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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
24.05.2013 Attentato di Londra: sottovalutazione
La Stampa e Repubblica cercano strane giustificazioni per non guardare la realtà

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Maria Giulia Minetti - John Lloyd
Titolo: «Pazzi pieni di rabbia che trovano la scusa nell’Islam estremo - Quei giovani che sognano la jihad»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 24/05/2013, a pag. 13, l'intervista di Maria Giulia Minetti ad Hanif Kureishi dal titolo " Pazzi pieni di rabbia che trovano la scusa nell’Islam estremo" . Da REPUBBLICA, a pag. 16, l'articolo di John Lloyd dal titolo "Quei giovani che sognano la jihad ".

Sottovalutazione, con questa parola si può riassumere il senso delle 'analisi' di Hanif Kureishi e John Lloyd.
In generale, tutta l'impostazione della STAMPA di oggi è improntata sulla sottovalutazione. Si inizia con la titolazione in prima pagina, che insiste sul fatto che il terrorista sia inglese (prima che islamico), si prosegue nell'articolo di Alessandra Rizzo, la quale riporta le dichiarazioni dell'imam fondamentalista Choudary (lo stesso che vorrebbe un regime di shari'a in Gran Bretagna) sul terrorista : "
«Era una persona pacifica, senza pretese, e non c’era motivo di ritenere che avrebbe compiuto azioni violente», ribatte Anjem Choudary, un imam noto per le sue posizioni radicali. «Partecipava ad alcuni incontri e alle mie lezioni, ma non era necessariamente un membro di al Muhajiroun», aggiunge Choudary, riferendosi al gruppo da lui guidato che è stato messo fuorilegge dopo gli attentati terroristici del 2005 a Londra.".
Si può dare credito a un imam terrorista come Choudary?

al centro l'imam Choudary


Kureishi, invece, insiste sul fatto che il terrorista, più che islamico, sia pazzo e che usi l'islamismo come 'scusa' e semplice rifugio.
Lloyd si spinge oltre e arriva a sostenere che ci sia stato un"
cambiamento positivo subentrato nella società britannica negli ultimi dieci anni ".
Questo cambiamento positivo deriverebbe dal fatto che, in passato, le comunità islamiche avrebbero esultato in massa di fronte ad un attentato come quello di Londra, mentre oggi, solo un "
piccolo gruppo — il Comitato musulmano per gli affari pubblici che ha assunto una linea militante" lo ha fatto.
Questo sarebbe il miglioramento ? I fondamentalisti islamici continuano ad esserci,  diffusi in tutto il territorio inglese. Il fatto che non mettano i manifesti quando qualcuno di loro riesce a compiere un attentato, non significa che siano di meno. 
 
Secondo Lloyd, " I musulmani sono sempre più integrati nella vita britannica, sul posto di lavoro, nelle loro professioni, nella politica locale e nazionale". Talmente integrati che desiderano la distruzione della società in cui vivono.
Il terrorista Adebolajo è immigrato di seconda generazione, cittadino britannico, secondo Lloyd, perciò, ben inserito nella società.
Eppure non ha esitato a decapitare un uomo 'colpevole' di essere un soldato britannico cristiano.
Come si sposa questa realtà con le teorie di Lloyd ?

Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maria Giulia Minetti : " Pazzi pieni di rabbia che trovano la scusa nell’Islam estremo "


Hanif Kureishi

È stato il primo, nel 1989, a raccontare l’esplosione dell’ira musulmana a Bradford, i roghi dove i fedeli bruciavano «I versi satanici» di Salman Rushdie, lo scrittore «blasfemo». E poi in «The Black Album», 1995, in «Mio figlio è un fanatico», 1997, in tanti interventi e commenti Hanif Kureishi, romanziere, saggista, drammaturgo anglo-pachistano ha continuato a esplorare il nuovo fenomeno della rabbia islamica in terra britannica, le sette estremiste, le parole d’ordine incendiarie, l’invocazione della Jihad. Ma all’indomani dell’assassinio di Woolwich, davanti al soldato Lee Rugby massacrato come al mattatoio, di fronte alle mani insanguinate e alla mannaia di Michael Adebolajo, Kureishi sembra quasi prendere le distanze, «scorporare», per così dire, l’episodio da una storia più ampia.

Che cosa l’ha colpita di più, in quest’assassinio?

«La brutalità spaventosa. Non è il classico attentato terrorista dove si butta la bomba e si scappa, o ci si “immola”. L’impressione che ho avuto è di trovarmi di fronte a un pazzo, un vero pazzo».

Pare che Michael Adebolajo fosse collegato a un’organizzazione islamica estremista.

«Se vuoi uccidere, una giustificazione politica è un’ottima scusa. Voglio dire: chi è preda del desiderio di violenza va a cercarsi le ragioni per esercitarla, e in certa politica le trova in abbondanza».

L’assassino - il «terrorista» come l’ha definito Cameron - con ancora in mano la mannaia e le mani grondanti sangue ha detto che la sua azione era una risposta alle «nostre» violenze sui musulmani: «Occhio per occhio, dente per dente».

«Sì, i massacri in Palestina, in Afghanistan, in Iraq… Certo, sono lì per essere “vendicati”. È ovvio che suscitino una risposta, e che la risposta sia spesso terrorista. Ma un conto è un’azione mirata, un terrorismo organizzato, un altro l’esplosione di una furia assassina illogica, forsennata. A chi giova?»

Per lei, insomma, questo episodio è isolato, orrendo ma indicativo solo di una paranoia individuale...

«Dico che un’ideologia della violenza e del sacrificio, l’ideologia del terrorismo jihadista, è una calamita per chi cerca sfogo alla propria natura aggressiva. Si sa che i militanti jihadisti passano molto tempo guardando video di massacri, squartamenti, azioni sanguinose…»

Una droga, un eccitante?

«È un serpente che si mangia la coda. Il terrorismo è un mezzo per combattere, ma la violenza terrorista diventa un fine per molti “combattenti”»

Dunque molti episodi - anche questo, secondo lei - non testimoniano la diffusione della Jihad, la sua penetrazione, ma il fascino che esercita su menti malate. Che poi esplodono in modo eclatante…

«Pensi agli ultimi atti terroristici, quello di Boston e questo di Londra. Cos’hanno in comune? La “conversione” degli attentatori. Giovani, fino a una certa età indifferenti alla religione, di colpo diventato devotissimi, intransigenti; scoprono l’ingiustizia contro i musulmani, la perversione degli occidentali, e il desiderio e la possibilità di punirli esemplarmente. In pratica: scoprono la possibilità di dare sfogo alle loro pulsioni violente».

Lei dice: c’è una bella differenza tra azioni individuali come queste ultime di Boston e Londra e azioni complesse come quella contro le Twin Towers, per esempio.

«L’ideologia dietro a entrambe è di spaventosa violenza. Ma dietro le Twin Towers c’è una pianificazione razionale, qui c’è solo una follia individuale che s’aggrappa a una giustificazione ideologica».

A Boston un ceceno, a Londra un «nigeriano». Conta, nel percorso che porta all’esplosione violenta, l’eventuale emarginazione, il sentirsi «diversi» e respinti?

«Conta soggettivamente, forse. Ma nella realtà le cose stanno altrimenti. C’è un sacco di gente straniera, di cultura diversa, immigrata, che avverte la propria situazione in modo completamente diverso. Il punto è un altro. È la sponda che le ideologie estremiste offrono a tante menti deragliate. E il mondo è pieno di ideologie estremiste, purtroppo».

La REPUBBLICA - John Lloyd : " Quei giovani che sognano la jihad "


John Lloyd

Per paradossale che sia, il raccapricciante omicidio per le strade di Woolwich, mette in luce un cambiamento positivo subentrato nella società britannica negli ultimi dieci anni. Nel 2002, dopo l’attentato alle Torri gemelle di New York, molti musulmani britannici manifestarono apertamente la loro gioia. Questa volta, invece, soltanto un unico piccolo gruppo — il Comitato musulmano per gli affari pubblici che ha assunto una linea militante — dissente dalle condanne, e dichiara su Facebook che «queste persone hanno fatto ciò che hanno fatto per dire al mondo che sono stanchi di essere oppressi, colonizzati, uccisi per il solo fatto di essere musulmani». Nessun altro ufficialmente è d’accordo. Il Consiglio musulmano britannico, l’ente più importante di difesa dei musulmani, è stato categorico e ha fatto sapere che si è trattato di “un atto barbaro, che non ha presupposto alcuno nell’Islam». Gli sforzi del governo britannico, dei gruppi religiosi, di associazioni sociali e di altre organizzazioni ancora che si impegnano coinvolgendo quelle musulmane, hanno dato i loro frutti. Esprimendo nel migliore dei casi una presa di distanze dalla vita pubblica britannica, spesso adesso suonano più patriottici della maggior parte delle altre società e istituzioni britanniche. I musulmani sono sempre più integrati nella vita britannica, sul posto di lavoro, nelle loro professioni, nella politica locale e nazionale. Ma lo spirito della jihad è ancora vivo. Anima, più di chiunque altro, i giovani uomini. Ed è animato, più che da qualsiasi altra cosa, dalla Rete. Proprio come i fratelli Tsarnaev che il mese scorso hanno compiuto un attentato alla maratona di Boston dopo essersi ispirati ai siti web che esaltano la resistenza islamica a ogni tipo di infedele non musulmano — siti dai quali sono spinti a entrare in azione ovunque si trovino — , co- sì i giovani musulmani britannici radicalizzatati arrivano a credersi guerrieri in territorio nemico. Per alcuni giovani uomini particolarmente impressionabili è ineluttabile e attraente l’esempio di correligionari induriti dalla guerra che rimangono fedeli all’ideologia più violenta ispirata alla religione che vi sia sulla terra. «Siamo in guerra, e io sono un soldato» aveva detto Mohammed Siddique Khan, un giovane britannico di origini pachistane che nel 2005 si è messo a capo di una cellula di quattro giovani che hanno collocato le bombe nella metropolitana londinese e su un autobus. Questo grido ha ancora influenza. Uno dei due assassini di Woolwich il 28enne Michael Adebolajo, appartenente a una famiglia di solidi radici cristiane convertitosi all’Islam — ha detto a un passante che lo riprendeva che «noi giuriamo per l’onnipotente Allah che non smetteremo mai di combattere contro di voi…». Questi uomini vivono in Gran Bretagna, ma la loro vita mentale e spirituale è globale, si nutre di immagini e testi trovati su Internet, è incorniciata dal sogno di una jihad così potente da pensare di poter spazzare via i non credenti e spalancare le porte a un califfato globale. Questa visione millenaria è profondamente estranea a un Regno Unito in gran parte irreligioso, dove ciò pare esclusivamente stravagante tanto quanto sconvolgente. Ma proprio questo conferisce loro una forza diabolica. Così, benché la comunità musulmana sia oggi molto più integrata di un decennio fa, la minaccia non è scomparsa. Per taluni aspetti, è più evidente. I “soldati” dell’interpretazione violenta dell’islam, che “non smetteranno mai di combattere”, prendono ordini dallo schermo di un computer e giurano fedeltà a personaggi su Internet che non hanno mai incontrato né visto in carne e ossa. E la guerra continua.

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