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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.05.2013 Politica estera americana, Obama come Bush ?
l'analisi avventata di Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 maggio 2013
Pagina: 1
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Metamorfosi di un leader»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/05/2013, in prima pagina, l'editoriale di Sergio Romano dal titolo " Metamorfosi di un leader ".


Sergio Romano          Barack Obama con George W. Bush

Sergio Romano dovrebbe fare maggiore attenzione quando 'analizza' la politica americana.
E' rimasta famosa la sua papera  di qualche anno fa, quando commentò la " sconfitta " di George W. Bush alle elezioni per il secondo mandato sul Corriere della Sera. Bush, infatti, vinse le elezioni, mentre Romano riempì due colonne in prima pagina per spiegare i motivi della sconfitta, evidentemente  non ci fu il tempo per correggere l'editoriale sulle copie del quotidiano destinate all'estero.
A salire in cattedra e fare analisi avventate si rischia di dare un'interpretazione che è il contrario di ciò che è accaduto.
Nel primo mandato Obama ha dato un'impronta alla politica americana esattamente opposta a quela del suo predecessore.
E' nel secondo mandato che, per molti aspetti, ne sta proseguendo la linea.
L'esatto contrario di quanto scrive Romano.
Ecco l'articolo:

Nel suo discorso alla National Defense University anche Barack Obama, come il suo predecessore, ha parlato di «guerra al terrorismo», una espressione che a molti europei parve, sin dall'inizio, eccessiva e pericolosa. Ma la parola «guerra», in questo caso, è stata usata con intenzioni e obiettivi alquanto diversi. Per George W. Bush, Dick Cheney, Donald Rumsfeld e un agguerrito manipolo di neoconservatori, la guerra proclamata dopo l'11 settembre avrebbe consentito agli Stati Uniti di mantenere la società in un permanente stato di allerta, di aggirare con nuove norme le regole della giustizia democratica, di invadere la vita privata di americani e stranieri, di colpire chiunque venisse definito «nemico» e di giustificare qualsiasi azione militare fosse considerata opportuna. «Guerra al terrorismo» era la formula passe-partout che il presidente avrebbe potuto usare a suo piacimento.
Durante il suo primo mandato Obama aveva già fatto capire la necessità di una svolta, ma non ha dato prova di grande coerenza. Non è riuscito a chiudere il carcere di Guantanamo. Ha permesso che la Cia continuasse ad agire come un esercito nell'ombra piuttosto che come un normale servizio d'intelligence. Ha tollerato i brutali interrogatori dei servizi di sicurezza. Ha autorizzato le discutibili incursioni dei droni anche quando il rischio di vittime civili era particolarmente elevato. Ha ignorato, nella migliore delle ipotesi, le indagini dell'Fbi che hanno recentemente coinvolto alcuni giornalisti. Prudenza elettorale in attesa di un secondo mandato? Desiderio di non perdere, al momento del voto, la parte più preoccupata e impaurita della società americana? È probabile. Ma il risultato è stato uno stridente contrasto tra ciò che il presidente diceva di voler fare e ciò che veniva fatto da alcuni organi dello Stato.
Oggi il periodo della duplicità e della ipocrisia sembra fortunatamente concluso. Nel suo discorso il presidente ha detto che ogni guerra deve terminare e che è giunto per l'America il momento di restaurare le regole dello Stato di diritto. Il mondo è ancora pieno di pericoli, ma la situazione, soprattutto dopo la morte di Osama bin Laden, ricorda ormai, secondo il presidente, quella degli anni precedenti l'11 settembre e non giustifica un perenne stato di emergenza. Non tutte le riforme e le correzioni annunciate nel discorso sono state chiaramente descritte, ma se il coraggio e la fortuna non lo abbandoneranno, Obama avrà avuto il merito di chiudere una brutta fase della storia americana.
Vi sono cose, tuttavia, che il presidente ha taciuto. Accanto alle responsabilità di Bush vi sono anche quelle dell'uomo che ha occupato la Casa Bianca nei primi quattro anni del suo mandato. Dopo avere proseguito l'azione del predecessore cercando inutilmente di vincere le guerre in Afghanistan e Iraq, Obama si lascia alle spalle, ritirando le truppe, due sanguinose guerre civili, due focolai destinati ad alimentare episodi di fanatica violenza come quelli recenti di Boston, Londra e Kabul. Se le condizioni del grande Medio Oriente sono ogni giorno più gravi, esiste anche un «capitolo Obama» che gli storici non potranno ignorare.

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