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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.05.2013 Tunisia: Amina Tyler a processo
cronaca di Davide Frattini, commento di Joumana Haddad

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 maggio 2013
Pagina: 16
Autore: Francesco Battistini - Joumana Haddad
Titolo: «Tunisia, processo ad Amina l'attivista araba in topless. Islamici scatenati in tribunale - Difendo lei e Femen, ma protestare a seno nudo non è una vera libertà»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/05/2013, a pag. 16, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Tunisia, processo ad Amina l'attivista araba in topless. Islamici scatenati in tribunale ", l'articolo di Joumana Haddad dal titolo " Difendo lei e Femen, ma protestare a seno nudo non è una vera libertà ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Francesco Battistini - " Tunisia, processo ad Amina l'attivista araba in topless. Islamici scatenati in tribunale "


Francesco Battistini           Amina

IL CAIRO — Imputata Amina, che ci facevi con quella bomboletta? «Era peperoncino. Me l'hanno dato i giornalisti stranieri, lo porto con me da due mesi». Imputata Amina, volevi attentare alla sicurezza pubblica? «No. Volevo difendermi dalle aggressioni». Imputata Amina, sei condannata a 200 dinari d'ammenda: puoi pagare? «Sì, vostro onore». La seduta è tolta, lo scandalo rimane, le minacce non finiranno. Già insultata sul pubblico web per le foto a seno nudo e quell'inaudita rivendicazione scritta sulla pelle, «il mio corpo è mio», già inseguita dai lapidatori sulla pubblica via e quasi disconosciuta dalla spaventata madre, «mia figlia è una pazza depressa», a 18 anni Amina Sboui, nickname Tyler, ragazza simbolo della ribellione femminile tunisina, ha subìto il suo primo processo. L'accusa: detenzione illegale d'ordigno (un semplice spray lacrimogeno per autodifesa, per la verità). La difesa: «Solo un processo politico». La condanna: 100 euro. Con la pena accessoria delle urla di duecento salafiti furibondi che ieri da mattina a sera, «che vada all'inferno!», hanno accerchiato il tribunale di Kairouan e aggredito, «luridi pervertiti!», anche gli avvocati difensori.
Dalla rivoluzione dei gelsomini alla rivolta del peperoncino. Un sorriso nervoso avvolto nel candore del safsari, il velo bianco tunisino, Amina era sparita da Kairouan dopo avere sfidato l'adunata nazionale di Ansar Ashari, i partigiani della legge islamica. Più che arrestarla, quel 19 maggio, la polizia l'aveva sottratta al linciaggio. E per detenerla, le aveva rinfacciato prima d'essersi denudata in strada (falso), poi d'avere profanato la moschea scrivendo «Femen» sul muro del cimitero (non provato), quindi d'avere danneggiato l'immagine della quarta città santa dell'Islam (istanza rigettata). Alla fine l'unica contestazione possibile, l'arma impropria, punita da sei mesi a cinque anni sulla base d'un decreto ottomano del 1894, è stata quella che l'ha portata alla sbarra e riportata alla cosa che in fondo più desidera: la ribalta.
«Sono fiero di mia figlia — dice adesso papà Munir —. La sua storia è sempre più politica: compie azioni magari sventate, ma difende le sue idee». Per difenderle, a Kairouan sono spuntate pure tre femministe tedesche e francesi di Femen, che davanti al tribunale hanno officiato a uso fotografi il solito rito del seno nudo con la scritta «revolution», specialità del movimento: è la prima volta che lo fanno in un Paese arabo, annunciano che «la primavera delle donne sta arrivando», la stampa tunisina scrive che «dovremo abituarci a queste visite e alle reazioni scomposte dei musulmani radicali».
Non finisce qui. Perché, come dice il governatore della città Abdelmajid Logmen, che per parte sua avrebbe inflitto «a quella svergognata» una pena esemplare, a Kairouan non s'è processato solo il possesso d'uno spray urticante: dentro e fuori l'aula, accusa e difesa rappresentavano le due Tunisie che si scontrano dalla caduta di Ben Ali. Nelle proteste femminili contro la riforma della Costituzione, che vorrebbe calibrare i diritti civili a seconda del sesso. Nei goffi tentativi di Ennahda, il governo islamico, di ridare alle donne veli e veti. Nell'instabilità prima sociale e poi politica che ieri ha spinto Moody's a tagliare di nuovo il rating. I baci saffici della «Vita di Adele», girati da un regista tunisino e trionfatori a Cannes, saranno proiettati in tutto il mondo, meno che in Tunisia: un po' come la vita di Amina.

Joumana Haddad - " Difendo lei e Femen, ma protestare a seno nudo non è una vera libertà "


Joumana Haddad

Joumana Haddad sostiene che la protesta di Amina non sia efficace.
Usare il proprio corpo nudo non è la soluzione.
Non entriamo nel merito, però notiamo che Haddad si limita esclusivamente a criticare le modalità di protesta scelte da Amina, senza proporre un'alternativa.
Haddad conclude con queste parole l'articolo "
Finché non impariamo, noi donne, a utilizzare le nostre voci e menti invece dei nostri corpi, non si potrà parlare di emancipazione". Un po' troppo criptico. Che cosa avrebbe dovuto fare Amina? Da qualche parte si deve pur iniziare. Forse la via del seno scoperto non è vincente  a lungo termine, ma ha il pregio di aver attirato l'attenzione dei media e delle femministe occidentali, di solito silenziose quando si tratta di discriminazione delle donne nei Paesi islamici.
Ecco il pezzo:

Innanzitutto devo dire che sento la responsabilità di difendere Amina e le altre attiviste di Femen. Non perché la loro strategia mi convinca, ma perché ne abbiamo abbastanza in questo mondo di guerre interfemministe, e sopratutto dello scontro tra femminismo coloniale («aiutiamole») e femminismo orientalista («il burqa è un relativismo culturale da rispettare»), ogni volta che si discute la situazione della donna araba. Una cosa è avere una posizione critica nei confronti di una forma di protesta, un'altra cosa è cancellare l'importanza di una lotta particolare perché non è nostra. Quindi difenderò Amina, sì, e il suo coraggio quasi mortale, anche se non mi persuade il suo modo di protestare. Lo trovo controproducente, non solo nel mondo arabo, ma anche in Occidente. E spiegherò il perché. La mia posizione è scettica, perché utilizzare la nudità della donna (ed è una nudità dalla plastica perfetta, devo aggiungere) per protestare contro l'oppressione della donna, ci fa girare nello stesso circolo vizioso dello sguardo patriarcale, che ci detta come ottenere la sua benedetta attenzione. Ne ho abbastanza, come donna, di sentirmi dire: «Hai due scelte davanti a te: o ti copri tutta intera o ti spogli per dimostrare la tua libertà». Per me, questi due modi di fare si assomigliano, perché da entrambe le parti non c'è vera scelta, e non c'e soprattutto dignità femminile. E non trascuriamo il fatto che questo estremismo provocatorio delle Femen nutre la causa del mostro salafita e consolida la sua posizione invece di minacciarla. Vi dice questo la prima donna ad aver proposto una rivista sul corpo nel mondo arabo, quindi non sono una che può essere accusata di essere pudica nei riguardi del corpo. Ma una cosa è discutere del corpo in generale, non solo quello della donna, in modo profondo per oltrepassare i tabù e arrivare a una vera liberazione sessuale, e un'altra cosa è utilizzare i seni per farsi ascoltare e proclamare: «Non ce la faccio più». Finché non impariamo, noi donne, a utilizzare le nostre voci e menti invece dei nostri corpi, non si potrà parlare di emancipazione. Nè nel mondo arabo, nè altrove.

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