Sul FOGLIO di oggi, 08/06/2013, a pag.3, un editoriale dal titolo " Erdogan comincia a capire, ma è tardi "
Pare che Tayyip Erdogan, nella sua stanza d’albergo in Marocco, abbia scagliato urlando il suo laptop contro il muro dopo avere letto le parole del suo vice Bülent Arinc che ha chiesto scusa ai manifestanti e li ha invitati a una “trattativa” nella sede del governo. Vero o falso che sia, è certo che il premier turco ha perso il suo patrimonio politico più prezioso: l’aura di leader mediterraneo tanto lungimirante, quanto popolare e amato. Rappresentante vero della “sua” nuova Turchia, sintesi armonica tra islam e democrazia. La sua reazione alle manifestazioni innescate dalla protesta di Gezi park ha sbriciolato il suo prestigio e oggi appare simile a un dozzinale autocrate in preda alla hybris. Novello Macbeth rischia di cessare di essere re perché i 600 alberi di Gezi park, novella foresta di Birman, si sono mossi contro di lui per vendicare l’uccisione di Banquo: lo spirito laico di Atatürk. In realtà, questo suo fulmineo declino – forse non definitivo – ha una dinamica complessa, perché in buona parte è dovuto a “fuoco amico”. Gli alberi di Gezi park hanno infatti conseguito una vittoria rapida, là dove nessuno pensava si potesse cogliere: ha spaccato in due il vertice dello stato, del governo e dello stesso Akp. Erdogan rotola oggi verso il basso, esecrato persino dalle cancellerie più amiche, perché il suo alleato e sodale, il presidente Abdullah Gül, tradizionalmente più oltranzista di lui, si è trasformato in colomba, ha ordinato di fermare le violenze della polizia, ha spinto il vicepremier a trattare con i “terroristi” e si è presentato come l’unico leader dotato di saggio equilibrio. Dal Maghreb, il premier turco, sempre più infuriato, ha risposto a queste manovre indurendo il suo oltranzismo, ma appena è atterrato ad Ankara pare aver compreso che Gül ha più frecce nel suo arco di quante non pensasse. Compreso, forse, l’appoggio di Fetullah Gülen, il teologo musulmano miliardario, che dalla Pennsylvania manovra un’imponente apparato mediatico, centinaia di moschee e buona parte della direzione dell’Akp, nella tipica logica di confraternita ottomana. Ecco allora che ieri ha cessato di fare il gradasso e – sempre esecrando le violenze – si è detto “aperto alle richieste democratiche”. Ma forse è troppo tardi: alla prova della piazza, si è comportato come un qualsiasi emiro del Golfo. Sì che il movimento di Gezi park pare segnare più che l’inizio di una primavera turca, il triste tramonto dell’islamismo democratico.
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