Riportiamo da SHALOM di giugno, a pag. 19, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Sempre gli stessi intellettuali a parlare di Israele".
Angelo Pezzana, Shlomo Sand Amira Hass
David Grossman con A. B. Yehoshua e Amos Oz
Nel 2010 Rizzoli pubblicò “ L’invenzione del popolo ebraico” di Shlomo Sand, un professore di storia contemporanea presso l’Università di Tel Aviv, in quell’anno era già stato tradotto in inglese, francese, russo e arabo, e oggi, a distanza di tre anni, chissà in quali altri paesi. L’autore venne anche in Italia per promuovere il libro, invitato da gruppi e associazioni particolarmente impegnati nell’opera di delegittimazione di Israele, ai quali non pareva vera una occasione così ghiotta, una docente di storia, per di più israeliano, che negava l’esistenza del popolo ebraico. Non conosciamo i dati di vendita, ma per quel libro, a parte le fatiche promozionali della casa editrice sui propri giornali, pochi in verità, l’interesse suscitato deve essere stato piuttosto basso, perché non ha destato le reazioni sperate, pur con quel titolo. Adesso Sand ci riprova con un secondo, quasi un seguito, a giudicare dal titolo dell’edizione inglese appena uscita “ How and When I stopped being Jewish” – Come e quando ho smesso di essere ebreo – il che lascia pensare che il primo fosse la premessa necessaria per rendere credibile il secondo. Non ci occuperemmo però del prof. Shlomo Sand – libero lui di non sentirsi più ebreo, forse è persino un bene - se il suo caso non si prestasse ad alcune osservazioni sullo stato della cultura israeliana in genere, così come viene fatta conoscere nel nostro paese. La domanda viene spontanea, perché un autore del tutto sconosciuto come Sand scrive un libro che potremmo catalogare come ‘fantascienza di seconda mano’, e trova subito un editore importante che lo pubblica anche se il contenuto non vale una cicca, mentre la produzione storiografica israeliana può offrire libri di alto livello che però ben raramente vengono tradotti in italiano ? Ma, qualcuno potrebbe obiettare, David Grossman, Amos Oz, A.B.Yehoshua sono scrittori molto popolari in Italia, tutti i loro libri sono stati tradotti e in gran parte sono best seller, meritatamente elogiati da pubblico e critica, come mai ? Sono sionisti, tutti e tre amano il loro paese anche se lo vorrebbero diverso da quello che è, la loro identità ebraica è fuori discussione, allora perché? Conoscere la storia di Sand ci aiuta a capire quella dei tre famosi scrittori appena citati, ma anche di tanti altri, meno famosi, che si sono fatti conoscere dai lettori italiani. Se per Shlomo Sand il popolo ebraico non esiste, e,quindi, non ha senso che esista uno Stato ebraico - non è difficile immaginare da quale parte gli verrà il consenso. Fatte le debite proporzioni, la chiave che ha aperto la porta del successo a tanti narratori poggia in parte sul loro essere critici verso il governo del proprio paese, anzi, verso tutti i governi, non importa di quale colore politico, perché nessuna leadership politica, fino ad oggi, è riuscita a fare la pace con i palestinesi. I palestinesi, questo è il nocciolo della questione. Il fatto che Israele sia una democrazia pacifica, che non abbia mai voluto conquistare nessun altro popolo, che si sia trovata ad amministrare territori abitati da palestinesi dopo essersi dovuta difendere in tante guerre e abbia fatto di tutto per arrivare a una soluzione che garantisse nello stesso tempo la sicurezza, sono aspetti secondari nelle analisi di chi vorrebbe vedere raggiunto l’obiettivo della pace,subito e senza andare troppo per il sottile su un aspetto tutt’altro che secondario, il fatto che l’altro interlocutore la pace potrebbe non volerla affatto. Gli scrittori israeliani, almeno quelli famosi, scrivono sui nostri quotidiani, Grossman su Repubblica, Yehoshua sulla Stampa, Oz sul Corriere della Sera, i primi due spesso, il terzo occasionalmente, e gli articoli sono sempre interventi sulla politica israeliana e la questione palestinese. La loro buona fede, a differenza di Shlomo Sand, è fuori discussione, Israele è una grande democrazia anche perché al suo interno il dibattito politico non conosce censure né restrizioni, nessun oppositore del governo, anche il più estremo, sentirà mai bussare di notte alla porta di casa, come succede invece in quei paesi che vedono in Israele uno stato da cancellare dalle carte geografiche. Amira Haas,per esempio, la giornalista di Haaretz che ha scritto “lanciare pietre è un diritto per chiunque vive sotto occupazione, è la metafora stessa della resistenza”, poco importa poi se le pietre lanciate contro automobili in corsa procurano la morte dei viaggiatori, come è successo nel 2011 a Asher Palmer e suo figlio Yonatan di un anno, dopo che la loro auto era stata centrata in pieno da una ‘metafora’. Ma in Israele non ci sono solo Grossman/Yehoshua/Oz, e sul versante pro-palestinese Haaretz e Amira Haas, perché i nostri giornaloni non chiedono mai l’opinione di qualche altro scrittore/giornalista che abbia un punto di vista diverso ? Leggiamo sempre che la pluralità dell’informazione è il sale della democrazia, allora perché con Israele la regola è un’altra ? La pluralità diventa senso unico, mentre le radici della delegittimazione di Israele si irrobustiscono anche e soprattutto grazie alla disinformazione di gran parte dei giornali italiani.
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