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L’Egitto sta per perdere il Nilo ? (Traduzione di Angelo Pezzana) Uscito oggi sul JERUSALEM POST, per leggere l'originale in inglese, cliccare sul link sottostante
Una notizia sta sconvolgendo l’Egitto. Lo scorso 28 maggio l’Etiopia ha annunciato che sta per deviare il corso del fiume per permettere la costruzione di una diga sul Nilo Blu. Le sorgenti del Nilo Grazie alla diga, non si sono più verificate inondazioni che devastavano la regione del Cairo e il Delta, grandi quantità di acqua erano disponibili per consumo e l’irrigazione, mentre l’elettricità prodotta dalla diga arrivava a 2100 megawatt. L’Egitto, che è ancora oggi un paese essenzialmente agricolo, è incapace di programmare un futuro privo dell’accesso libero e continuo alle acque del fiume. Da almeno dieci anni premono sull’Egitto perchè discuta il problema. Ma l’Egitto non solo si basa sempre sui vecchi accordi per impedire che possano trarre vantaggi dal fiume lungo il quale altri pese vivono, ma esercita anche pressioni per dissuadere la Banca Mondiale dal finanziare progetti che riguardino il Nilo, minacciando più o meno apertamente i paesi interessati, il che aggrava la situazione. I paesi dell’Alto Nilo decisero perciò nel 2010 di dare vita, durante una conferenza a Sharm el-Sheik , chiamata « Trattato di Entebbe », a un progetto di cooperazione per grandi linee fra tutti paesi situati lungo il percorso del Nilo per rispettare in maniera più equa i bisogni di tutti. La crisi riguarda oggi l’Etiopia, dove il Nilo Blu – che fornisce l’85% dell’acqua – ha la sorgente. E’ il paese più grande della regione e la sua popolazione sorpasserà quella dell’Egitto nei prossimi decenni. Addis Abeba progetta la costruzione di diverse dighe, la più importante è quella chiamata « Rinascimento », che potrà contenere più di 200 miliardi di metri cubi e che fornirà 6.000 megawatt di elettricità. L’intransigenza egiziana non impressiona l’Etiopia, che prosegue la sua strada. L’annuncio dello sbarramento temporaneo del fiume della settimana scorsa – poche ore dopo l’incontro tra il presidente egiziano e il primo ministro etiope – ha sortito l’effetto di un tuono. Prima di tutto l’offesa, perchè Morsi ne era stato tenuto all’oscuro, poi perchè è la stessa esistenza dell’Egitto a venire minacciata. L’Etiopia ha un bel dire che le quantità d’acqua dell’Egitto non subiranno modifiche, che la diga comincerà a funzionare non prima del prossimo anno e che raggiungerà il pieno funzionamento solo nel 2017,ma gli egiziani non ci credono. Sono convinti che la riserva rallenterà la portata del fiume. Il consumo individuale di acqua in Egitto è già sceso a 759 metri cubi per anno, molto al di sotto del minimo fissato dall’Onu, che è di 1.000 metri cubi. Il paese non è ancora nel panico, ma l’inquietudine cresce. Le presidenza e i portavoce ufficiali diffondono commenti contraddittori,in alcuni si dichiara che non verrà tollerato alcun attacco all’ acqua, in altri che è troppo presto per giudicare l’impatto della costruzione della diga e che occorre attendere le conclusioni della commissione tripartita, formata da esperti dell’Egitto, Sudan e Etiopia. Queste conclusioni della scorsa settimana sono ora oggetto di studio, mentre altre verifiche potranno essere giudicate necessarie. Ma la classe politica ha fretta. Alcuni chiedono una posizione più rigida di fronte all’Etiopia, altri verso i paesi situati sulle sponde del fiume. C’è chi chiede un’azione militare o la distruzione della diga. Hamdeen Sabahi, leader del partito nasserista e già candidato alla presidenza, propone sanzioni contro l’Etiopia, arrivando a chiedere il divieto di passaggio delle navi etiopi nel Canale di Suez, una misura che andrebbe presa anche nei confronti di Stati Uniti, Italia e Israele, « colpevoli » secondo lui di avere finanziato il progetto del Canale. Per rendere ancora più delicata la situazione, il Sudan, alleato tradizionale dell’Egitto per quanto riguarda il problema acqua, pare sia arrivato alla conclusione che la diga non avrà per lui un impatto negativo, potrà invece rappresentare una manovra destinata a spingere l’Egitto ad avere più flessibilità per quanto riguarda il conflitto che contrappone i due paesi nei confronti dei vasti territori di Halayeb et Shalatan sul Mar Rosso. Va ricordato che il Sudan beneficia di forti preripitazioni annuali, per cui ha buone riserve d’acqua, mentre l’Egitto dipende totalmente dal Nilo. Come è abitudine in Egitto, Israele viene accusato di « sobillare » Addis Abeba contro il Cairo e di « gonfiare » le cifre del bisogno di acqua in Etiopia.. in base all’accordo di assistenza tecnica in materia agricola firmato con quel paese. L’Egitto « dimentica » che pure lui ha benegficiato di considerevole assistenza negli anni ’80 e ’90, e che è grazie alla tecnologia israeliana che oggi in Egitto sulle terre sabbiose del deserto crescono frutta e verdura. Gli egiziani si rifiutano di ammettere che è il sistema di irrigazione goccia a goccia e la grande varietà di frutta e legumi forniti da Israele ad assicurare il successo della loro agricoltura. Migliaia di giovani egiziani hanno partecipato a corsi di formazione al Kibbutz Bror Hail, dove hanno imparato a coltivare la terra fine del deserto risparmiando l’acqua. Mentre la crisi era prevedibile, tenuto conto dei crescenti bisogni degli altri paesi lungo il Nilo, l’Egitto non ha mai fatto nulla durante gli anni del regime di Mubarak per cercare un compromesso che producesse cooperazione. L’opposizione era inesistente, la stampa, imbavagliata, non ha mai sollevato il problema nè ha pubblicato indagini che avrebbero potuto contribuire a informare la pubblica opinione, studi che il regime considerava « pericolosi ». Il paradosso è che il bacino del Nilo riceve ogni anno precipitazioni che superano 1600 miliardi di metri cubi d’acqua, dei quali solo 85 miliardi arrivano al fiume, un parte evapora mentre si formano delle paludi che rallentano il corso del Nilo. Uno sforzo concertato di tutti i paesi attraversati dal Nilo, finanziato dalla Banca Mondiale, potrebbe quindi accrescere notevolmente la portata del fiume. Malgrado fosse urgente, nulla è stato fatto. L’Egitto si rifiuta di guardare in faccia alla situazione e si rifiuta di negoziare, e la sua diplomazia non conta più nulla. Ora che il paese è in crisi, minacciato da un disastro agricolo che potrebbe trasformarsi in carestia, si renderà conto infine dell’urgenza ? L’Egitto sarà capace di accettare il fatto che delle trattatice che portino ad una soluzione accettabile, che tenga conto dei bisogni legittimi di tutti i paesi del Nilo rivestono una necessità vitale ? Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta |
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