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Guardare la realtà coi propri occhi Studentesse palestinesi seguono un seminario all'Università di Ariel (Samaria). Apartheid ? Cari amici, è in corso il viaggio di Informazione Corretta in Israele che ha come meta principale Giudea e Samaria, cioè quei territori che furono liberati dall'occupazione giordana nella guerra del '67 e che costituiscono il teatro del più antico insediamento del popolo ebraico: il paesaggio di Abramo e di re Davide, per intenderci. Ma se preferite, potete anche dire in maniera geograficamente inesatta “Cisgiordania” (“cis-” è un prefisso che significa “al di qua”, come nella napoleonica “Repubblica cisalpina”, opposto a un trans-, e in effetti c'era una volta una Transgiordania; se non che in effetti tutto Israele è geograficamente al di qua del Giordano, come tutto Israele risponde alla denominazione di West Bank, è cioè sul lato occidentale del fiume). Ancora più sbagliato è dire “territori occupati”, perché chi li occupò con la forza nel '49 fu la Giordania, che non ne aveva alcun diritto, e in effetti l'occupazione giordana allora non fu riconosciuta da nessuno Stato, a parte i Paesi arabi e la sua grande protettrice Gran Bretagna. Vi sono ottime ragioni legali per sostenere il buon diritto dell'amministrazione israeliana, o almeno per sostenere che il destino di questi territori debba essere deciso da trattative fra Israele e palestinesi, come fu stabilito ad Oslo. Peccato che i palestinesi queste trattative non le vogliano proprio, pongano ogni ostacolo e precondizione, e che dunque i territori restino contesi. Meglio chiamarli dunque Giudea e Samaria, come sono stati denominati da tremila anni. I lettori di Informazione certamente sanno di questo viaggio, perché l'annuncio è rimasto esposto sulla prima pagina del nostro sito per parecchie settimane. E' un evento raro, perché in genere su di essi) si hanno notizie di terza mano (quel che i giornali occidentali o i politici riferiscono su quel che raccontano loro i palestinesi). Ma a parte le solite visite a Ramallah delle delegazioni politiche e a Betlemme dei pellegrinaggi cristiani, quasi nessuno dei politici, dei giornalisti, dei pacifisti israeliani conosce la realtà sul terreno, per la semplice ragione che non ci va. E non ne sanno molto neanche gli ebrei italiani che magari se sono di sinistra deplorano “l'occupazione”, ma ne hanno pochissime informazioni. Buona parte di loro, che pure ha avuto cronache quotidiane di un viaggio banalissimo, sulle orme battutissime del solito turismo pacifista, organizzato da quel gruppo di estrema sinistra (o se preferite “diversamente sionista”), che si chiama in America J-Street e in Europa J-Call, non ne ha avuto nessuna informazione, perché i media dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che pure si autodefiniscono “la piazza aperta a tutti” dell'ebraismo italiano, di questa iniziativa non hanno ritenuto il caso di parlare. In attesa di un discorso più organico vi riferisco qui qualche impressione. In primo luogo, l'accesso. Alle zone amministrate da Israele secondo l'accordo di Oslo (definite “C” nel gergo diplomatico) si accede con grande facilità. Si passa una sorta di casello autostradale al passaggio dal territorio israeliano alla zona “C”, senza quasi fermarsi. In seguito le strade principali sono condivise, con automobili tanto a targa israeliana gialle quanto palestinesi a targa bianca e verde. La barriera di sicurezza si vede ogni tanto, soprattutto in forma di rete, che diventa un muro di cemento solo nei punti in cui l'esperienza mostra che ci sono pericoli dfi spari o di lancio di sassi che possono mettere in pericolo i passanti. Gli insediamenti ebraici sono spesso delimitati da un portone o da sbarre nella strada d'accesso; le strade che portano a zone ad amministrazione palestinese sono invece marcate da grandi cartelli rossi che intimano agli automobilisti ebrei israeliani un tassativo divieto d'accesso. A tratti vi sono pensiline per la sosta dei bus, che sono anch'essi visibilmente condivisi dalle due popolazioni. L'impressione generale è quella di un traffico molto misto e sciolto, per nulla angosciato, con una presenza decisamente scarsa di mezzi di polizia o militari. Oltre ad altre occasioni più specifiche di cui vi parlerò, abbiamo visitato l'università di Ariel, ben dentro in Samaria, oggetto di boicottaggi fra i virtuosi del politicamente corretto. L'università è bella, piena di verde, ottimamente organizzata con quattro grandi facoltà (ingegneria, scienze, medicina, studi umanistici e sociali) e due scuole (architettura e comunicazione). Ha quindicimila studenti, che è molto per queste latitudini ed è specializzate in minoranze etniche. Qui sono numerosi russi, etiopi ... e palestinesi, cioè ragazzi (e ragazze!) arabe che hanno scelto di studiare secondo i livelli di eccellenza del sistema di istruzione israeliano: nessuna discriminazione, nessun apartheid, tutto il contrario. La stessa cosa si può dire di una fabbrica di prodotti di plastica per il bagno che abbiamo pure visitato. Metà degli operai sono palestinesi (cittadini dell'Autorità Palestinese): prendono esattamente lo stesso stipendio e hanno esattamente le stesse garanzie sociali, lo stesso orario, la stessa possibilità di carriera dei loro colleghi israeliani, l'impressione è di un luogo in cui i rapporti sono distesi e assolutamente normali. Naturalmente anche questa fabbrica è oggetto di boicottaggi per il semplice fatto di sorgere al di là della linea armistiziale fra Israele e Giordania del '49. Nessuno però ha chiesto il loro parere a chi ci lavora, venendo da una parte e dall'altra. La stessa cosa accade a Maalé Adumim, che è una specie di grande quartiere satellite di Gerusalemme, dove i palestinesi lavorano nell'edilizia (e dunque la richiesta di blocco è un invito a licenziarli) e parecchie decine di beduini sono dipendenti comunali. A ovest della cittadina vi sono alcuni chilometri quadrati di territorio rimboschito, che sono diventati famosi sotto il nome di E1, dove ci potrebbe essere un'espansione edilizia del centro urbano ormai saturo. A questa collinetta hanno dedicato note diplomatiche e pensosi editoriali le più belle menti dei servizi diplomatici e dei grandi giornali internazionali, bevendosi la bufala propagandistica palestinese che qui si giochi la possibilità dei due Stati, perché l'edificazione di questa zona comporterebbe l'interruzione dei rapporti fra Nord e Sud del futuro territorio palestinese, cioè fra Ramallah e Betlemme. A parte il fatto che nessuno può dire oggi se e come questo territorio sarà delimitato, basta affacciarsi da una terrazza per vedere che vi è un sacco di terreno sgombero, anzi desertico, che degrada verso la lontana valle del Giordano, su cui ogni collegamento potrebbe essere tracciato. Insomma, basta venire qui, guardare con i propri occhi, cercare di comprendere e si vede facilmente come siano propagandistiche e inconsistenti le cose che si riciclano continuamente nella propaganda palestinese e purtroppo anche sulla stampa. Vi racconterò di più nelle prossime cartoline. Ugo Volli |
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