «grazie» della Casa Bianca va «ai governi che ci hanno aiutato ad arrivare a questo punto: Germania, Norveglia, Gran Bretagna e Pakistan». È un elenco che alza il velo sui negoziati segreti avvenuti. Il presidente Obama commenta la svolta dopo il bilaterale con il collega francese François Hollande: «È uno sviluppo importante perché per porre fine alla violenza non c’è niente di meglio un processo di pace afghano guidato da afghani» che si sviluppa «in parallelo con la transizione militare e prima delle elezioni del prossimo anno».

L’annuncio del presidente Usa al G8 coincide infatti con la cerimonia a Kabul che vede i governativi assumere la responsabilità della sicurezza dalla Nato. Per la Casa Bianca è l’occasione di rivendicare i progressi della transizione. Il negoziato afghano riconsegna l’iniziativa a un presidente assediato da Datagate e crisi siriana.

LIBERO - Carlo Panella : " E Obama si arrese: «Sì alle trattative coi talebani»"


Carlo Panella                  talebani

Non è l’inizio della fine. Ma può forse esserlo: l’annuncio improvviso di Barack Obama al vertice del G8 dell’ini - zio immediato di trattative dirette tra il governo afghano diHamidKarzai con i talebani afghani è clamoroso quanto inaspettato. I colloqui inizieranno subito a Doha in Qatar –verso cui è già in volo la delegazione di Karzai - e vedranno la partecipazione «a latere» degliUsa. Il mullah Omar ha dichiarato: «Siamo pronti a discutere la restituzione dei prigionieri e la pacificazione». Lo sblocco di una pre-trattativa che dura dal 2006, è venuto quando i talebani hanno offerto garanzie su tre punti: impegno a non attaccare più i Paesi confinanti, a condurre a fondo la trattativa e infine – pare - successo nel coinvolgimento nel percorso di pace anche del potentissimo clan Haqqani, la componente più oltranzista del movimento afghano, che sinora era riuscita a fare saltare –let - teralmente (uccidendo i mediatori) - tutti i tentativi precedenti di accordo. Naturalmente questo noncomporta la cessazione immediata della guerra in Afghanistan, ma è probabile che diminuisca sensibilmente d’intensità. Eccellente prospettiva per gli uomini e le donne del nostro contingentemilitare nella regione di Herat che ancora pochi giorni fahanno pagatounnuovotributo di sangue. Grande notizia , dunque – anche se è prematuro considerarla definitiva - conseguente a ungrandemutamento politico avvenuto nella regione: l’elezione del 12 maggio scorso di Nawaz Sharif alla presidenza del Pakistan. È infatti chiaro da anni che proprio l’ambiguità dei vertici militari e dei Servizi pakistani – in larga parte collusi con i talebani, che furono una loro «creatura» nel 1996 - non solo favoriva apertamente l’azione dei talebani, ma era anche di ostacolo a ogni soluzione politica. Nel 2008, Stephen Kappes, vicedirettore della Cia, si recò a Islamabad e fornì al governo pakistano prove della compromissione di alti dirigenti dell’Isi, il servizio segreto pakistano, con i talebani. Peraltro, Osama bin Laden si «nascondeva » a 200 metri dall’Accademia Militare del Pakistan ad Abbotabad. La ragione di questa scabrosa complicità era duplice:da una parte molti generali pakistani condividono la visione integralistaejihadista dei talebani dalpunto di vista religioso, dall’altra, anche i generali pakistani più laici considerano l’Afghanistan «retroterra strategico indispensabile » per la prossima, immancabile guerra contro l’India per il controllo del Kashmir (dopo le 4 già combattute tra i due Paesi con centinaia di migliaia di morti). Nawaz Sharif, che fu esautorato da un golpe nel 1999 da Parwez Musharraf – leader storico dei generali islamo-nazionalisti - ha vinto le elezioni col programma di interrompere queste compromissioni pakistano-afghane, passaggio indispensabile peraltro per ottenere la fine del martellamento dei Droni Usa sul territorio del Pakistan. Evidentemente ha avuto successo, anche grazie alla collaborazione del comandante delle Forze Armate del Pakistan Parwez Kayani, fiero avversario di Musharraf e dei suoi intrighi.

La STAMPA - Gianni Riotta : " Gli ostacoli che restano sul percorso "


Gianni Riotta

Ogni studente di politica estera impara presto la massima tragica «Afghanistan, cimitero degli Imperi», perché tra quelle giogaie innevate, valli pietrose e villaggi remoti, fierissime popolazioni di guerrieri hanno respinto nei secoli invasioni di Persiani, Greci, Arabi, Turchi, Mongoli, Inglesi e Russi. Ma ogni mito, prima o poi, perde il magico potere: così l’annuncio che dopo 12 anni di guerra tra la Nato e i talebani si avvia finalmente un negoziato di pace a Kabul, non risolverà d’incanto la difficile situazione del Paese, ma già esorcizza lo spettro del passato. Nessun «Impero», stavolta, verrà sepolto in Afghanistan.

Per oltre due anni, con riserbo e senza riflettori, intorno a Doha, in Qatar, ambasciatori occidentali e arabi ed emissari dei capi talebani hanno intessuto un difficilissimo negoziato, provando a chiudere la guerra aperta con l’invasione Nato del 2001 a caccia di Osama bin Laden, quando, per la prima volta, la storica alleanza della Guerra Fredda si batté in campo. Il portavoce talebano Mohammed Naim anticipa il primo passo, limitare all’Afghanistan le pretese di influenza degli estremisti religiosi, dichiarandosi neutrali negli altri Paesi.
Come si è arrivati all’annuncio del negoziato e che previsioni si possono fare ora sul suo andamento? Il presidente Obama e gli alleati occidentali hanno annunciato l’intenzione di lasciare Kabul dal 2014, e una gigantesca ritirata di uomini e mezzi è già in corso sulle tortuose strade di montagna, forse la maggiore impresa di logistica militare dallo sbarco in Normandia a oggi. Osservatori parrucconi e cancellerie inamidate ripetono il mantra «Cimitero degli imperi», ma i talebani, feroci realisti, sanno di non avere vinto, stavolta, la guerra. Malgrado le forze regolari dell’esercito del presidente Hamid Karzai non siano ancora né perfettamente addestrate né perfettamente equipaggiate, e malgrado nei loro ranghi si nascondano talpe fondamentaliste, tuttavia i militari, alleati a milizie locali, sapranno contestare ai talebani la rioccupazione del Paese. A chi ha già dimenticato, val la pena di ricordare che nella Kabul talebana pre 2001, le donne sospettate di adulterio venivano fucilate in pubblico allo stadio con un colpo alla nuca, le bambine scacciate da scuola o accecate con l’acido, rinchiuse in casa con madri e nonne, i maschi obbligati a studiare nelle scuole islamiche ortodosse, le madrasse, o reclutati a forza. Perfino far volare un aquilone, o ascoltare la radio, erano mancanze punite con crudeltà.

Nessuno deve illudersi che il cammino verso la pace, o almeno una forma di tregua incruenta, sia facile, breve, senza tormentati periodi di ritorno alle ostilità. Come sempre nella loro storia, ogni volta che i talebani si sentiranno stretti all’angolo nel ring negoziale, la parola tornerà alle armi. Inoltre non partecipano ancora ai colloqui di pace i Tehreek-e-Taliban, talebani pakistani, alleati ma indipendenti dagli afghani. Il portavoce Ihsanullah Ihsabsaid assicura però che il movimento si asterrà dai raid oltre confine, pur non accettando a priori un eventuale accordo di pace. La tensione in Pakistan, l’influenza dei servizi segreti Isi, non permettono ottimismo, ma almeno non si è partiti con un «no».

Alla fine saranno i delegati afghani, legati a Karzai o ai talebani, a decidere se dar pace al loro tormentato Paese, o se invece anche figli e nipoti dovranno battersi, e morire, senza costrutto. Se oggi esiste una sia pur esile fiammella di pace nel buio di guerra a Kabul, il merito va ai cittadini afghani, uomini e donne che si sono battuti, in condizioni orrende, perché il loro Paese non finisse cimitero non «di imperi», ma di diritti umani. Con loro meritano oggi un elogio i militari della coalizione internazionale che per anni, spesso isolati nei Paesi d’origine, si son battuti non per il petrolio o il colonialismo, ma per aiutare un Paese lontano. I cinici parlano, dal 2001, di «interessi occulti», del misterioso «oleodotto» che la Nato avrebbe dovuto costruire a Kabul e che mai nessuno ha visto. Propaganda: la via della pace resta più lunga e accidentata di una pietraia sulle cime afghane, ma se non è sepolta per sempre, è merito anche dei militari «stranieri». Fra loro le forze armate italiane, uomini e donne che da 12 anni, pagando un prezzo alto in vite umane, ferite, mutilazioni e sofferenze, hanno alleviato la pena degli afghani più poveri, dando, col loro servizio contro la guerra talebana, senso nobile alla nostra Costituzione. Si sono opposti alla follia di «risolvere con le armi le controversie» afghane e internazionali. Da soldati, hanno interpretato l’inno pacifista di John Lennon «Give peace a chance», perché con il loro impegno hanno dato davvero una speranza alla pace.

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