Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 01/06/2013, a pag. 1-13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Armi ai siriani. L’idea suicida dell’Occidente ". Dalla STAMPA, a pag. 17, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La jihadista made in Usa uccisa sul fronte siriano ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Armi ai siriani. L’idea suicida dell’Occidente "
Fiamma Nirenstein Bashar al Assad
Ribelli con la bandiera di al Qaeda
Una regola fissa in guerra è che fuoco chiama fuoco, quando si spara si sparerebbe, quando ci sono molti morti e feriti si cerca più sangue, le armi sono un magnete per nuove invenzioni belliche, e ciascuno degli attori approfitta per crearsi spazio mentre pretende di giuocare per la pace. Finché la realizzazione plastica dell'inferno su questa terra non conduce allo shock e alla rottura. Ci stiamo forse arrivando. Potrebbe accadere dopo che la follia siriana si sarà assommata alla nostra. È in atto una corsa alle armi, le nostre armi, in un’area dove i contendenti danno solo la garanzia di usarle con crudeltà, in preda a dinamiche incontrollabili, in cui ad Assad, oltre al gruppo affidabile dei ribelli, fa da contraltare un’organizzazione qaedista come Al Nusra, campione nell'arraffare tutto quello che spara, taglia, esplode.
Non se ne rende conto forse, la flebile e frastagliata Unione Europea i cui i ministri degli Esteri, dopo 12 ore di discussione lunedì, hanno deciso di non rinnovare l'embargo sulle armi agli insorti dal primo giugno. Chi fa capire di voler fornire armi per ora sono l'Inghilterra e la Francia. Troppo poco per funzionare come decisione dirimente, troppo per aiutare una soluzione alla prossima conferenza di Ginevra. La ministra degli Esteri italiana Emma Bonino ha fatto bene a dire che «non si tratta del momento più glorioso per l'Europa»: è molto difficile capire come le nostre armi (quali, quante?) possano davvero aiutare a distruggere il regime di Assad senza crearne un altro altrettanto sanguinoso.
Ci voleva coraggio (e il principale confusionario è Obama) alle prime stragi, le armi dovevano arrivare in tempo e nelle mani giuste. E prima che la Russia prendesse le parti di Assad con la promessa di un carico di armi più letali, i famosi missili S300. Assad dice che sono già nelle sue mani, molti sostengono che non sia vero, altri che comunque, se anche fossero già a Damasco, ci vorrebbero mesi prima di padroneggiarli. Eppure.. forse ci riuscirebbero rapidamente gli Hezbollah, il ben allenato gruppo sciita libanese terrorista che ha mandato ad Assad 7000 uomini militarizzati ai massimi livelli. I ribelli li odiano tanto che Salem Idriss, un capo militare ha dichiarato che «li inseguirà fino all'inferno», i libanesi sono orripilati di essere stati trascinati in questo disastro, anche Hamas si scontra col gruppo. Ma Nasrallah ha dietro l'Iran e anche la Russia, e mentre i nemici balbettano, lui minaccia tutti. Da poco ha detto chiaro che la vittoria di Assad è la premessa della sopravvivenza degli Hezbollah, svolta drammatica che proclama la presa iraniano-siriana sul Libano. E se i sunniti li attaccano fin dentro Beirut, Assad cerca di compensarli: gli S300, che sfacciatamente il ministro degli Esteri russo Lavrov seguita a definire missili da difesa, potrebbero passare in parte nelle mani di Nasrallah. Certo, Israele ha già dichiarato che se gli S300 dovessero arrivare dalla Russia, saprà cosa fare, ovvero, si può arguire, li distruggerà.
La risposta di Assad è stata inusitata: potrei lasciare che gruppi di resistenza, palestinesi e Hezbollah, attacchino Israele dal Golan come mi chiedono. È la prima volta che il regime siriano si avventura fin qui: il Golan è una terrazza di valore strategico dirimente, un'area tranquilla ormai da 40 anni, certo i missili S300 non ci starebbero bene. Israele può distruggere i missili ma i russi potrebbero irritarsi molto, dato che attribuiscono alle loro creature un valore strategico, per loro «garantiscono stabilità regionale contro le teste calde che vogliono intervenire in Siria». Considerazione acrobatica per chi ha sostenuto per anni e con accanimento che i missili difensivi americani dispiegati nell’Europa Orientale mettono a rischio la stabilità. Qui invece la garantiscono!www.fiammanirenstein.com
La STAMPA - Maurizio Molinari : " La jihadista made in Usa uccisa sul fronte siriano "
Maurizio Molinari Nicole Lynn Mansfield
Mostrando il passaporto e la carta di identità di Nicole Lynn Mansfield la tv siriana ha reso nota la morte della prima jihadista americana nelle fila dei ribelli. Mansfield è stata uccisa nei pressi di Idlib e, secondo Damasco, era entrata dalla Turchia assieme ad altri due volontari occidentali, entrambi britannici, anch’essi rimasti uccisi in un conflitto a fuoco. Viaggiavano su un’auto sulla quale, sempre secondo Damasco, vi erano le insegne di Jubhat al-Nusra, il gruppo affiliato ad Al Qaeda.
Il Dipartimento di Stato da Washington conferma solo la nazionalità americana di Mansfield mentre è il «Detroit Free Press» che, grazie a testimonianze locali, ricostruisce la storia della donna di 33 anni. Mansfield era di Flint in Michigan, la stessa città del regista Michael Moore, uno dei angoli più impoveriti del Midwest. «Alcuni anni fa aveva sposato un arabo - racconta la nonna, Carole Mansfield - e si era convertita all’Islam, mantenendo questa fede dopo il divorzio».
Si spiega così il velo, con il quale aveva scattato le foto dei documenti trovati sulla salma. Tre anni fa Mansfield era partita per il Medio Oriente, dicendo alla famiglia che andava a Dubai, da dove era tornata «mostrando atteggiamenti insoliti, strani che mi insospettirono soprattutto per quanto diceva su Israele» ricorda il padre Gregory Mansfield, che andò all’Fbi. Da allora «gli agenti la tenevano d’occhio» assicura il padre, sollevando interrogativi su quello che appare come un altro scivolone dell’Fbi. Lo scorso dicembre, la nonna la vide per l’ultima volta Nicole Lynn quando le disse che «sarebbe andata in Siria a risolvere i problemi del mondo». La notizia della morte è arrivata con una telefonata del Dipartimento di Stato al padre. La nonna è distrutta: «Siamo una famiglia di veri americani». «Quanto avvenuto ci fa star male - aggiunge la zia, Monica Speelman - non credo che Nicole fosse una terrorista ma solo Dio sa la verità».
Se per la famiglia si tratta di uno shock lacerante, per l’America è la conferma che il jihadismo nazionale produce non solo attentatori come i fratelli ceceni Tsarnaev che hanno attaccato la maratona di Boston ma anche donne pronte a combattere al fronte in Siria. In marzo Jez Littlewood, direttore del Centro di studi canadese sull’Intelligence, aveva sollevato l’attenzione sui «volontari occidentali di Jabhat al-Nusra», svelando i timori di Ottawa in proposito. Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, è stato finora il più esplicito nel definire la Siria come «la principale destinazione dei jihadisti nel mondo» e il governo olandese ha ammesso che «circa un centinaio di individui ha lasciato il nostro Paese per raggiungere Medio Oriente e Nordafrica ma soprattutto la Siri» mentre la scorsa settimana «Der Spiegel» ha svelato l’esistenza di un video online in tedesco nel quale si incita a «volare dalla Germania alla Siria per combattere la Jihad».
A mettere assieme come in un mosaico le informazioni sui jihadisti occidentali in Siria è il Centro internazionale per lo studio dell’estremismo con un rapporto di Aaron Zelin, studioso al Washington Institute della trasformazione di Al Qaeda, nel quale si legge che «oltre cento britannici, cento olandesi, almeno 50 francesi, dozzine di tedeschi e 45 danesi sono andati in Siria». Il numero complessivo di jihadisti europei impegnato a combattere sul campo contro il regime di Assad viene stimato fra 140 e 600 combattenti «pari al 7-11 per cento del totale degli stranieri» che in gran parte sono arabi anti-Assad o iraniani e Hezbollah libanesi pro-Assad. Dai dati che sono già stati uccisi volontari islamici provenienti da Albania, Gran Bretagna, Bulgaria, Danimarca, Francia, Kosovo, Spagna e Svezia mentre vi sarebbero anche contingenti di volontari belgi, finlandesi, tedeschi e irlandesi.
«Sono europei che vanno in Siria per combattere in tre tipi diversi di unità» spiega Zelin, riferendosi a «Esercito di liberazione siriano, jihadisti affiliati ad Al Qaeda e gruppi indipendenti», dando vita ad un fenomeno che «ricorda da vicino quello dei volontari internazionali nella guerra civile spagnola». Per Interpol ed Fbi è la conferma del rafforzamento dei jihadisti dentro l’Occidente.
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