Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/06/2013, a pag. 16, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Assalto ad Aleppo. Decine di ribelli uccisi negli scontri ", l'intervista di Claudio Gallo a Qadri Jamil, vice di Assad, dal titolo " Il vice-premier di Assad : Ma non si vince sul campo. Va aperta una trattativa ".
Ecco i pezzi:
Francesca Paci - " Assalto ad Aleppo. Decine di ribelli uccisi negli scontri "
Francesca Paci Bashar al Assad "Ammazzali tutti"
Galvanizzato dalla riconquista di Qusayr, l’esercito di Bashar Assad si prepara all’assalto di Aleppo e sposta le truppe verso il confine turco dove da un anno l’opposizione armata controlla strade e centri abitati (compresi diversi quartieri di Aleppo). Secondo la Bbc l’operazione denominata Tempesta del Nord sarebbe iniziata ieri con l’ingresso dei soldati affiancati dai miliziani libanesi di Hezbollah e da combattenti iracheni nei villaggi a maggioranza sciita di Nubbul e Zahra, alle porte della città, una mossa che seppure non risolverà la guerra la trasforma in un’esiziale gara per il logoramento del nemico potenzialmente lunghissima (a detta del ministro dell’Intelligence israeliano Steinitz Damasco sarebbe in vantaggio).
«Il regime non può vincere, ma l’opposizione non può perdere» nota Yezid Sayigh del Carnegie Middle East Center di Beirut. Il tempo stringe per Washington, che ha ritardato il viaggio mediorientale del segretario di Stato Kerry per decidere se inviare armi ai ribelli, istituire una no-fly zone e/o accogliere profughi per alleggerire la pressione dei quasi 2 milioni già riparati in Turchia, Giordania, Libano. Ma gioca a favore di Damasco che pian piano riguadagna terreno e, sfruttando la disomogeneità degli avversari con cui militano anche jihadisti, conta di arrivare ai negoziati di pace in posizione di forza. Nell’impossibilità della vittoria militare l’imperativo è sopravvivere.
I ribelli, dal canto loro, avendo escluso compromessi col regime non premono sull’acceleratore. «Se non riceviamo munizioni per cambiare gli equilibri sul campo non andremo a Ginevra (la conferenza di pace pianificata per luglio, ndr)» rivela al «New York Times» il generale Salim Isris. Finora gli americani hanno fornito 250 milioni di dollari in aiuti «non letali» e 500 milioni per l’emergenza umanitaria di un conflitto che conta oltre 90 mila vittime (solo a maggio sarebbero morte 3.113 persone di cui 347 minori). Si tratta di cifre irrisorie davanti all’inferiorità numerica del fronte anti Assad (tra i 180 e i 310 mila uomini), alla mancanza di leaders, all’assenza di coesione da cui si allungano ombre fosche sulla futura ipotetica capacità di governare la transizione. Ben diversa l’entità dei fondi inviati dal Golfo, dove Qatar e Arabia Saudita si contendono l’«appalto» sull’opposizione per contrastare l’espansionismo iraniano-sciita (sembra l’abbia spuntata Riad).
La battaglia infuria ad Aleppo, alla periferia di Damasco, sul confine giordano, a ridosso della base aerea di Minnigh, a Nord. Ma tremano anche il Libano, dove una misteriosa esplosione ha investito ieri un convoglio diretto in Siria probabilmente con i rinforzi di Hezbollah; sulle alture del Golan, da cui l’ex ministro degli Esteri israeliano Lieberman mette in guardia Damasco da «improvvide» avventure belliche; nel Regno Unito che il 17 e 18 giugno vedrà il G8 monopolizzato dal mini summit tra Obama e Putin sul dossier siriano.
Claudio Gallo - " Il vice-premier di Assad : Ma non si vince sul campo. Va aperta una trattativa "
Qadri Jamil
Qadri Jamil, ministro dell’Economia e vice premier del governo di Assad, è a Damasco uno degli uomini più vicini ai russi. Laureato in economia a Mosca, comunista in una galassia di partiti scissionisti, membro dell’opposizione interna al regime, ha fatto parte del comitato che ha presentato la bozza per una nuova costituzione all’indomani delle rivolte arabe del 2011. Lo incontriamo in un albergo di Hamra, a Beirut.
I ribelli, appoggiati dai Paesi del Golfo e dall’occidente, pongono come precondizione per una trattativa che il presidente Assad si dimetta, che cosa ne pensa?
«Non voglio neppure discuterne se la cosa viene presentata in questo modo. Mettere delle condizioni prima del dialogo è inaccettabile. Una volta che il dialogo è aperto ognuno può esprimere le proprie opinioni, non prima. So bene che i media arabi e occidentali spingono per questa ipotesi, che sono schierati tutti da una parte. Credo che si possa discutere di tutto, anche delle dimissioni di Assad, ma all’interno di un dialogo generale senza precondizioni».
Con la promessa di consegnare a Damasco dieci Mig-29 e i vecchi ma temibili missili anti-aereo S-300, Mosca conferma il suo sostegno ad Assad. È Putin la vostra carta vincente?
«Non c’è niente di nuovo in questo, abbiamo uno stretto rapporto con Mosca dal 1956. C’è stata una breve interruzione durante gli anni difficili della fine dell’Unione Sovietica, ma dal 2005 la collaborazione è ripresa pienamente. È una relazione solida perché ha radici storiche: economiche, militari e politiche. Purtroppo il 70% dei nostri legami era con l’Europa, se fosse stato così con la Russia ora non avremmo tutti questi guai».
Qual è il peso dell’embargo alla Siria decretato da Usa e Ue?
«L’embargo è un crimine che colpisce la popolazione molto più del governo. Stiamo preparando un rapporto per far sapere al mondo quante persone sono morte a causa delle sanzioni. Gente morta di fame, di freddo, di malattie per cui non si trovavano più le medicine. Hanno tagliato i cibi più basilari: riso, zucchero, farina, oltre a gas, e petrolio. Stanno facendo alla Siria quello che Hitler fece all’Europa. Il sangue delle vittime dell’embargo ricade sull’Europa, non tanto sull’America, con cui i nostri rapporti sono sempre stati inesistenti».
Quanto cruciale è stata la vittoria governativa nella recente battaglia di Qusayr? Sono cambiati gli equilibri militari?
«A Qusayr c’è stata una battaglia come tante altre. La soluzione non è sul campo, l’unica via è far tacere le armi e aprire una trattativa. Soltanto il ritorno della politica potrà portare la pace nel Paese».
Iran e Hezbollah sono vostri alleati: quanto incide il quadro internazionale, ad esempio i pessimi rapporti tra Teheran e Washington, nella crisi siriana?
«Quello che so è che i Paesi occidentali non vogliono il dialogo con nessuno, ma il dialogo è l’unica via. Tutti conoscono la celebre domanda di Stalin a Churchill: quante divisioni ha il Papa? Così mi chiedo, quante divisioni hanno, in questo periodo di crisi economica, gli europei da mandare in Siria?».
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