Siria: Hamas coi ribelli anti Assad Cronache di Maurizio Molinari, Davide Frattini. Wishful thinking di Tony Blair
Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Autore: Maurizio Molinari - Davide Frattini - Tony Blair Titolo: «Siria, Hezbollah con Assad, Hamas addestra gli insorti - Nella moschea sciita difesa dai kalashnikov. 'Pronti a morire sotto questa cupola d'oro' - Il filo che unisce i killer di Londra alla tirannia di Damasco»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/06/2013, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Siria, Hezbollah con Assad, Hamas addestra gli insorti ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Nella moschea sciita difesa dai kalashnikov. «Pronti a morire sotto questa cupola d'oro» ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-27, l'articolo di Tony Blair dal titolo " Il filo che unisce i killer di Londra alla tirannia di Damasco ", preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Siria, Hezbollah con Assad, Hamas addestra gli insorti "
Maurizio Molinari Khaled Meshaal
Migliaia di miliziani Hezbollah schierati alla periferia di Aleppo si preparano a lanciare l’assalto contro le roccaforti dei ribelli a conferma di un ruolo di primo piano nel sostegno al regime di Bashar Assad che scuote il Medio Oriente. A evidenziarlo è la brusca rottura fra Hezbollah e Hamas. L’intesa di ferro fra il partito libanese sciita filoiraniano di Hassan Nasrallah e i fondamentalisti sunniti palestinesi di Khaled Mashaal, accomunati dall’essere i nemici più spietati di Israele e Stati Uniti, è andata in frantumi a seguito della battaglia di Qusair che ha visto gli Hezbollah combattere aspramente contro i ribelli anti-Assad, pagando un alto prezzo in morti e feriti.
Espugnata gran parte di Qusair, Hezbollah ha visto i propri villaggi nella Bekaa libanese colpiti da una dozzina di mortai lanciati dalla Siria ed è stato allora che ha reagito comunicando a Ali Baraka, rappresentante di Hamas a Beirut, che «qui non siete più benvenuti». L’espulsione di Hamas dal Libano segue la scoperta da parte di Hezbollah che i miliziani delle brigate Ezzedine al Qassam - spina dorsale degli attacchi contro Israele da Gaza - addestrano unità dell’Esercito di liberazione siriano: non solo all’uso di potenti esplosivi, razzi e mortai ma anche alla realizzazione di tunnel simili a quelli scavati fra l’Egitto e la Striscia. Almeno uno di questi tunnel sarebbe stato scoperto alla periferia di Damasco. Hamas non cela il sostegno ai ribelli sunniti: nel campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh, in Libano, alcune derrate di aiuti alimentari di Hezbollah sono state incendiati, lasciando sul posto striscioni in cui si diceva «sono inzuppate del sangue del popolo siriano».
A evidenziare il cambiamento di fronte di Hamas c’è la posizione geografica del suo leader storico: Mashaal in febbraio ha abbandonato Damasco, dove viveva da anni protetto dal regime, ed ora risiede in Qatar, ospite dell’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani che è uno dei maggiori fornitori di fondi ed armi ai ribelli sunniti antiAssad. La ritorsione di Teheran contro Hamas è arrivata assieme all’avviso di sfratto dal Paese dei Cedri con l’interruzione dell’invio mensile di circa 23 milioni di dollari al governo di Ismail Haniyeh, che controlla dal 2007 la Striscia di Gaza.
«"Le nostre relazioni con l’Iran vanno male», ammette Ghazi Hamad, vice ministro degli Esteri di Hamas. Da qui la reazione dello sceicco Yusuf alQaradawi, una delle voci più ascoltate dai fondamentalisti sunniti, che dal Cairo chiede ai musulmani di «stringersi attorno ai combattenti di Qusair» definendo Hezbollah, iraniani e alawiti - la setta a cui appartengono gli Assad - «nemici dell’Islam peggiori degli ebrei e dei cristiani».
I fondi iraniani venuti meno a Gaza saranno sostituiti da donazioni delle monarchie del Golfo, accomunate dalla volontà di «agire assieme contro gli Hezbollah» come recita la dichiarazione congiunta dei ministri del Consiglio di cooperazione del Golfo riuniti a Gedda. Il Bahrein è stato il primo a proibire ai cittadini ogni rapporto con Hezbollah e gli altri cinque Paesi membri - Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati e Oman - preannunciano misure analoghe. La rottura Hamas-Hezbollah evidenzia la trasformazione della guerra civile siriana in un conflitto sunniti-sciiti che evoca, per violenza ed estensione, quello combattuto fra Iraq e Iran dal 1980 al 1988. «La scelta di Hezbollah di entrare apertamente nel conflitto siriano compiuta da Nasrallah con il discorso del 25 maggio - commenta Jeffrey White, analista di intelligence del Washington Institute - può rivelarsi la svolta militare a favore del regime di Assad, ma le conseguenze saranno molteplici».
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Nella moschea sciita difesa dai kalashnikov. «Pronti a morire sotto questa cupola d'oro»"
Davide Frattini Bashar al Assad
SAYIDA ZEINAB (Damasco) — La data di morte sulle lapidi bianche e le nuove fosse rassegnate a essere riempite raccontano le battaglie di questi giorni. I ritratti dell'imam Hussein e il mausoleo per la sorella Zeinab custodito sotto la cupola d'oro spiegano che la guerra qua attorno risale a milletrecento anni fa. La moschea e il cimitero sono circondati da blocchi di cemento. Le guardie pattugliano il parcheggio, dove prima del conflitto gli autobus scaricavano i pellegrini e i turisti, ogni anno ne arrivavano a milioni. Adesso le vetrine dei negozi che esponevano souvenir religiosi sono distrutte, gli alberghi costruiti per i visitatori requisiti dai miliziani. Pellegrini anche loro, devoti armati di kalashnikov, approdati in questa città per proteggere uno dei luoghi più sacri agli sciiti. I dieci chilometri di strada a sud di Damasco attraversano le campagne da dove i ribelli premono verso la capitale. I palazzi devastati dai bombardamenti del regime, il rudere di un minareto, il guardrail incurvato dalle auto costrette a sbandare per evitare i colpi dei cecchini piazzati dai rivoltosi. In queste zone gli scontri più duri sono cominciati quattordici mesi fa. «Adesso la situazione nei quartieri vicini alla moschea è migliorata», spiega Ali. Sta seduto nel suo ufficio dentro al cortile d'ingresso, i sacchi di sabbia sulla finestra tengono fuori i proiettili e il riflesso abbagliante del sole sul marmo bianco. Dietro la scrivania manca la foto di Bashar Assad, al posto del presidente siriano sta appesa la trinità religiosa e guerriera degli sciiti: l'ayatollah iraniano Ali Khamenei, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah e Imad Mughniyeh, che del movimento libanese era lo stratega militare prima che gli israeliani lo eliminassero cinque anni fa. Ali è siriano, lavora qui come capo della sicurezza da dodici anni, esprime tutta la riconoscenza per gli ufficiali di Hezbollah: «Ci hanno insegnato come combattere i ribelli e ci hanno fornito i materiali. Grazie a loro gli ultimi tre mesi sono stati più tranquilli». Nega che i miliziani dalla bandiera giallo-verde combattano ancora in queste zone, vuole precisare che i soldati dispiegati a protezione della moschea sono solo locali. Eppure chiede di non fotografare chi indossa la mimetica e intima di non fare domande: l'accento in arabo potrebbe indicare l'origine in una delle nazioni vicine. Come l'Iraq, da dove i gruppi sciiti incitano a difendere la tomba e i due minareti ricoperti di mattonelle blu. La Brigata Abu al-Fadl al-Abbas — intitolata all'altro fratello di Zeinab, anche lui martire venerato dagli sciiti — è nata per raccogliere i volontari. «La maggior parte viveva già in Siria. Stanno lì con un solo compito: proteggere il mausoleo», racconta dall'Iraq uno dei comandanti all'agenzia Reuters. «Vogliono evitare quello che è successo da noi, quando la distruzione della moschea Imam al-Askari a Samarra (l'attentato è stato attribuito ad Al Qaeda) ha scatenato la carneficina tra sciiti e sunniti». La Brigata ha però diffuso due video su Internet che rinforzano l'astio millenario. Il primo filmato mostra il tempio danneggiato da un colpo di mortaio, uno dei lampadari in cristallo rovesciato sul pavimento, le immagini accompagnate dalla minaccia «taglieremo le mani ai colpevoli». L'avvertimento diventa più preciso nel secondo spezzone, messo online un paio di mesi fa: «Se riceveremo l'ordine, bruceremo Damasco per cacciare voi ribelli dell'Esercito siriano libero. Non permetteremo che Zeinab venga fatta prigioniera una seconda volta». Tra i palazzi non intonacati di questa città sono rimasti quasi solo gli sciiti e altri ne sono arrivati dai villaggi finiti sotto il controllo dei rivoltosi. Le donne attraversano la prima linea per venire al mercato che affolla le vie attorno alla moschea. È più sicuro che a casa loro, i botti degli scontri risuonano da un chilometro di distanza. Dall'altra parte delle barricate — raccontano i soldati — stanno nascoste le truppe di Jahbat al-Nusra, gli estremisti sunniti che affiancano le forze ribelli. È loro che Ali accusa degli attacchi contro il mausoleo. «I sunniti non fondamentalisti sono sempre venuti qui a pregare. Il problema sono gli stranieri, i wahabiti». Sono quelli che Nasrallah nel discorso di dieci giorni fa ha chiamato takfiri, islamici che accusano altri islamici di apostasia e per questo sono pronti ucciderli. Lo scontro religioso trasforma la Siria in un campo di battaglia internazionale, come avvertono le Nazioni Unite. A Damasco è arrivata una delegazione di quaranta tunisini, madri e padri di guerrieri salafiti che hanno lasciato i villaggi per venire a combattere contro il regime di Assad e la minoranza alauita (vicina agli sciiti) al potere. Oggi in una cerimonia pubblica dovrebbero incontrare i ragazzi catturati dall'esercito e lanciare un appello per la riconciliazione a quelli che ancora imbracciano il fucile mitragliatore. Prima della rivolta e del conflitto che in oltre due anni hanno superato i novantamila morti, Sayida Zeinab era la più popolosa tra le città satelliti attorno alla capitale. I profughi iracheni sono scappati qui dalla guerra settaria che ha devastato il loro Paese e che adesso rischia di ripetersi dalla Siria al Libano. Jihad Ahmed è arrivato nel 2007, quando la sua casa a Bagdad è stata distrutta e la moglie è morta: «Ho trovato la sicurezza, la situazione resta migliore». Akil Shaqer al-Abbadi ha accompagnato un gruppo di pellegrini da Najaf un mese fa e ha deciso di rimanere, pulisce le camere in uno degli hotel e per ora non ha perso il lavoro. Com'è successo invece a Mohammed, un altro iracheno: la cava di pietre ha chiuso, sta sulla linea del fronte, adesso la sua famiglia sopravvive con le razioni di riso e farina distribuite dalle Nazioni Unite. Le lacrime e la grata d'argento velano il sarcofago di marmo intarsiato, la tomba della nipote di Maometto. Gli uomini appoggiano la testa in preghiera, piangono per l'emozione e per la rabbia di un massacro commesso a Karbala nel 680. Sono pronti a vendicare i loro morti, di oggi e di allora.
La REPUBBLICA - Tony Blair : "Il filo che unisce i killer di Londra alla tirannia di Damasco "
Tony Blair
L'analisi di Tony Blair parte da un pressuposto sbagliato, quello secondo il quale esisterebbe un islam tollerante (e maggioritario) disponibile al dialogo e alla convivenza pacifica e che l'Occidente dovrebbe puntare su quello per arginare il terrorismo e risolvere la crisi in Siria. Wishful thinking e basta. E' sufficiente vedere che cosa sta succedendo in Turchia, la patria di questo inesistente islam moderato, per rendersi conto della realtà. La democrazia islamica è un miraggio. L'Occidente non può farci nulla, se non difendersi dagli attacchi.
L'omicidio a Londra di Lee Rigby può essere visto in un modo solo: come un atto orribile. Ma il significato di questo omicidio può essere visto in due modi. O come l'azione di squilibrati, spinti in questo caso da un'idea distorta dell'islam, ma senza implicazioni più generali. I folli fanno cose folli, non è il caso di reagire in modo scomposto. Oppure come un'azio-neorrendaispiratadaun'ideo-logia radicata e pericolosa. Ed è così che lo vedo io. Perciò sì, non è il caso di reagire in modo scomposto. Dopo gli attentati del 7 luglio 2005 non reagimmo in modo scomposto. Però reagimmo. E reagimmo nel modo giusto: le iniziative dei nostri servizi di sicurezza sono servite sicuramente a prevenire altri attentati gravi. Il programma "Prevent", ali-vello locale, era sensato. Le nuove misure del Governo sembrano ragionevoli e proporzionate. Però ci illudiamo se pensiamo di poterproteggere il nostro Paese solamente attraverso quello che facciamo qui. L'ideologia da cui è nato l'omicidio di Rigby è là fuori e non mostra segnali di cedimento. Prendete il Medio Oriente. Al momento la Siria è in stato di disintegrazione accelerata: il presidente Assad annienta brutalmente le comunità ostili al suo regime, almeno 80 mila persone sono morte, i rifugiati ormai superano il milione, gli sfollati sono più di quattro milioni. Nella regione molti sono convinti che l'intenzione di Assad sia quella di ripulire dalla popolazione sunnita le aree controllate dal suo regime e poi creare uno Stato distinto intorno al libano: nel resto della Siria nascerebbe uno Stato sunnitadefacto, tagliato fuori dalle ricchezze del Paese e dallo sbocco al-mare. L'opposizione siriana è composta da molti gruppi: sta crescendo l'influenza di Jabhat al-Nusra, un'organizzazione affiliata ad al-Qaeda che si sta procurando consensi, armi e denaro dall'estero. Assad sta facendo uso di armi chimiche, in misura limitata ma micidiale. E una parte delle scorte è stoccata in zone fortemente contese. L'Occidente ha una gran voglia di restare fuori dalla guerra siriana. È comprensibilissimo. Ma dobbiamo comprendere anche che siamo all'inizio di una tragedia che può, con ogni evidenza, destabilizzarel'intera regio-ne. La Giordania si sta comportando in modo esemplare, ma c'è un limite al numero di profughi che pub ragionevolmente assorbire. Il Libano è a rischio, con l'Iran che spinge Hezbollah a prendere parte alla lotta. In Iraq, alQaeda cerca di nuovo di provocare cameficine e l'Iran continua a tessere le sue truculente trame. A Sud, in Egitto e in tutto ilNordafrica, i partiti che fanno riferimento ai Fratelli musulmani sono al potere, ma la contraddizione fra l'ideologia e la capacità di gestire un'economia moderna li espone a un'instabilità crescente e alle pressioni di gruppi più estremisti. E poi c'è il regime iraniano, che continua nei suoi sforzi per dotarsi della bomba atomica e continua a esportare terrore e instabilità a occidente e a oriente. Nell'Africa subsahariana, la Nigeria deve far fronte a terribili attentati terroristici. In Mali, la Francia sta combattendo una battaglia difficile. E non abbiamo citato il Pakistan o lo Yemen. Andate in Estremo Oriente e guardate quello che succede al confine tra Birmania e Bangladesh. Guardate gli eventi recenti nel Bangladesh stesso, o a Mindanao, nell'area di religione islamica delle Filippine. In molte delle zone più colpite dal fenomeno c'è un altro dato evidente: la rapida crescita della popolazione. L'età mediana in Medio Oriente è intorno ai 25 anni, in Nigeria di 19 anni. A Gaza, dove è al potere Hamas, un quarto della popolazione ha meno di 5 anni. Quando, fra breve, tornerò a Gerusalemme, sarà la centesima volta da quando ho lasciato la carica di premier che mi reco in Medio Oriente per lavorare alla creazione di uno Stato palestinese. Vedo con i miei occhi che cosa sta succedendo in quella regione. Capisco quindi il desiderio di guardare a questo mondo e spiegarlo facendo riferimento a torti locali, alienazione economica e ovviamente l'esistenza di "squilibrati". Ma è davvero possibile esaminare il fenomeno senza trovare nessun filo conduttore, niente che colleghi i diversi episodi, nessuna ideologia che alimenta o quantomeno ingigantisce tutti questi fattori? Non c'è un conflitto con l'islam: quelli di noi che lo hanno studiato non hanno alcun dubbio sulla natura autentica e pacifica. Non c'è un conflitto con i musulmani in generale: quasi tutti i musulmani britannici sono sicuramente inorriditi dall'omicidio di Lee Rigby. Ma c'è un conflitto all'interno dell'islam e questo conflitto nasce dai seguaci di un'ideologia che rappresenta una varietà dell'islam: e di questo bisogna discutere apertamente. Naturalmente esistono cristiani estremisti, ebrei estremisti, buddisti e induisti estremisti. Ma purtroppo questa varietà dell'islam non è appannaggio di una manciata di radicali: è un'ideologia incentrata su una visione della religione e dell'interazione fra religione e politica che non è compatibile con società pluralistiche, liberali e aperte. I terroristi sono la manifestazione più estrema, ma questa visione del mondo è più profonda e più ampia di quanto ci piacciaammettere. Ragion percui di solito non lo ammettiamo e questo produce due effetti. Il primo è che chi condivide quella visione pensa che siamo deboli e ne ricava forza. Il secondo è chele persone all'interno dell'islam - e la buona notizia è che sono tante - consapevoli dell'esistenza di questo problema e desiderose di fare qualcosa al riguardo, perdono coraggio. In tutto il Medio Oriente, e non solo, è in corso una lotta. Da un lato ci sono gli islamisti, con la loro visione del mondo esclusivista e reazionaria. Sono una minoranza importante, rumorosa e ben organizzata. Dall'altra parte ci sono le persone con una mentalità moderna, che odiavano prima la vecchia oppressione dei dittatori corrotti e odiano ora la nuova oppressione dei fanatici religiosi. Potenzialmente sono la maggioranza, ma purtroppo sono male organizzati. Si stanno gettando i semi di futuri fanatismi e terrorismi, forse addirittura di conflitti su larga scala. Noi dobbiamo dare una mano a gettare i semi della riconciliazione e della pace. Ma preparare il terreno alla pace non è sempre un processo pacifico. La guerra in Afghanistan e quella in Iraq, così lunghe e così difficoltose, ci hanno reso diffidenti verso la prospettiva di interventi armati in altri Paesi. Ma non dobbiamo mai dimenticarci che se questi conflitti sono stati così lunghi e complicati è perché abbiamo lasciato che si creassero Stati fallimentari. Saddam Hussein èstato responsabile di due guerre su ampia scala, in cui sono morte centinaia di migliaia di persone, spesso per effetto di armi chimiche. E oltre a questo ha ucciso anche centinaia di migliaia di iracheni. I Talebani sono nati dall'occupazione russa dell'Afghanistan e hanno trasformato il Paese in un campo di addestramento per terroristi. Una volta rimossi questi regimi, sia l'Iraq che l'Afghanistan hanno dovuto lottare contro le stesse forze che dappertutto promuovono violenza e terrore in nome della religione. L'impegno non dev' essere sempre e soltanto militare, e quando è militare non deve necessariamente comportare il dispiegamento di truppe. Ma non è disimpegnandoci da questa lotta che otterremo la pace. Né la otterremo puntando solo sulla sicurezza. Abbiamo tenuto testa al comunismo rivoluzionario perché abbiamo mantenuto la guardia alta sulla sicurezza, malo abbiamo sconfitto perché abbiamo puntato su un'idea migliore, la libertà. Lo stesso possiamo fare con la minaccia islam ista. L'idea migliore in questo caso è una visione moderna della religione e del suo posto nella società e nella politica. Dev'esserci rispetto e uguaglianza fra persone di fede diversa. La religione deve avere voce nel sistema politico, ma non lo deve governare. Dobbiamo cominciare individuando i modi per educare i bambini alla fede, qui e altrove. Per questo ho creato una fondazione che hacomeobbiettivo specifico quello di educare bambini di fede religiosa diversa in diverse parti del mondo a conoscersi fra loro e convivere fra loro. Siamo presenti ora in venti Paesi e i programmi funzionano. Ma è una goccia nell'oceano a confronto del mare di intolleranza insegnata a tantissimi. Ora più che mai dobbiamo essere forti e dobbiamo essere strategici.
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