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Uno scenario irrealistico, ripsonde Ugo Volli 18/06/2013

Gentile Professor Volli,
ha cortesemente risposto al mio dubbio sul quello che dovrebbe essere per lei il futuro dei territori, e lo ha fatto sia nella rubrica della posta sia in una pagina della home-page di IC. Oggi torna sulla questione fugando qualsiasi ambiguità. Bene. Ammetto che la sua "soluzione" al conflitto era quella che effettivamente immaginavo pensasse. Al dilà della differente idea morale alla base del conflitto, (io sono convinto delle ragioni dei palestinesi, lei di quelle degli israeliani), avendo lei avuto la cortesia di rispondermi tanto dettagliatamente mi sembra giusto scriverle per sottolinearle i miei dubbi non sulla moralità della sua visione quanto sulla sua effettiva percorribilità e sui pericoli che comporta. Lei auspica in pratica che uno stato palestinese non nasca mai, che i palestinesi si accontentino dell'autonomia (non dell'indipendenza) in alcune piccole isolette (ossia le città palestinesi) mentre tutto il restante territorio passerebbe a Israele non appena ci fosse una maggioranza ebraica. Israele in pratica modificherebbe i suoi confini di volta in volta occupando, colonizzando e, in seguito annettendo non appena i tempi lo permettano. Ora non starò a sottolineare che queste sono in sostanza le accuse che da sempre si fanno a Israele e che Israele nega (ha sempre detto che le colonie erano pure "misure difensive contro attacchi" e che sarebbero state smantellate non appena la pace lo avesse consentito, lo stesso dicasi per il muro/barriera etc, insomma che Israele fosse favorevole alla soluzione dei due stati appare una balla come gli "antisemiti" hanno sempre gridato, lo scopo di Israele e del sionismo è sempre lo stesso, conquistare, colonizzare e annettere tutto il territorio dal giordano al mare, al massimo consentendo la presenza (possibilmente temporanea) di bantusan palestinesi. Benissimo ma è fattibile questo? la mia risposta è no e credo che il tentativo rischi di distruggere lo stato ebraico. Innanzitutto la soluzione non è praticabile demograficamente. Oggi nel territorio tra fiume e mare arabi e ebrei sono in un rapporto di circa 50% a 50%, (senza contare i profughi!) dunque in assenza di una vera e propria divisione e di un vero e proprio confine il rischio di uno stato unico binazionale sarà sempre più grande. Infatti uno stato come lo immagina lei professore, se democratico e pacifico, porterebbe all'inevitabile aumento della popolazione araba di Israele, perché i palestinesi vorrebbero uscire dai bantusan che lei ha pensato per loro e magari sposare i propri connazionali che sono cittadini di Israele, vivere liberamente, spostarsi etc. Dunque questa Israele del futuro, ammesso che le cose possano andare come lei auspica, cosa quasi impossibile, potrebbe scegliere tra l'autoritarismo più spinto (vietare ai palestinesi che vivono nelle zone autonome di lavorare e vivere nello stato che difatto li ingloba, di sposarsi e trasferirsi etc) o la scomparsa demografica. Ma credo che il problema non si porrà perché Israele non ha più la forza per imporre alla comunità internazionale le sue scelte per due ragioni. La prima è il suo sempre maggiore distacco con i paesi occidentali che sono quelli da cui, piaccia o no, Israele dipende economicamente, militarmente e diplomaticamente. L'europa è già persa, gli usa sono molto più tiepidi, e l'ONU ha già risposto all'idea di Volli con la proclamazione dello stato palestinese. I voti sono stati schiaccianti numericamente, ma se si va oltre i seggi e si guarda alla popolazione appare un dato sconvolgente, oltre il 95% della popolazione mondiale approva le richieste palestinesi e respinge quelle israeliane su "giudea e samaria". La seconda ragione, che si ricollega e interseca con la prima, è il mutato ordine geopolitico globale. Nei decenni passati, in particolare dal 1981 al 2004, l'egemonia Usa e occidentale ha raggiunto il suo picco massimo, oggi è in declino fortissimo. Un mondo multipolare è inevitabile, è già realtà, e tra 5 o 10 anni il blocco BRICS inevitabilmente schierato con gli arabi, sarà così potente che nessuna decisione geopolitica potrà essere presa senza il loro consenso. In un simile contesto l'idea di far passare altri 5, 10 o 20 anni di status quo, colonie e occupazione, senza che questo porti a una durissima reazione politico diplomatica è illogico. C'è infine la questione militare. Lo strapotere israeliano, fino a qualche anno fa incontrastato e imbattibile, è già oggi bilanciato da nuove forze. Hezbollah ha mostrato di essere, differentemente dai vecchi e scalcinati guerriglieri islamici, un esercito efficientissimo e determinato (basti pensare alla guerra del 2006 o a quella attuale in siria), certo non può competere, almeno in una guerra simmetrica, con l'IDF, ma in una guerra asimmetrica può fare grandi danni. Ma dietro a hezbollah c'è l'iran, potenza in crescita tumultuosa, che è passata in breve tempo dal medioevo tecnologico a un progresso sbalorditivo (anche grazie alle sanzioni) e che è oggi una potenza regionale in grado di competere perfettamente con Israele e, in prospettiva, di superarla facilmente, per numero di abitanti, dimensioni e risorse, e dunque anche militarmente. Uno scontro con l'Iran, in prospettiva, risulterebbe disastroso per Israele, se non avvenisse sotto la protezione e l'appoggio incondizionato dell'occidente. E come Israele sia incamminata a perdere il sostegno occidentale se continua a cercare di mantenere lo status quo o di conquistare nuovi territori è evidente. In questo momento le bocce sono ferme perché la siria e la turchia sono ancora in fibrillazione. Se Assad vincerà (come probabile) in siria e erdogan batterà la rivolta in Turchia, gli americani si troverebbero sempre più esclusi dal medio oriente, e russi e cinesi sempre più importanti, a quel punto i palestinesi chiederanno che l'ONU costringa Israele a abbandonare i territori. Gli Usa non potrebbero, anche volendo, sostenere la posizione di volli, dunque Israele potrebbe avere solo due scelte, cedere alla volontà internazionale e abbandonare quelli che l'ONU ha ormai stabilito senza alcuna ambiguità essere territori palestinesi e non contesi come dice il Prof, oppure isolarsi completamente anche dagli Usa e dall'Europa, con le conseguenze economiche, politiche e, soprattutto, militari che ciò comporta per un minuscolo paese, abitato da pochi milioni di persone, circondato da un oceano di stati ostili. Nella sua condizione di personaggio pubblico della cultura ebraico sionista, che comporta delle responsabilità, la invito a riflettere sulla minaccia per Israele di continuare sulla strada dello "status quo" sperando in un miracolo e a analizzare la situazione sulla base della realtà più che dei desideri.

superpollicino@hotmail.com

Risponde Ugo Volli:

Gentile lettore, lei confonde le sue speranze (alquanto suicide, a dir la verità) con la realtà e mi invita a ragionare su uno scenario irrealistico.
Le faccio alcuni esempi. Non è vero che oggi gli abitanti dei territori "fra il fiume e il mare" siano più o meno equamente divisi fra ebrei e arabi. In Israele ci sono 6 milioni di ebrei, più circa mezzo milione di immigrati russi di origini ebraiche non riconosciuti come ebrei dal rabbinato, ma pienamente israeliani per costumi e atteggiamenti, e 1,2 milioni di arabi israeliani.
In Giudea e Samaria si trovano circa 1,5 milioni di arabi (i censimenti palestinesi non sono affidabili, questo è il dato considerato più affidabile sul piano internazionale).
Le natalità ormai convergono, ogni anno vi è il doppio di nati ebrei che musulmani, il bilancio immigratorio è positivo per Israele e negativo per l'Anp. In sostanza la situazione demografica è stabile intorno ai 2/3 a 1/3.
La Siria: lei dà per scontata la vittoria di Assad, che in questo momento sembra in vantaggio, mentre un mese fa sembrava sull'orlo della sconfitta totale. Nessuno sa come finirà, ma è abbastanza certo che la guerra non terminerà presto e che il vincitore non potrà comunque comandare su tutta la Siria.
E' probabile una cantonalizzazione del paese.
Io non faccio il tifo in questa guerra, dove vittima è il popolo siriano e carnefici il regime di Asad e gli islamisti sunniti che lo combattono.
Lei vede infine un blocco compatto antisraeliano, che vorrebbe solo la fine dell'"occupazione". Non è così, il blocco non è affatto compatto, vi è la lotta fra sciiti e sunniti, vi sono nuove nazioni che trovano finalmente una dimensione politica (i Curdi), a livello del grande quadro mondiale le rivalità fra Cina e Russia, Cina e India, Brasile e Argentina ecc. sono solo assopite e impediranno sicuramente un'azione concertata.
Lei poi sottovaluta la forza dell'Occidente e soprattutto dell'America, la cui tecnologia e cultura domina il mondo. Purtroppo la parte del mondo cui apparteniamo è guidata oggi da un leader assolutamente inadeguato come Obama; ma non è detto che l'inettitudine e il disfattismo di questa amministrazione duri per sempre.
Infine, lei sottovaluta l'aggressività islamica, sia per quanto riguarda Israele sia nel quadro globale. I pogrom organizzati dal Muftì di Gerusalemme (quello che si sarebbe poi alleato con Hitler) datano dagli anni Venti, le guerre di sterminio della Lega Araba iniziano nel'48 e proseguono nel '56 e '67, il terrorismo accompagna tutta questa storia.
 L'Olp è stato fondato nel '64, tre anni prima dell'"occupazione". Basta leggere i loro materiali, guardare ai loro simboli, ascoltare le loro trasmissioni televisive: quel che vogliono non è la Giudea e Samaria, ma TUTTA la "Palestina", cioè il territorio israeliano.
Israele lotta per la propria sopravvivenza, nel senso fisico della vita individuale di tutti i suoi cittadini, oltre che nel senso politico. Lo sa benissimo, anche perché ha dovuto farlo prima di nascere, e certamente non cesserà di farlo illudendosi di poter calmare la belva buttandole dei pezzi della propria carne. Ma il mondo islamico non mira solo a Israele, che pure è un bastione e un simbolo: vuole comandare il mondo e in questa marcia al dominio globale di nuovo l'Europa è l'obiettivo a portata di mano.
Il rischio fra vent'anni non è l'isolamento di Israele, ma l'islamizzazione dell'Europa. Tralascio di risponderle sulle sue espressioni propagandistiche su "colonie", "annessione" ecc., perché si tratta di pura propaganda.
Le segnalo solo che ragionando a modo suo, se l'Autorità Palestinese non è lo stato che pretende di essere, neppure l'Italia lo è più davvero.
Forse bisognerebbe imparare a ragionare in maniera più sofisticata rispetto agli stati "sovrani" e impermeabili che sono un'ideologia ottocentesca, che non corrispondeva alla realtà dell'Ancien Régime e non corrisponde alla situazione attuale. Il che impone di ragionare fuori dalle ideologie e di pensare a nuove forme di soggettività politica.

Ugo Volli


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