Libia nelle mani di al Qaeda si prospetta un futuro di shari'a. Altro che 'primavera'
Testata: Il Foglio Data: 13 giugno 2013 Pagina: 4 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «La Libia liberata è in balìa delle Brigate scudo (con vessillo nero) di Bengasi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/06/2013, a pag. 4, l'articolo dal titolo "La Libia liberata è in balìa delle Brigate scudo (con vessillo nero) di Bengasi".
Roma. La bomba messa sotto un’auto diplomatica che entrava nell’ambasciata italiana di Tripoli è stata fatta brillare in tempo: l’autista si è accorto che qualcosa non andava, i funzionari italiani sono stati fatti scendere e la bomba è esplosa senza provocare vittime. L’attentato sventato di martedì pomeriggio rende solo in parte le dimensioni del livello di destabilizzazione che la Libia sta vivendo. Nella zona di Bengasi, milizie di ex combattenti contro il regime di Gheddafi si muovono sul territorio con una propria gerarchia, armi proprie e divise differenti da quelle dell’esercito regolare. Allestiscono posti di blocco illegali, compiono pattugliamenti, ispezioni, occupano vecchie postazioni dell’esercito. E’ davanti a uno di questi fortini, quartiere generale del gruppo denominato Brigate scudo, che sabato scorso si è radunata una folla di più di 200 persone. Chiedevano la smilitarizzazione degli eserciti illegali che infestano la Libia, anche se la causa scatenante potrebbe essere stato un contrasto sul possesso di alcune terre, occupate dai miliziani. Le proteste sono sfociate in una battaglia. Impossibile dire chi abbia aperto il fuoco per primo: i manifestanti hanno ricevuto i rinforzi di uomini armati, i miliziani hanno iniziato a sparare sulla folla. Le forze speciali dell’esercito libico sono intervenute, perdendo cinque uomini prima di riuscire a sedare la rivolta e prendere possesso del fortino. In tutto i morti sono stati 31, più di 100 i feriti. Domenica il generale Youssef al Mangoush, capo dell’esercito libico, ha annunciato le sue dimissioni: le Brigate scudo dipendevano direttamente da lui. Al Mangoush è stato accusato soprattutto di non aver saputo porre fine allo strapotere delle milizie di ex combattenti, uno dei principali ostacoli alla pacificazione del paese. E’ stata questa la motivazione ufficiale che ha portato la coalizione guidata da Nicolas Sarkozy e dagli altri (ben più riluttanti) leader occidentali a fare la guerra di Libia: difendere la popolazione inerme da un Gheddafi che avrebbe rastrellato Bengasi “strada per strada, casa per casa” per giustiziare i “topi” della “primavera libica”. Ciò che la coalizione occidentale non aveva capito è che la primavera era in realtà una guerra civile che andava avanti da decenni, in una Libia che da sempre è stata spaccata in due. I gruppi di ribelli che combattevano per la libertà del popolo libico, come le Brigate scudo, si sono trasformati in milizie che scorrazzano per la regione, in alcuni casi con il beneplacito dell’esercito, in altri scontrandosi con esso. L’esercito regolare non può fare molto: “Quale esercito può prendere il controllo della situazione?”, ha dichiarato a Reuters Ismail Salabi, ufficiale delle Brigate scudo. “In Libia non c’è altro esercito che le Brigate scudo”. Ma non è solo la debolezza del governo centrale a impedire la smilitarizzazione delle milizie illegali: province come quella della Cirenaica non hanno mai voluto davvero pacificarsi. La situazione è resa instabile da molteplici elementi: oltre alle milizie, gruppi politici di federalisti chiedono l’allontanamento da Tripoli. E poi c’è al Qaida. A rendere l’idea del livello di confusione c’è il fatto che proprio le Brigate scudo avrebbero partecipato alle operazioni di recupero e di indagine dopo l’attacco al consolato statunitense di Bengasi, costato la vita all’ambasciatore Christopher Stevens l’11 settembre dello scorso anno. In Libia, però, circolano foto che raffigurano le Brigate scudo posare sotto la bandiera nera del jihad. Uno dei simboli di al Qaida.
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