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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
14.06.2013 Elezioni in Iran, qualcuno le prende sul serio
Sergio Romano e Lapo Pistelli pronti a tendere ancora la mano alla teocrazia iraniana

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Sergio Romano - Lapo Pistelli
Titolo: «Il termometro di Teheran - Iran, serve un leader realista»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/06/2013, in prima pagina, l'editoriale di Sergio Romano dal titolo " Il termometro di Teheran ". Dalla STAMPA, a pag. 29, l'articolo di Lapo Pistelli dal titolo " Iran, serve un leader realista ".

Sergio Romano e Lapo Pistelli, vice Ministro degli Esteri, vedono in maniera  ottimistica le elezioni in Iran, come se fossero libere, democratiche e regolari.
Romano e Pistelli non ricordano che cos'è successo nel 2009, con i brogli e la repressione dell'Onda Verde?
Sono elezioni-farsa, sarà Ali Khamenei a scegliere il presidente. Inutile illudersi in qualche cambiamento sostanziale nella politica iraniana e pensare di tendere ancora la mano agli ayatollah.
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Sergio Romano : " Il termometro di Teheran "


Sergio Romano

Le elezioni iraniane non sono un esercizio formale, una falsa liturgia democratica. Il regime è autoritario e poliziesco, può manipolare il voto come è accaduto nelle elezioni precedenti e il suo leader supremo, l'Ayatollah Ali Khamenei, può servirsi di un «Consiglio dei guardiani» per eliminare i candidati che potrebbero mettere in discussione la sua autorità. Ma nella fase che precede il voto esistono pur sempre comizi, incontri televisivi, candidati che si contrappongono, programmi elettorali che lasciano trasparire diverse linee politiche ed economiche, dichiarazioni di notabili che esprimono pubblicamente le loro preferenze. È interessante, per esempio, che due ex presidenti poco amati dal leader supremo — Mohammed Khatami e Akbar Hashemi Rafsanjani — abbiano chiesto ai riformisti di concentrare i loro voti su Hassan Rohani, un candidato che nei suoi discorsi ha promesso di formare un governo di «speranza e prudenza». Ed è altrettanto interessante che un esponente delle Guardie rivoluzionarie abbia chiesto a tre candidati della destra fondamentalista di accordarsi per lasciare il campo a quello che ha maggiori possibilità di vittoria. In altre parole tutti ragionano e agiscono come se le elezioni fossero libere e il loro risultato potesse avere grande importanza per il modo in cui il Paese sarà governato nei prossimi anni. Nessun candidato mette in discussione la scelta nucleare, su cui il consenso nazionale è pressoché totale, ma su altri temi vi sono differenze. Dopo avere reso un necessario omaggio al nucleare, Rohani, per esempio, ha detto che il suo governo, se verrà eletto, lavorerà per «riconciliare l'Iran con il mondo». Se i governi occidentali avessero espresso preferenze per un candidato ne avrebbero irrimediabilmente pregiudicato la sorte. Quale che sia il risultato delle elezioni, il nostro interlocutore sarà il presidente uscito dalle urne e avrà comunque sempre, dietro di sé, un'autorità più alta, un potere di ultima istanza: Ali Khamenei, subentrato nel 1989 a Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica. Nessuno dei due sarà un leader democratico. Ma saranno il vertice di un regime che vuole essere legittimato dalle elezioni, permette ad alcuni candidati di andare a caccia di voti e lascia così spazi di libertà che altri sistemi autoritari non permetterebbero. In questi spazi vi sono uomini e donne, studenti, professionisti, mercanti, imprenditori, chierici disponibili al dialogo, una nuova borghesia urbana che condivide la scelta nucleare, ma ha sete di libertà e ne ha dato un prova scendendo in piazza dopo le elezioni presidenziali del 2009. Questo è l'Iran con cui dovremo parlare nei prossimi anni se vogliamo fare una politica medio-orientale che non sia soltanto una litania di auspici retorici e luoghi comuni. Parlare con l'Iran è necessario per almeno tre ragioni. È una potenza regionale, ha un capitale petrolifero che può giovare all'intera regione ed è la guida autorevole di una minoranza musulmana, gli sciiti, che attraversa il Golfo, è maggioranza in Iraq, si estende sino alla Siria e soprattutto al Libano. Non riusciremo a spegnere i fuochi della Siria senza la collaborazione dell'Iran. E non vi saranno prospettive di pace in Afghanistan se l'Iran non sarà chiamato a fare la sua parte. Qualcuno propone che il presidente degli Stati Uniti ripeta al nuovo arrivato l'offerta fatta ad Ahmadinejad all'inizio del suo primo mandato: una mano aperta. Quell'offerta fu rifiutata da un uomo che aveva l'ambizione di costituire, con Chávez e altri, una sorta di cartello anti americano. E che sulla questione nucleare non fece alcuna apertura. Ma quella mano aperta può essere ancora una buona idea.

La STAMPA - Lapo Pistelli : " Iran, serve un leader realista"


Lapo Pistelli

Caro Direttore, gli iraniani scelgono oggi il successore di Ahmadinejad. E’ un passaggio stretto e difficile innanzitutto per Teheran, cui il mondo guarda però con estremo interesse.

Il Consiglio dei Guardiani ha selezionato preventivamente i candidati mutilando fortemente la griglia degli sfidanti, impedendo di correre agli esponenti di punta del fronte riformista (che si richiamavano larvatamente all’onda verde del 2009) ma anche a quelli del fronte radicale, impegnati a cercare una continuità con il Presidente uscente.

Cionondimeno, la campagna elettorale ha dimostrato - nell’inedito format dei tre confronti televisivi all’americana - una certa vivacità anche fra gli esponenti dei principalisti, legati tutti a un rapporto di fedeltà con la Guida Suprema. Se il programma nucleare a scopi pacifici è un tema che unifica da sempre e compattamente non solo tutti i candidati alla Presidenza ma anche gli oppositori più critici del regime, il modo con cui Teheran si è rapportata col mondo, negoziando questa partita - per non parlare della gestione dell’economia – ha invece fortemente diviso i candidati fra loro.

Il regime cerca - a partire dalla percentuale di partecipazione al voto della propria giovanissima popolazione - la legittimazione “democratica” della propria diversità rispetto ai Paesi dell’area, ma è abbastanza chiaro per tutti che si è storicamente esaurita la possibilità di “esportare” il peculiare modello istituzionale e religioso della propria rivoluzione (l’ultima analisi illusoria fu quella di ritenersi fonte di ispirazione della primavera araba) al di fuori del propri confini.

Persiana fra arabi, sciita fra sunniti, teocratico-repubblicana fra monarchie, Teheran reclama un proprio spazio nei nuovi equilibri regionali e mondiali.

La via di Ahmadinejad è clamorosamente fallita. Dalla contestata rielezione del 2009 fino alla rottura frontale con la Guida, l’ex Presidente ha schiacciato il Paese in un’insopportabile retorica negazionista, ha cercato improbabili alleanze con i Paesi ex non allineati, ha stretto una morsa insopportabile sulle libertà civili e politiche, ha pagato il conto salato delle sanzioni internazionali. Il Presidente oggi esce mentre la Guida resta. I candidati in lizza – quattro su sei legati ad Ali Khamenei - sono tutte personalità d’indubbio spessore ed esperienza. Spetterà al vincitore – nell’auspicio che il voto si svolga in condizioni accettabili – decidere se e come aprire una diversa fase delle relazioni fra Teheran e il mondo.

La comunità internazionale ha interesse a far cambiare i termini dell’equazione, a ritrovare un partner che – pur nella diversità talora radicale di posizioni – possa essere coinvolto utilmente nella discussione sui molti dossier di interesse comune. E’ il caso del già menzionato negoziato nucleare sul quale non sono consentite scorciatoie e furbizie. E’ quello della stabilizzazione dell’Afghanistan con il quale l’Iran condivide quasi mille km di confine, o dell’altro vicino iracheno. E’ il caso – soprattutto in questi giorni – della discussione su formato, contenuti e possibili esiti della Conferenza di Ginevra 2 sulla guerra in Siria dove - come sostengono il governo italiano e il ministro Bonino - se non si vuole che Teheran, capofila dell’arco sciita, continui a essere un pezzo rilevante del problema, è opportuno trovare le forme perché diventi parte di una possibile soluzione.

Oggi insomma potrebbe iniziare la prima scena di un nuovo film. Quale sia il finale dipenderà innanzitutto dalle scelte degli iraniani e dal grado di razionalità del nuovo rapporto Presidente-Guida, ma servirà poi la nostra capacità di leggere intelligentemente i nuovi scenari che si potrebbero aprire.

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