Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/05/2013, a pag. 17, l'articolo di Monica Ricci Sargentini dal titolo "«Islam radicale e democrazia? Incompatibili»".

'Ciò di cui abbiamo bisogno è la legge di Allah, non quella fatta dall'uomo'
E' utile dialogare, discutere, analizzare. Ma, facendolo, non bisogna perdere di vista la realtà e cadere nella tentazione del wishful thinking.
Non esiste un islam democratico. Basta vedere gli Stati islamici per rendersene conto.
L'intellettuale Abdullahi An-Naim, come riporta Ricci Sargentini, sostiene che si debba lasciare tempo ai Paesi della 'primavera' perché possano avere una transizione verso la democrazia. Quanto tempo, esattamente?
La realtà è semplice, i Paesi della 'primavera' sono passati dall'essere dittature laiche a dittature islamiche. La democrazia non c'entra nulla.
Ecco il pezzo:
La disoccupazione e il radicalismo islamista minacciano le nascenti esperienze democratiche nei Paesi arabi. In Egitto, Libia e Tunisia le costituzioni fanno riferimento alla sharia, la legge islamica. Ma il revival religioso può coesistere con una rivoluzione democratica? A questa domanda hanno cercato di rispondere intellettuali arabi, americani, israeliani, turchi ed europei riuniti da Reset-Dialogues a Istanbul per la sesta edizione dei Seminari che quest'anno avevano come titolo: «Le fonti della legittimità politica. Dall'erosione dello Stato nazione all'ascesa dell'Islam politico».
Per Michael Walzer, politologo dell'Università di Princeton, «la religione è più efficace del liberalismo nell'opporsi a uno stato autoritario o tirannico». Ma, al momento, «nel mondo islamico manca il pluralismo» e «il radicalismo non può convivere con la democrazia. Egitto e Tunisia saranno diversi dall'Iran? I partiti islamici si dicono moderni, pronti a cedere il potere se perdono le elezioni. Ma sarà vero? La Turchia ora è governata da democratici islamici ma sono preoccupato: le incriminazioni degli intellettuali e giornalisti non promettono bene».
C'è chi però invita a dare tempo al tempo. «Non è affatto detto che essere musulmani voglia dire essere contro il secolarismo — dice al Corriere Abdullahi An-Naim, professore alla Emory Law University di Atlanta e autore di numerosi libri sull'Islam — però penso che questa sia una faccenda che non riguarda l'Occidente. Per la prima volta non siamo più post-colonialisti ma past-colonialisti, nel senso che siamo andati oltre quell'epoca. Finalmente noi musulmani attraversiamo un processo di autoliberazione. Richiederà tempo. Ci saranno alti e bassi. Ma anche voi li avete avuti. Quando è arrivato in Italia il suffragio universale?».
An-Naim va anche oltre. Per lui lo Stato islamico è una contraddizione in termini perché «la religione non può essere imposta dall'alto, per un musulmano ciò che è importante è la Nyiah, cioè l'intenzione che si mette nel fare le cose». In questo senso, dice Jonathan Lawrence che insegna Scienze Politiche al Boston College, «staccare la religione dallo Stato sarebbe paradossalmente un passo verso l'utopia islamica perché ci sarebbe una maggiore indipendenza». Il secolarismo, però, viene rifiutato perché è «associato alle dittature di Ben Ali e Mubarak». Non è detto, comunque, che non ci si arrivi. «Questa non è una rivoluzione che avviene in un momento X come quella francese o americana — spiega Nora Fischer Onar, docente di relazioni internazionali alla Bahçesehir University di Istanbul e visiting fellow all'Università di Oxford —, le primavere arabe, come le fasi lunari e il movimento dei pianeti, sono molto più lente. Il modernismo islamico cerca di confrontarsi con la modernità occidentale per reinventare il suo immaginario sociale».
Tecnologia e globalizzazione potrebbero essere d'aiuto. «Le primavere sono un movimento di massa — dice Lisa Anderson, presidente dell'American University del Cairo — che è avvenuto nel mezzo della rivoluzione tecnologica il cui impatto potrebbe essere pari a quello della rivoluzione industriale. Impossibile immaginare che le persone che sono state protagoniste della loro stessa liberazione tornino ad essere soggiogate». Chi può dirlo? La tunisina Amel Grami, docente in studi arabi a Manouba in Tunisia, mostra l'immagine di un salafita che paga le bambine per mettersi il velo. E vengono in mente le parole di Walzer: «Dovunque vinca la religione fondamentalista il ruolo della donna è a rischio e non è uguale a quello dell'uomo».
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