Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 22/05/2013, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Gli ebrei fuggono in massa dal 'giardino delle rose' della Svezia".
Giulio Meotti Malmö, una manifestazione contro Israele
Roma. Nelle guide turistiche svedesi, la città di Malmö viene presentata come “il paradiso degli ecologisti”, ricca di biciclette, piste ciclabili e aree verdi. Inoltre, la terza città più grande, che è anche la più prosperosa della Svezia, è un simbolo dell’anima “moderna e cosmopolita” del paese scandinavo e di quel modello di uguaglianza, pari opportunità, alfabetizzazione, integrazione e welfare state.
In svedese si dice “folkhemmet”, la casa di tutto il popolo. Malmö è il simbolo di questa ideologia socialdemocratica e multiculturale su cui da decenni Stoccolma ha costruito il proprio modello di integrazione (in un paese che amava definirsi una “superpotenza morale”). Qui le tasse sono “skat”, ossia tesoro comune e bene al servizio della società. L’illusione era che una società prospera, indifferente alla religione, ideologicamente accogliente e tollerante, avrebbe sanato eventuali traumi da integrazione. Nell’area industriale che, un tempo, ospitava i cantieri navali della Kockums, oggi c’è il simbolo cittadino Turning Torso, il celebre grattacielo “a spirale” dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava che si è ispirato proprio a un torso umano. Le decine di etnie di Malmö sono come affratellate in un solo corpo organico. Eppure secondo il giornale Dagens Nyheter, mentre la vecchia città industriale si trasforma in “un melting pot internazionale pieno di ottimismo”, le famiglie ebraiche la stanno abbandonando.
Negli anni Settanta la comunità ebraica di Malmö contava oltre duemila membri, ma oggi sono rimasti in cinquecento, nota il quotidiano. “La maggior parte sono partiti per Stoccolma o per l’estero”. “Abbiamo mappato tutti gli ebrei di Malmö, siete stati selezionati per l’annichilimento”, recita una delle molte minacce arrivata alla comunità ebraica locale. La columnist del Jerusalem Post Caroline Glick ha scritto che “Malmö è uno dei posti più pericolosi in Europa per gli ebrei”. La Svezia è stata nel Novecento uno dei luoghi più accoglienti per gli ebrei, che sono circa ventimila in tutto il paese (da lì viene anche l’eroe di Budapest, Raoul Wallenberg). E proprio Malmö fu “lo shelter”, la città-rifugio dei molti ebrei scandinavi che riuscirono a fuggire alla deportazione nazista nella vicina Norvegia e Danimarca.
Durante gli anni Sessanta, anche tanti ebrei polacchi trovarono qui riparo, perseguitati dal governo comunista di Varsavia. Ora però qualcosa si è incrinato. Anche a livello di opinione pubblica. Un recente sondaggio recita che il 68 per cento degli svedesi ha una opinione “molto negativa” di Israele. Nessun altro paese occidentale ha percentuali simili. Profanazioni di cimiteri, bombe molotov contro i centri ebraici, assalti agli ebrei fuori dalla sinagoga oppure apostrofati con un “jävla jude”, “maledetto ebreo”, per strada, è questa ormai la routine a Malmö. Per la celebrazione dell’ultimo capodanno ebraico in città è stata necessaria la presenza di molti poliziotti schierati a difesa degli edifici ebraici.
Sembrava una parata militare. Il sindaco socialdemocratico Ilmar Reepalu, che amministra la città dal 1994, si è lasciato scappare che nella sua città “non sono accettabili né l’antisemitismo né il sionismo”, in quanto si tratta di “due estremismi”. Già due anni fa, per ragioni di ordine pubblico, la città decise di far giocare a porte chiuse un incontro Svezia- Israele di Coppa Davis (la Federazione internazionale tennis ha poi squalificato il campo di Malmö per cinque anni). Sul Local, sito di news in lingua inglese, Fredrik Sieradzki della comunità ebraica racconta che “molte giovani famiglie di ebrei stanno decidendo di lasciare la città”.
Un musulmano contro l’antisemitismo
Siavosh Derakhti, musulmano
Il rabbino di Malmö viene da Chicago e si chiama Shneur Kesselman. Dice di aver subito personalmente “cento aggressioni antisemite in cinque anni”. Si va dalla semplice imprecazione per strada allo schiaffo subito da bande di immigrati, oppure le “lettere antisioniste” recapitate in sinagoga. Il Centro Simon Wiesenthal ha diramato un avvertimento a tutti gli ebrei che si recano in visita in città: “Togliete i segni religiosi in pubblico e non parlate ebraico”. Si rischia di diventare un bersaglio. Alcuni attivisti musulmani denunciano l’antisemitismo ormai endemico.
A Malmö il Comitato svedese per la lotta all’antisemitismo ha assegnato il suo premio per l’integrazione a un musulmano di origini irachene, Siavosh Derakhti, per il suo impegno nelle scuole, fra gli studenti, nel combattere il pregiudizio contro gli ebrei. “Sono rimasto scioccato quando ho scoperto quanto fosse diffuso in Svezia l’odio per gli ebrei”, ha detto Derakhti alla stampa. “Ho scoperto che gli ebrei fuggono da Malmö perché hanno paura, perché per le strade non si sentono sicuri. I miei genitori decisero di fuggire dall’Iraq e dalla dittatura per vivere in un paese lontano dalle guerre, dalla violenza, per farci vivere in un paese democratico. Trovarmi qui, di nuovo, fra odio, discriminazione, razzismo, non è accettabile. Qualcosa deve essere fatto”. Un simbolo di questa piaga svedese è Rosengård, il “giardino delle rose” di Malmö, che ospita il progetto di case popolari pensato negli anni Sessanta per la classe operaia e immigrata.
Qui vivono molti ebrei fuggiti dalla Polonia del regime di Wladyslaw Gomulka al fianco di generazioni di immigrati islamici. Rosengård è dunque un simbolo dell’egualitarismo svedese. Ma agli ebrei che partecipano ai servizi religiosi si fa arrivare sempre un avviso: “Via la kippah qui siamo a Rosengård”. Se si guarda alla Svezia multiculturale come in un caleidoscopio, ruotando i tre specchi nel tubo, che futuro avranno gli ebrei d’Europa?
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