sabato 21 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
30.05.2013 Pakistan: drone americano ammazza capo talebano
cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 30 maggio 2013
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Droni di nuovo in azione. Ucciso il numero due dei taleban in Pakistan»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/05/2013, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Droni di nuovo in azione. Ucciso il numero due dei taleban in Pakistan".


Maurizio Molinari              Wali Rehman

Con un attacco di droni nel Nord Waziristan la Cia ha eliminato Wali Rehman, vice-comandante dei taleban pakistani, mettendo a segno la vendetta contro il mandante della strage di Khost nella quale morirono sette agenti di Langley. Su Rehman, 43 anni, pendeva una taglia da 5 milioni di dollari assieme alla definizione di «terrorista globale» assegnatagli dal governo americano nel 2010 per la guida del gruppo islamico Tarike-Taleban implicato in ripetuti attacchi alle forze Usa in Afghanistan e tentativi di colpire il territorio americano.

In particolare Rehman fu il regista del sanguinoso attacco subito dalla Cia il 30 dicembre nel 2009 a Khost, in Afghanistan, quando un agente doppio riuscì a farsi esplodere dentro la base di Camp Chapman uccidendo anche il capo stazione locale dell’intelligence. È stato Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, a ricordare che «Rehman si è macchiato dell’attacco terribile di Khost». Il vicecomandante dei taleban aveva la base operativa nel Sud Waziristan e non nascondeva gli intenti: nell’agosto di due anni fa a consegnò alla tv Al Arabiya la minaccia di mettere a segno contro «l’America e la Nato» un «attentato più grande dell’11 settembre» causando migliaia di vittime. La sua parabola si è conclusa alle 3 del mattino di ieri, ora di Islamabad, quando almeno un missile ha centrato la casa dove si trovava nel villaggio di Chashma Pull, causando la morte anche di altre quattro persone, inclusi due militanti uzbeki. Testimoni locali hanno parlato di «grandi esplosioni» con la «completa distruzione» dell’area, lasciando intendere che l’attacco è stato massiccio. Rehman era un «Most Wanted» - un super ricercato - non solo dalle forze americane ma anche dai pakistani perché i suoi miliziani hanno più volte compiuto azioni contro obiettivi governativi.

I rapporti con il comandante dei taleban, Hakimullah Mehsud, sono stati altalenanti e, secondo fonti pakistane riportate dal «New York Times», recentemente avrebbero avuto dei dissensi. Islamabad ha reagito con «preoccupazione» al blitz, assegnando al ministero degli Esteri il compito di ribadire che «gli attacchi con i droni sono controproducenti perché violano la legge internazionale, la sovranità nazionale e causano vittime civili». È una posizione in sintonia con le opinioni del neopremier Nawaz Sharif, favorevole a una drastica riduzione delle attività dei droni.

In realtà Rehman era un ostacolo anche per Islamabad in vista del ritiro delle truppe Nato nel 2014, quando la responsabilità del conflitto con i taleban ricadrà sulle forze pakistane e afghane, e non si può escludere che il Pakistan abbia dato un tacito assenso all’eliminazione. Per la Casa Bianca si tratta del tredicesimo attacco dei droni nel 2013 - sono quasi 400 dal 2004 - ognuno dei quali è autorizzato dal presidente degli Stati Uniti sulla base dei criteri che proprio Barack Obama la scorsa settimana ha ricodificato: «Rischi immediati per la sicurezza», «impossibilità di operare altrimenti» e impegno a «limitare vittime civili».

Il blitz dei droni coincide con la denuncia fatta a Londra da un gruppo di avvocati sulla detenzione nella base britannica in Afghanistan di Camp Bastion di almeno 90 presunti terroristi a cui non sarebbero state formalizzate accuse. Si tratta di una forma di prigionia che evoca quella di Guantanamo e, se confermata, sarebbe illegale in Afghanistan dove le truppe Nato hanno l’obbligo di formalizzare le accuse entro 96 ore dall’arresto. Ma Philip Hammond, ministro della Difesa britannico, nega detenzioni «illegali» assicurando che «rientrano nel mandato Onu» e che i 90 prigionieri «saranno consegnati agli afghani».

Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT