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Il Foglio Rassegna Stampa
13.06.2013 Turchia: impossibile il suo ingresso in Europa
ma Emma Bonino e Carlo Pelanda cercano di convincere del contrario

Testata: Il Foglio
Data: 13 giugno 2013
Pagina: 3
Autore: Carlo Pelanda - David Carretta
Titolo: «Perché far entrare la Turchia in Europa è interesse italiano - I prof. europei (Bonino in testa) aspettano l’esito dell’esame di maturità turca»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/06/2013, a pag. 3, l'articolo di Carlo Pelanda dal titolo " Perché far entrare la Turchia in Europa è interesse italiano ", a pag. 4, l'articolo di David Carretta dal titolo " I prof. europei (Bonino in testa) aspettano l’esito dell’esame di maturità turca ".
Ecco i due articoli, preceduti dai nostri commenti:

Carlo Pelanda - " Perché far entrare la Turchia in Europa è interesse italiano"


Carlo Pelanda

Pelanda vede con favore l'ingresso della Turchia in Europa, ma si rende conto che, in seguito alle repressioni di Erdogan, si tratta di un'ipotesi sempre meno realistica, perciò scrive : "  Quindi, scontato che la Turchia mai entrerà nella Ue, è opzione per l’Italia valutare con Mosca e Ankara la formazione di un’area di libero scambio del Mediterraneo orientale e mar Nero che includa Grecia, Bulgaria, Romania, Russia, (Georgia), Turchia, Libano, Cipro, Palestina, (Israele) e Italia.". Non è ben chiaro per quale motivo la 'Palestina', uno Stato per ora inesistente, dovrebbe far parte di questa fantomatica area di libero scambio tra Paesi del Mediterraneo, nè l'utilizzo della parentesi per uno Stato che esiste, Israele.
Ecco il pezzo:

La rubrica ritiene che sia priorità per la politica estera italiana individuare un ancoraggio solido della Turchia all’occidente. Ankara: a) non ha più la speranza di essere il centro di un mercato con Siria e Iran perché ha fatto guerra alla prima, perdendola insieme agli ambigui alleati Qatar e Francia nel contesto di un sostegno contradditorio da parte dell’America; b) e perché la Siria stessa – dove Assad sostenuto da Teheran, Russia e Cina, riuscirà a mantenere il dominio dell’area prossima al Libano e con sbocco al mare – verrà frammentata e congelata da una soluzione di tipo “bosniaco”; c) la politica neoottomana di estendere l’influenza turca nell’area islamico-mediterranea e turcofona centroasiatica si è arenata; d) lo sviluppo economico a razzo degli ultimi anni, anche favorito dall’attivazione dell’Anatolia meno modernizzata e più islamizzata, pare esaurito; e) la divisione interna tra islamisti e secolarizzati, nonché tra aree turche occidentale e orientale, ha preso forme di conflitto civile aperto; f) il partito maggioritario Akp sta spaccandosi tra ala moderata, minoritaria, e integralista, costringendo Erdogan a seguire la seconda per non perdere la leadership. In sintesi, la Turchia si sta destabilizzando per il venire meno dei sostegni esterni, tra cui il minor assorbimento di merci dall’Eurozona in crisi, e interni allo sviluppo economico. Inoltre la degenerazione del partito maggioritario spinge il governo a dare risposte sbagliate al problema. La situazione non è tale, ancora, da rendere probabile una divisione della Turchia, per altro densa di etnie diverse, in tre nazioni: occidentale, islamica e curda. Ma tale scenario inizia a prendere profilo. Soprattutto, la Turchia indebolita è oggetto di penetrazione da parte della Cina che già ha un buon controllo dell’Iran, in estensione all’Iraq, per poi connetterlo territorialmente alla penetrazione in Afghanistan e Pakistan, entro una strategia di conquista progressiva dell’Asia centrale. Per poi proiettarsi nel Mediterraneo. La Cina non è ancora un nemico diretto dell’occidente, ma è un competitore. Inoltre l’insediamento cinese negli snodi economici è fatto in modo da non lasciare spazi ad altri e comporta frizioni da “guerra economica”, in prospettiva anche con l’Italia. Pertanto mantenere la Turchia nell’area occidentale è un interesse evidente italiano. L’America manovra poco e male. La Germania ha una politica estera mercantilista che cerca business comunque in qualsiasi configurazione geopolitica. La Francia è inaffidabile. Il Regno Unito senza forza. Ma la Russia certamente non vorrà un’estensione dell’influenza cinese che poi nel futuro la stritolerebbe. Quindi, scontato che la Turchia mai entrerà nella Ue, è opzione per l’Italia valutare con Mosca e Ankara la formazione di un’area di libero scambio del Mediterraneo orientale e mar Nero che includa Grecia, Bulgaria, Romania, Russia, (Georgia), Turchia, Libano, Cipro, Palestina, (Israele) e Italia. Questa area avrebbe come capitale economica di fatto la Turchia, capitale finanziaria l’Italia con partner una Russia soddisfatta perché consoliderebbe la sua presenza diretta a Cipro e Siria lato mare, piattaforma per altri giochi areali di influenza. In questa strategia l’ancoraggio della Turchia all’occidente passerebbe per l’Italia dandole un vantaggio geoeconomico che merita il rischio di una iniziativa sovrana. Fattibile? Se fatta silenziosamente, con incroci di accordi nazionali di libero scambio per non coinvolgere la Ue e rassicurando l’America, certamente sì.

David Carretta - " I prof. europei (Bonino in testa) aspettano l’esito dell’esame di maturità turca "


Emma Bonino                           Recep Tayyip Erdogan

Nell'articolo vengono riportate le dichiarazioni di Emma Bonino, Ministro degli Esteri italiano, riguardo a quanto sta succedendo in Turchia : "Semmai, il modo in cui le autorità stanno reagendo alle proteste di Istanbul e altre città è “il primo serio test per la tenuta della democrazia turca e per il processo di adesione all’Unione europea”. ". Quale 'democrazia turca'? Quella che reprime i manifestanti, processa i giornalisti, incarcera i militari laici, islamizza la società?
Non esiste un islam democratico. La Turchia non è più uno Stato laico, per questo non è possibile pensare al suo ingresso in Europa. Non condivide i valori delle democrazie occidentali. E la repressione dei manifestanti di piazza Taksim ne è un'altra prova.
Ecco il pezzo:

Strasburgo. “Piazza Taksim non è piazza Tahrir”, “i turchi non sono arabi” ed è meglio “evitare di guardare alla Turchia con l’ottica offuscata da modelli ingannevoli”. Il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, sembra avere le idee chiare sulle manifestazioni che attraversano la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan. “Ho sentito parlare di primavera turca, ma non è così”, ha spiegato ieri Bonino alla Camera. Semmai, il modo in cui le autorità stanno reagendo alle proteste di Istanbul e altre città è “il primo serio test per la tenuta della democrazia turca e per il processo di adesione all’Unione europea”. Insomma, è “un esame di maturità”. Per Bonino, Ankara deve dimostrare la capacità di “unire le diverse componenti della società”, compresa quella parte del paese che contesta i metodi autoritari di Erdogan e la morale islamista dal premier. Erdogan ha fatto ripulire piazza Taksim a colpi di cariche, idranti e lacrimogeni e poi ha incontrato una rappresentanza di manifestanti del Gezi Park nelle ore in cui moriva in ospedale un ragazzo ferito il 1° giugno ad Ankara. “La Turchia è senza dubbio una società aperta dove i diritti democratici sono garantiti dalla legge”, ha detto il presidente Abdullah Gül, che però ha rifiutato un vertice di tutti i partiti per discutere delle proteste. La realtà è che “domani Erdogan può portare milioni di persone in strada”, spiega al Foglio Daniel Cohn-Bendit: “Non si può dire che tutto il popolo turco è contro Erdogan”. Meglio non illudersi: “Non bisogna dimenticare che dopo il maggio ’68 De Gaulle vinse le elezioni”, avverte l’ex leader sessantottino. Il guaio, semmai, è quello dell’Europa che, “fuggendo dai negoziati di adesione con la Turchia, ora non è più in grado di far pressioni”. La soluzione, secondo Cohn-Bendit, sarebbe di “aprire tutti i capitoli negoziali per l’adesione, dentro i quali ci sono le norme che la Turchia deve rispettare sulle libertà pubbliche e la democrazia”. “L’adesione all’Ue può avere un effetto benefico per la Turchia. L’Italia vuole una Turchia pienamente democratica in Europa”, ha detto Bonino. Ma serve un “sincero esame di coscienza da parte dell’Europa”. Perché i 27 sono ancora profondamente divisi sui destini europei di Ankara. I negoziati di adesione stanno lentamente riprendendo dopo un lungo periodo di stallo. Ma alcuni leader sono tentati di utilizzare piazza Taksim come alibi per bloccare l’apertura di un nuovo capitolo (quello della politica regionale) sulla strada dell’adesione. “E’ necessario riflettere prima di agire”, dice al Foglio il presidente del gruppo dei popolari al Pe, l’alsaziano Joseph Daul, sintetizzando il pensiero del conservatorismo franco-tedesco. “Vogliamo la Turchia nell’Ue, ma questa Turchia nelle mani di Erdogan non ha il suo posto in Europa”, aggiunge il presidente dei socialisti e democratici, l’austriaco Hannes Swoboda. In Germania, dove la questione turca rischia di avvelenare la campagna elettorale, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle ha parlato di un “cattivo segnale” di Erdogan alla comunità internazionale. Secondo l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, “questo non è il momento di disimpegnarsi dalla Turchia, ma di raddoppiare il dialogo”. Ma se nei primi due mandati Erdogan ha usato i negoziati di adesione per mettere in ginocchio l’establishment laico, ora la prospettiva europea del premier turco appare meno urgente della sua agenda islamista.

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