Iran: non c'è differenza rispetto a prima. Rohani non è moderato commenti di Carlo Panella, Tatiana Boutourline. Intervista al vignettista Mana Neyestani di Stefano Montefiori
Testata:Libero - Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Carlo Panella - Tatiana Boutourline - Stefano Montefiori Titolo: «Ma quale moderato: in Iran non cambia nulla - In Iran Rouhani luccica come un nuovo, furbissimo Khatami - Facebook e parità fra i sessi. Si è imposta la società civile»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 18/06/2013, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Ma quale moderato: in Iran non cambia nulla". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " In Iran Rohani luccica come un nuovo, furbissimo Khatami ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'intervista di Stefano Montefiori al vignettista iraniano Mana Neyestani dal titolo " Facebook e parità fra i sessi. Si è imposta la società civile ". Ecco i pezzi:
LIBERO - Carlo Panella : " Ma quale moderato: in Iran non cambia nulla"
Carlo Panella Hassan Rohani
Acqua fredda a palate su tutti i commentatori politically correct che incautamente hanno salutato l’elezione del «riformatore » Hassan Rohani alla presidenza dell’Iran, profetizzando una svolta moderata sul piano internazionale e interno. Il neo presidente ha infatti subito dichiarato che non intende per nulla rallentare il programma nucleare verso la bomba atomica e di non volere assolutamente ritirare i 5.000 Pasdaran che da mesi massacrano gli insorti in Siria. Poi, ha completato il quadro delle disillusioni fuggendo letteralmente a gambe levate dalla sua prima conferenza stampa - mentre la televisione interrompeva il collegamento, trasmettendo musichette - a fronte della richiesta di alcuni giovani di liberare dagli arresti domiciliari Moussavi, l’ex candidato alle presidenziali del 2009. Rohani ha dunque tenuto subito a dimostrare una inquietante linea di continuità dittatoriale con i suoi predecessori. Due sono i punti focali per capire le dinamiche interne all’Iran: innanzitutto, le elezioni non sono democratiche; poi, tutti i «riformatori », Rohani in testa (come Rafsanjani e lo stesso Moussavi), hanno letteralmente le mani grondanti di sangue innocente. Il voto in Iran infatti è unicamente finalizzato a chiedere all’elettora - to di regolare i conti interni alla umma, alla società islamica. Possono gareggiare solo musulmani devoti (graditi agli ayatollah che eliminano concorrenti a centinaia) ed è esclusa la possibilità di eleggere presidente una donna e men che meno un non credente, peggio ancora un ebreo o un cristiano. Accade così che la grande parte degli iraniani secolarizzati – mu - sulmani solo pro forma - riversino il loro suffragio sul candidato islamico «meno peggio», oggi, Rohani. Questi, dal 1979 sino al 2005 – fedelissimo collaboratore di Khomeini e poi di Khamenei - ha ricoperto le massime cariche di potere della Repubblica Islamica ed è quindi complice in prima persona degli innumerevoli delitti compiuti contro decine di migliaia di innocenti arrestati, torturati, impiccati. Famosoil suo ordinecontro gli studenti che manifestavano per la libertà nel 1999: «Impiccateli! ». Ma l’Occidente, in particolare la sinistra progressista, non vede l’ora di fingere che quella atroce dittatura si presenti con un volto in apparenza moderato e pacioso, in modo da non dover prendere provvedimenti seri. Questo è appunto il caso di Rohani, che è anche un fine diplomatico, sì che riuscì a mettere nel sacco Onu, Usa e Ue nel 2003, quando siglò una moratoria sull’arricchimento del nucleare che servì solo a permettere agli ayatollah di proseguire clandestinamente e indisturbati l’arricchimento dell’uranio per costruire la bomba atomica, come la stessa Aiea ha infine verificato. Rohani ha dunque dichiarato ieri che «l’Iran non fermerà il programma dell’uranio» e ha subordinato il dialogo con Usa e Onu al ritiro delle sanzioni Onu «ingiuste e immotivate». Tutto accompagnato a una generica «speranzadi arrivare sul punto ad un accordo con la comunità internazionale». Resta il fatto che sul piano interno la sua elezione segna una sconfitta secca per il potente blocco militar-politico dei Pasdaran che controlla larga parte dell’economia iraniana e costituisce la principale base di appoggio della Guida Suprema Khamenei. Il vertice della Repubblica Islamica ha dunque dovuto prendere atto che le conseguenze economiche della sua politica aggressiva sono ormai intollerabili per i cittadini che si sono uniti al Bazar per cercare di ottenere una svolta. Questo è il messaggio che le urne hanno consegnato agli ayatollah. Ma non si vede come Rohani possa alleggerire la disastrosa crisi aggravata dalle sanzioni, proseguendo, come ha detto di voler proseguire, sulla politica estera aggressiva e nucleare che è l’essenza stessa della rivoluzione khomeinista.
Il FOGLIO - Tatiana Boutourline : " In Iran Rouhani luccica come un nuovo, furbissimo Khatami "
Tatiana Boutourline Ali Khamenei, Hassan Rohani
Milano. Dimentichiamoci gli insulti e le invettive à la Mahmoud Ahmadinejad, Hassan Rohani, il nuovo numero due di Teheran, è un principe della nomenclatura che sa calibrare ogni parola. La sua prima conferenza stampa da presidente eletto è stata un capolavoro di astuzia e self control. Rohani ha snocciolato parole come “moderazione”, “speranza”, “dialogo”, “partecipazione” con l’espressione paterna e i gesti di un professore. Più che un profeta del “riformismo dall’alto” pareva un campione del “tarof”, quel misto di regole, complimenti e cortesie esagerate che da duemila anni tiene insieme la società iraniana. C’era qualcosa per tutti nel discorso di Rouhani: è stata esaltata la piazza: “Avete cacciato la tristezza e creato condizioni nuove”; è stato onorato l’ayatollah Ali Khamenei: l’accenno al voto come dimostrazione di fiducia nel nezam ricalcava le parole usate dal Leader Supremo sei giorni fa; ed è stata blandita la comunità internazionale: “Ci auguriamo di avere relazioni pacifiche con tutti”. Così mentre Foreign Policy invitava Washington a non perdere il momento e a fare la prima mossa e Rouhani rassicurava che non ci sarà posto per l’estremismo nella sua amministrazione, il caso vuole che Ahmadinejad ricevesse un invito a comparire in tribunale per rispondere delle accuse mosse qualche mese fa contro il capo del Parlamento Ali Larijani. A Teheran un cerchio si è chiuso e un altro se n’è aperto e chissà se ascoltando un reporter tedesco ringraziare Rouhani della sua elezione Khamenei si è rallegrato del nuovo corso di Teheran. Tanto entusiasmo dinnanzi a un politico iraniano non si vedeva dai tempi di Mohammed Khatami e non è un caso che la macchina elettorale di Rouhani sia stata guidata dal “mullah khandan”, il mullah sorridente per definizione insieme all’eterno Hashemi Rafsanjani. E’ stato Khatami a convincere i riformisti che bisognava affidarsi a lui, ed è stato lo Squalo a perorare la causa della “moderazione” tra i conservatori tradizionali. Chissà se, come nel caso della candidatura di Khatami nel 1997, c’è stato un incontro tra Khamenei e Rouhani, un patto per suggellare i confini che la nuova colomba di Teheran non dovrà valicare. A posteriori appare tutto chiaro: la candidatura di Rafsanjani come diversivo da offrire alla mannaia dei falchi, mentre Rouhani si fa strada come il candidato “di riserva”, l’uomo d’apparato al posto giusto al momento giusto. Quali che siano state le trattative nell’ufficio di Khamenei, la vittoria di Rouhani, sorprendente per l’assenza di brogli (almeno evidenti) e per il “fair play” di capi pasdaran e bassiji che pur avevano minacciato Rouhani e il suo entourage, conferma che il Leader Supremo non va sottovalutato. Avrebbe potuto andare per la sua strada e insistere con il suo “fronte della resistenza” a tutto campo e invece il beit, l’ufficio del leader supremo, ha intrapreso un’analisi spassionata delle minacce che deve contrastare: l’insofferenza popolare, la crisi economica, le sanzioni, i rivoli delle diverse primavere regionali. E ha capito che, tra un altro 2009 a base di delegittimazione interna e un nuovo ’97, con un presidente “moderato” che cita Jacques Chirac piuttosto che Hugo Chávez, valeva la pena scegliere il secondo, tornare indietro insomma, per andare avanti. La pena di morte per gli studenti La scommessa per ora sta pagando, l’immagine di Khamenei ci guadagna. L’opinione pubblica pare placata: a Teheran si è festeggiato per le strade con balli e canti. C’è chi non ricorda i silenzi di Rouhani durante la repressione del 2009, né che invocò la pena di morte per gli studenti che manifestarono nel 1999 o nel 2004 definì sprezzantemente la democrazia una copertura americana. Ci sono molti iraniani che, dopo otto anni di Ahmadinejad, vogliono tornare a respirare, anche solo per un momento. La scrittrice Azar Nafisi l’ha definita in un’intervista al Corriere della Sera “la sindrome del carcerato”: se da dietro le sbarre ti chiedono di scegliere tra il secondino che non apre mai la finestra e quello che ti cambia l’aria tutti i giorni, con gioia scegli quest’ultimo. Così negli ultimi due giorni fanno tutti a gara a chi conosce meglio Rouhani, il carceriere buono dalle innumerevoli qualità. Hossein Mousavian, portavoce negli anni in cui il presidente eletto guidava il team nucleare, racconta che non gli piacciono le vacanze lunghe, che legge e studia per rilassarsi e ha un ottimo senso dell’umorismo. Jack Straw, già ministro degli Esteri di Tony Blair, lo definisce sul Telegraph “un diplomatico cortese e molto esperto, deciso ma corretto”, la sua elezione è “una delle migliori notizie che potessero arrivare”. Il russo Vladimir Putin si rallegra, Emma Bonino insiste che Teheran (con Rouhani poi!) debba partecipare alla conferenza di Ginevra 2 sulla Siria e un portavoce americano lo saluta con “sayyed”, un titolo onorifico che sta a indicare la discendenza dal profeta, una discendenza che Rouhani non può accampare (Khatami invece sì e per questo porta il caratteristico turbante nero). Nel frattempo si recuperano copie del libro di Rouhani del 2011: “Sicurezza nazionale e diplomazia nucleare” e si analizzano le sue dichiarazioni alla ricerca di aperture. In questi anni la nuova colomba si è dovuta difendere dall’accusa di essere stata troppo arrendevole (in maniera piuttosto eloquente ha spiegato che mentre si accordava con gli europei tra il 2003 e il 2004, gli anni della conoscenza con Jack Straw, faceva allestire le centrifughe), da presidente dovrà trovare la formula che avvinca l’occidente e non scontenti troppo i falchi. Ieri durante la conferenza stampa ha detto che non è tempo per una nuova sospensione dell’arricchimento dell’uranio, ma che ci sono altri metodi per ristabilire la fiducia. L’ipotesi di “colloqui diretti” con l’America è una “domanda difficile” a cui rispondere con un sorriso possibilista, più esplicita invece la mano tesa all’Arabia Saudita (dove i buoni uffici di Rafsanjani potrebbero tornare utili). Proprio sul finale della conferenza stampa, rimbomba una frase che pare un presagio: “Mir Hossein bayad bashe”, Mir Hossein Moussavi dovrebbe essere qui. Gli iraniani avranno pure la memoria corta, ma gli umori sono mutevoli e la carrozza del presidente potrebbe trasformarsi in una zucca se non rispetterà le sue promesse, soprattutto quelle ambiziose come liberare i sedizionisti.
CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori : " Facebook e parità fra i sessi. Si è imposta la società civile "
Mana Neyestani Una sua vignetta su Rohani
PARIGI — Il disegnatore iraniano Mana Neyestani, 4o anni, vive a Parigi da rifugiato politico dopo avere passato tre mesi nelle carceri di Teheran. La sua vita è cambiata quando in uno dei suoi fumetti uno scarafaggio ha pronunciato una parola di origine azera. «In Iran tutti dicono namana quando non trovano la parola giusta, ma la minoranza azera si è offesa e il regime ha fomentato le proteste». Fuga a Dubai, Malaysia e infine la Francia Che pensa del nuovo presidente Hassan Rohani? «Avrei votato per lui. Non è un riformista, ma almeno è il più moderato dei candidati, ed ha vinto. Sono felice, come i miei amici iraniani». Avrà un potere reale? «Il vero capo resta la guida suprema Khamenei. Ma gli iraniani a favore della democrazia hanno fatto sentire la loro voce, per quanto potevano. Queste elezioni ci dicono qualcosa sulla società iraniana, più che sul regime». Chi ha votato Rohani? «La classe media, credo, tutti quelli come me stufi dello scontro con l'Occidente e delle sanzioni. L'Iran è un Paese complicato dove si trova di tutto, certamente anche fanatici fondamentalisti. Ma la maggioranza per fortuna è un'altra, e le elezioni, per quanto pilotate, lo hanno dimostrato». Che pensano gli elettori di Rohani su, per esempio, la parità tra i sessi? «Nella mia striscia sulla "famiglia Dargir" i personaggi sono a favore dell'uguaglianza tra i sessi, come gli iraniani che conosco. Magari si mettono a litigare sulle Femen, ma succede anche in Occidente». E sull'America e Israele? «La società iraniana è più moderna dei suoi leader. La gente è stanca della propaganda contro il Grande Satana, vuole soprattutto pace e medicine, sempre più rare a causa delle sanzioni. Israele è l'ultimo dei problemi della gente comune. I nostri nemici sono i fanatici del regime, non gli israeliani». Come si tiene in contatto con l'Iran? «Facebook, nonostante la censura. Aggirare i filtri del regime su Internet e captare le trasmissioni via satellite con le parabole illegali fa parte del quotidiano degli iraniani». E' ottimista? «In una delle mie vignette mostro Rohani che impugna una chiave, il simbolo della sua campagna elettorale; solo che la porta da aprire è bloccata da una combinazione, la chiave non basta. Il regime continua. Comunque, meglio Rohani di tutti gli altri».
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