Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/06/2013, a pag. 43, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo "Jardin jr contro il nonno «collaborazionista»".
Sarebbe interessante che un Jardin italiano decidesse di raccontare la storia della propria famiglia su quanto avvenne in Italia dopo l'8 settembre.
Ma dopo la liberazione abbiamo avuto la grande amnistia voluta da Palmiro Togliatti che ha coperto tutte le responsabilità.

Alexandre Jardin, Persone perbene (ed. Bompiani)
A 45 anni, l'età che aveva il padre quando è morto, Alexandre Jardin ha deciso di regolare i conti in famiglia. Ci ha scritto un libro, che è tutto fuorché un romanzo ombelicale sulle spiacevolezze delle feste tra parenti, perché la sua non è una famiglia come le altre. I Jardin sono Persone perbene, così si intitola il romanzo: «Mio nonno — Jean Jardin detto il Nano Giallo — fu, dal 20 aprile 1942 al 30 ottobre 1943, il principale collaboratore del più collaborazionista degli uomini di Stato francesi: Pierre Laval, capo del governo del maresciallo Pétain, colui che osò dichiarare senza ambagi: “Mi auguro la vittoria della Germania”».
Il passato della famiglia Jardin è quello di tanti francesi che scelsero di collaborare con i nazisti, che arrivarono a sperare nella vittoria della Germania, e che poi riuscirono a superare indenni la fine del conflitto. «La Francia è un Paese che ancora racconta a se stesso di avere vinto la Seconda Guerra mondiale — dice Jardin —, quando invece le gesta di De Gaulle non bastano a riscattare la sconfitta e il regime di Vichy. Viviamo nella menzogna, da troppe generazioni, e questa menzogna genera nevrosi. Io ho scelto di liberarmene, cominciando a fare chiarezza su chi erano mio nonno, e mio padre, che lo ha sempre coperto».
La mattina del rastrellamento del Vélodrome d'Hiver, il 16 luglio 1942, Jean Jardin era il direttore di gabinetto del primo ministro Pierre Laval. «Il suo doppio. I suoi occhi, il suo fiuto, la sua bocca, la sua mano. Per non dire: la sua coscienza», scrive il nipote Alexandre Jardin.
La retata durò due giorni, 12 mila 884 le persone arrestate, e quasi tutte morirono poi nei campi di concentramento tedeschi. Fra loro 4.051 bambini.
Quell'orrore, sostiene lo scrittore, non può essere avvenuto senza che il braccio destro del principale responsabile non ne fosse a conoscenza. «Mio nonno non poteva non sapere», è la tesi del libro, che all'uscita in Francia, due anni fa, ha provocato prevedibili polemiche (ora esce in Italia per la Bompiani, pp. 208, 17). Molti storici hanno contestato il metodo di Jardin, che non ha condotto un lavoro storiografico approfondito e — secondo alcuni — è giunto troppo in fretta alle conclusioni: se negli Archivi di Stato non c'è traccia degli anni di lavoro di Jean Jardin, vuol dire che aveva molto da nascondere.
Una deduzione contestata per esempio dal cacciatore di nazisti Serge Klarsfeld, secondo il quale «se davvero Jean Jardin avesse partecipato all'organizzazione della retata sarebbero rimaste delle tracce, è impossibile cancellare tutto». Lo storico Robert O. Paxton ha invece sostenuto che l'assenza di note negli archivi si può spiegare con il fatto che Jardin era il più stretto consigliere di Laval, e quindi non c'era alcun bisogno di ordini scritti.
Ma il mestiere di Alexandre Jardin non è di storico, e la sua intenzione non è allestire un processo penale: il cuore del libro è la necessità di urlare, dopo decenni di silenzi, che il nonno fu uno dei più ligi collaborazionisti di Vichy e che era in servizio mentre i bambini venivano fatti salire sui treni per Auschwitz. «Il livello tecnico del coinvolgimento di mio nonno non mi interessa — dice Jardin —, il punto è smetterla di chiudere gli occhi come è sempre stato fatto in Francia dal 1945, quando ci siamo inventati resistenti e gollisti. Allora c'era la Guerra fredda, un Paese distrutto da ricostruire. Ora potremmo guardare con più sincerità al nostro passato».
Gli altri famigliari di Jardin non hanno apprezzato questa improvvisa voglia di verità, lo zio paterno Gabriel ha parlato di «manicheismo che offende l'intelligenza». Eppure certe volte la nettezza è salutare, e sfogliando le pagine di Persone perbene si ha l'impressione di spalancare finalmente finestre rimaste chiuse troppo a lungo.
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