Iran, elezioni: Khamenei ha già scelto il successore di Ahmadinejad commento di Tatiana Boutourline
Testata: Il Foglio Data: 23 maggio 2013 Pagina: 1 Autore: Tatiana Boutourline Titolo: «Khamenei è indeciso sul 'suo' presidente, ma c’è uno con la giacca giusta»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 23/05/2013, a pag. 1-4, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " Khamenei è indeciso sul “suo” presidente, ma c’è uno con la giacca giusta".
Tatiana Boutourline
Milano. Dopo l’eclatante bocciatura della candidatura di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e di Esfandiar Rahim Mashaei alla corsa elettorale dell’Iran prevista per il 14 giugno, la Guida suprema, Ali Khamenei, può rimirare soddisfatto i volti degli otto candidati scampati alla mannaia del Consiglio dei Guardiani. Il “dream team” – composto da Ali Akbar Velayati, Gholam Ali Haddad Adel, Mohsen Ghalibaf, Mohsen Rezai e Saeed Jalili – vanta un consigliere fidato, un consuocero, due ex pasdaran e un funzionario inappuntabile. Sono cinque sfumature di grigio, pronte a combattere per il cuore del leader supremo. Tanto per dare l’impressione che la scelta di un colore che non sia il grigio sia ancora possibile, sono stati graziati tre “moderati” – Mohammed Reza Aref, Mohammed Qarazi e Hassan Rowhani – riformisti light, poco noti alle masse e privi di carisma (forse soltanto Rowhani, il più conosciuto dalle cancellerie occidentali, ex negoziatore nucleare e amico di Rafsanjani, potrebbe turbare la perfezione dei curricula del casting di Khamenei). A Teheran, Internet è in coma, la polizia è ubiqua e sono riapparsi i reparti antisommossa. Lo sconfitto ex kingmaker Rafsanjani campeggia sulla prima pagina di Ebtekar: è di spalle, la consueta veste marrone non svolazza, la testa è piegato in avanti. Una scritta rossa recita: “Grande choc”. “Se l’ayatollah Khomeini fosse vivo oggi, anche lui sarebbe stato squalificato dal Consiglio dei Guardiani”, ha scritto in una lettera pubblica a Khamenei il deputato Ali Motahari, conservatore “indipendente”, cognato del capo del Majlis Ali Larijani e spin doctor di Rafsanjani. Da Qom il clero rumoreggia: bocciare il kuseh, lo Squalo, è una scelta impopolare per i businessmen di Teheran, per la classe media e per i conservatori tradizionali. E’ una frattura storica, prima ancora che istituzionale. Rafsanjani però ostenta calma. Piuttosto che supplicare Khamenei, Rafsanjani si appunta le stellette da martire e posa da padre saggio della patria. Chi invece non concede la resa è il presidente uscente, Mahmoud Ahmadinejad, che promette di combattere “fino all’ ultimo” per il suo delfino Mashaei. “Sono speranzoso, confido in una soluzione”, ha ribadito, intenzionato a bussare alla porta di Khamenei. Difficile però pensare che Mashaei, l’ideologo dei cosiddetti “deviazionisti”, un uomo ritenuto inadatto a una poltrona da vicepresidente (Khamenei ne bocciò la nomina), possa ambire a quella di presidente. Ci vorrebbe un dossier davvero esplosivo per far crollare il muro di Khamenei. Se Ahmadinejad ha davvero tra le mani la mossa vincente deve fare scacco adesso, perché la Repubblica islamica non è mai tenera con i perdenti e la parabola finale del presidente-pasdaran potrebbe divenire emblematica. Se la rivoluzione è capace di divorare i padri (Rafsanjani), figurarsi che può fare con i figli (Ahmadinejad). Nella confusione che regna tra conservatori falchi e “principalisti”, divisi tra rivalità e ripicche e incapaci di schierarsi dietro un candidato comune, l’unico che corre verso la meta apparentemente senza inciampo è Saeed Jalili. Il cosiddetto “fronte della perseveranza” pare averlo incoronato e anche Velayati e Haddad Adel sono inclini a sostenerlo. Così Jalili si muove con la sicurezza di chi pensa di avere già la vittoria in tasca. Qualche giorno fa ha tuittato una foto in un’occasione pubblica: è in prima piano con l’aria concentrata, mentre Rafsanjani è piccolo, con l’aria assente, sfocato sullo sfondo. Scott Peterson, che ne ha tracciato uno splendido profilo sul Christian Science Monitor, conferma l’impressione dei diplomatici che hanno incontrato il capo negoziatore nucleare di Teheran. Jalili può essere sorridente, perfino affabile, ma la sua cortesia è una maschera. In un dispaccio di Wikileaks del 2007 la nomina di Jalili viene interpretata come un segno di chiusura a ogni ipotesi di compromesso.“E’ impenetrabile”, dicono i consiglieri del capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, è “l’ uomo dei monologhi”: a ogni domanda oppone una dissertazione sulla doppiezza occidentale. Anche a cercare oltre la retorica l’impressione non cambia. “The mullah wore beautiful shoes”, scrisse la corrispondente del New York Times Elaine Sciolino quando Mohammed Khatami era l’uomo del momento e la parola d’ordine a Teheran era “dialogo tra le civiltà”. Jalili no. Calza scarpe dignitose ma modeste, del tipo di pelle che non va lucidata, scarpe consumate dietro il calcagno a indicare che il candidato le mette e le toglie di continuo schiacciandole quando le indossa dopo le preghiere rituali. Le camicie sono spesso senza collo e nessuna cravatta sacrilega appare a deturpare la sua apparenza da funzionario tutto d’un pezzo. Anche la fronte di Jalili “parla” con un vistoso segno circolare che gli scurisce la pelle nel punto in cui, quando si china a pregare, schiaccia il volto per terra contro un disco di terracotta. Come Ahmadinejad, Jalili ha conosciuto il campo di battaglia (la guerra e la rivoluzione hanno forgiato la sua visione del mondo); a differenza di Ahmadinejad il negoziatore non possiede il suo caratteristico tocco naïf. Khamenei deve augurarsi che l’apprendistato di Jalili non segua le tracce di quello dell’attuale presidente. Criticando l’operato del Consiglio dei Guardiani, il portavoce del dipartimento di stato americano, Patrick Ventrell, ha detto che la scelta dei candidati è ricaduta su personalità che rappresenteranno gli interessi del regime non del popolo iraniano. E’ un eufemismo (e anche pensare a Rafsanjani come a un salvatore della patria fa una certa impressione). C’è stato un tempo in cui nelle segrete stanze si smistavano interessi, si disciplinavano correnti, si formavano lobby. La Guida suprema accontentava gli uni e gli altri, ricomponeva fratture, creava alleanze. Non più. Khamenei è un uomo solo al comando che non cerca consenso, ma ubbidienza.
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