'La strada del coraggio', un libro su Gino Bartali la recensione di Mario Avagliano
Testata: Il Messaggero Data: 24 maggio 2013 Pagina: 25 Autore: Mario Avagliano Titolo: «Il coraggio del campione»
Riportiamo dal MESSAGGERO di oggi, 24/05/2013, a pag. 25, l'articolo di Mario Avagliano dal titolo "Il coraggio del campione".
Gino Bartali Aili and Andres McConnon, La strada del coraggio (ed. 66thand2nd)
«Oh, quanta strada nei miei sandali /quanta ne 40 avrà fatta Bartali / quel naso triste come una salita», cantava Paolo Conte. Ma è grazie ai suoi meriti extrasportivi, la partecipazione alla Resistenza e il salvataggio di molti ebrei, che Gino Bartali, il campionissimo italiano delle due ruote, è stato celebrato anche oltre Atlantico, con la pubblicazione del saggio "Road to Valor" dei canadesi Andres e Aili McConnon, fratello e sorella, rispettivamente ricercatore storico e giornalista di varie testate statunitensi (New York Times, Wall Street Journal e Guardian). Gino Bartali, staffetta partigiana, durante la Seconda guerra mondiale contribuì a sottrarre centinaia di ebrei tra Toscana e Umbria dalle grinfie dei nazifascisti, salvando un'intera famiglia dalla deportazione ad Auschwitz. Il libro made in Usa, che ripercorre le sue gesta, ora approda anche in Italia, proprio nei giorni della volata finale del Giro e alla vigilai del Tour, col titolo "La strada del coraggio—Gino Bartali, eroe silenzioso" (edizioni 66thand2nd). LA CANTINA RIFUGIO Inediti dettaglia su Bartali, classe 1914, originario di Ponte a Ema, frazione di Firenze, che nella sua leggendaria carriera ha vinto tre Giri d'Italia e due Tour de France, erano stati rivelati da Adam Smulevich su Pagine Ebraiche. In una testimonianza il fiumano Giorgio Goldenberg (che da quando vive in Israele ha cambiato il nome in Shlomo Pas) aveva raccontato che il popolare Ginettaccio e il cugino Armandino Sizzi nella primavera 1944 nascosero per mesi a Firenze, nella cantina della casa in via del Bandino, i quattro componenti della sua famiglia (padre, madre e due bambini, Giorgio e Tea), impedendone l'arresto da parte dei nazisti. Il libro, ricco di testimonianze e documenti, è diviso in tre parti e ricostruisce l'infanzia e la giovinezza del campione, fino al trionfo al Tour de France del 1938 (e Gino si lamenterà delle ingerenze politiche del regime fascista che gli impedirono di realizzare l'accoppiata Giro-Tour, vietandogli la corsa rosa); il periodo bellico, la sua militanza nell'Azione Cattolica, mal tollerata dal fascismo, e l'attività clandestina nella Resistenza; e poi, dopo la Liberazione, il ritorno alle competizioni, la storica rivalità tra Bartali e Fausto Coppi divise il tifo sportivo dell'Italia repubblicana, nel fervore della ricostruzione, trasformandosi anche in un fenomeno socio-politico: Coppi simil-Peppone, "rosso" e laico, e Bartali-don Camillo, "bianco" e cattolico. Fino alla seconda straordinaria vittoria al Tour del 1948, con gli occhialoni infangati di fango che in qualche modo allentò la tensione esplosa nel Paese dopo l'attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti, fino alla morte avvenuta a Firenze nel maggio del 2000. Memorabili le sue battute «L'è tutto sbagliato l'è tutto da rifare», il suo spirito bonario, il fumare come una ciminiera e la verve polemica da toscano, che non disdegnava il buon Chianti. LA RETE CLANDESTINA Bartali fu staffetta partigiana a partire dall'autunno 1943 su incarico dell' arcivescovo di Firenze, il cardinale Elia Dalla Costa, e al servizio della rete clandestina Delasem messa in piedi dall'ebreo pisano Giorgio Nissim. Il ciclista toscano fingeva di allenarsi perle grandi corse a tappe che sarebbero riprese dopo il conflitto ma in realtà trasportava documenti falsi, celati in una sorta di cilindro montato sulla canna della bici, simile a una pompa per tubolari, per circa 630 ebrei nascosti in case e conventi tra Toscanae Umbria. Centinaia di km percorsi in bici avanti e indietro, da Firenze ad Assisi (la strada del coraggio), per "consegnare" nuove identità alle famiglie ricercate con feroce determinazione dai fascisti della Rsi e dai nazisti. Bartali non si vanto mai di questa sua esperienza e non volle raccontarne i dettagli. «Non si specula sulle disgrazie altrui», soleva rispondere a chi gli chiedeva ulteriori ragguagli. Soltanto dopo la sua scomparsa, è stato possibile approfondire questo capitolo della sua esistenza, che potrebbe presto portarlo a essere iscritto nel registro dei Giusti del Museo Yad Vashem di Gerusalemme. E grazie a Ginettaccio, nel 2014 proprio la sua Firenze potrebbe avere l'onore di aprire il Tour De France. Una candidatura appoggiata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Conseil Représentatif des institutions juives de France. Quell'anno infatti si celebra il centenario dalla nascita di Gino Bartali, campione sulle due ruote e nella vita.
Per inviare la propria opinione al Messaggero, cliccare sull'e-mail sottostante