Turchia: la vera motivazione alla base delle manifestazioni Aleviti contro Erdogan
Testata: Il Foglio Data: 11 giugno 2013 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «Ecco perché ci sono entrate in testa le musiche degli aleviti»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/06/2013, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Ecco perché ci sono entrate in testa le musiche degli aleviti".
Recep Erdogan
Roma. Dallo scorso dicembre gli ecologisti di Istanbul avevano iniziato a protestare contro la trasformazione del Gezi Park in un centro commerciale, ma il 29 maggio, giorno dello scontro con la polizia, è stato anche quello della dedica del nuovo terzo ponte sul Bosforo al sultano Selim. “Un grande sultano che ha esteso i confini del nostro impero”, lo ha salutato nel discorso ufficiale il presidente Abdullah Gül. “Un boia di aleviti”, gli ha risposto inferocito il deputato Hüseyin Aygün, esponente di punta sia della comunità alevita sia del kemalista Partito repubblicano del popolo (Chp). Già il primo giugno gli aleviti iniziavano a protestare davanti al ponte, e in breve tutta la stampa internazionale notava la massiccia presenza alle manifestazioni anti Erdogan degli appartenenti a questa comunità variamente stimata tra i 10 e i 25 milioni (su una popolazione di turchi di 75 milioni). Cifre più precise non si hanno, anche per una storia che ha portato nei secoli gli aleviti a occultarsi in base al principio tipicamente sciita della taqiyya: la “dissimulazione”. Gli aleviti sono gli sciiti turchi, e il loro nome deriva dal califfo Ali: come gli alawiti siriani, che però sono in realtà una denominazione religiosa a parte, anche se in nome della convenienza geopolitica il regime degli ayatollah della Repubblica islamica d’Iran (sciita) li ha promossi sciiti ad honorem. Gli aleviti erano invece in principio sciiti duodecimani ortodossi, ma la dinastia ottomana li vessò duramente, con un culmine durante il regno di Selim, tra 1512 e 1520. Primo sultano ottomano a proclamarsi anche califfo, Selim li massacrò prima durante la guerra contro la Persia, come potenziale quinta colonna; poi nel reprimere una rivolta contadina guidata dal predicatore sciita Celial. Mentre i loro correligionari iraniani sotto la protezione della dinastia safavide si organizzavano secondo un modello clericale in qualche modo richiamante la gerarchia cattolica, gli aleviti turchi furono costretti a strutturarsi secondo un modello di congregazioni che a un occidentale evoca piuttosto il protestantesimo più radicale. Erano soprattutto gli asik, cantori itineranti, a propagandare la fede, e per questo le “cem”, cerimonie religiose, sono piene di musica. Ma anche le donne vi hanno un ruolo importante, da cui una tradizione femminista che urta i sunniti. In realtà, neanche il regime laico della Turchia ha mai dato agli aleviti pieno riconoscimento, ma certamente il kemalismo è stato per loro un sollievo, ed è oggi normale per gli aleviti esibire l’immagine di Atatürk assieme a quella di Ali. Senza essere esclusivo, il rapporto privilegiato che gli aleviti hanno con le forze laiche o di sinistra è abbastanza simile a quello che in Italia possono avere i valdesi. Almeno dagli anni Sessanta gli aleviti si vantano però di “non essere più clandestini”, ma il 2 luglio 1993, 35 tra esponenti aleviti e intellettuali e un antropologo olandese morirono nell’incendio di un hotel attaccato da estremisti sunniti, e altri 15 aleviti furono uccisi in un pogrom nel 1995. Uno dei motivi del massacro di Sivas del 1993 fu che tra gli intellettuali invitati c’era anche Aziz Nesin, che voleva tradurre i “Versetti Satanici” in turco. Ciò dà la misura della distanza rispetto al khomeinismo, anche se era stato proprio Khomeini a certificare nel 1970 l’ortodossia sciita degli aleviti. Tuttavia, nel momento in cui un grande conflitto sunniti-sciiti si delinea tra Pakistan, Iran, Iraq, Siria e Libano, la partecipazione degli aleviti alla protesta anti Erdogan salda anche la Turchia a questo confronto.
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