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Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici, tutti siamo ossessionati dal tempo, un po' per vocazione culturale, un po' per obbligo, e il giornalismo anche di più: prima che i lettori leggano l'articolo, il giornalista ha finito il suo lavoro e passa ad altro (o almeno a un'altra puntata dello stesso tema). Ma in questa frenesia del nuovo è contenuto il rischio di prendere atto senza capire, di accettare come fattuali discorsi che sono spesso interessati, di non vedere le conseguenze. Invece per capire il mondo almeno un po' bisogna fermarsi quando serve a riflettere e valutare quel che accade anche se non è più fresco di giornata. Vi faccio un esempio che mi sembra molto significativo. Qualche giorno fa Informazione Corretta ha pubblicato la notizia ripresa dal web che la Delta Airlines non accetta israeliani né ebrei sui voli diretti in Arabia Saudita (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=49191). Un lettore ha fatto giustamente notare che era una storia vecchia, risalente a due anni fa. E in effetti nel giugno 2011 proprio Informazione Corretta aveva ripreso una “breve” di “Repubblica” che raccontava questo fatto: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=40307 . Una piccola ricerca sul web mostra diverse tracce di questo problema, fra cui questo interessante filmato: http://www.youtube.com/watch?v=qFJQBp2FXFw&feature=share . Dunque, una storia vecchia. Ma non vale la pena di soffermarsi un attimo? Pensate innanzitutto che la Delta Airlines, importante vettore aereo americano, ha detto che la colpa non era sua, ma dell'Arabia Saudita che non accettava certe categorie dei passeggeri e del fatto che i suoi voli erano condivisi con la Saudi Airlines, che faceva parte della stessa alleanza internazionale. E qui si celano un paio di notizie importanti. La prima, uscita durante la recente agitazione delle linee aeree israeliane e dei loro dipendenti contro la liberalizzazione delle rotte aeree (“Open Skies”), cui Israele ha giustamente deciso di partecipare, consiste nel fatto che i vettori aerei israeliani hanno un doppio svantaggio strutturale rispetto alla concorrenza: il primo consiste nella necessità di contrastare un terrorismo sempre in agguato, con l'impiego di personale a terra e nei voli, ma soprattutto di sofisticata strumentazione elettronica per deviare eventuali razzi antiaerei che i terroristi vorrebbero certamente usare (e ci hanno provato diverse volte): tutti costi in più, necessari ma negativi dal punto di vista strettamente finanziario. Il secondo aspetto è che in tutte le tre o quattro grandi alleanze aeree che dominano il mercato internazionale, vi sono partner arabi che pongono il veto all'ingresso di El Al e delle altre linee aeree israeliane, col risultato che esse non compaiono sul sistema di prenotazione delle alleanze, non possono condividere voli e dunque risultano meno visibili e meno attraenti rispetto al pubblico. Anche per le linee aeree, il boicottaggio, o se vogliamo dirla giusta, la discriminazione razzista, funziona, fai i suoi danni, eccome.
Ma c'è una storia ancora più importante, in questa notizia. Ogni Stato è naturalmente libero di stabilire chi può e chi non può entrare nelle sue frontiere. L'Arabia Saudita proibisce l'ingresso agli israeliani, come peraltro gli Stati Uniti non ammettono i nord coreani. Dispiace, naturalmente, e fa dubitare della volontà di pace, ma si può capire. Del resto in tutto il mondo arabo e islamico, l'esclusione degli israeliani dalle frontiere è di regola e nella grande maggioranza di questi Stati basta un visto israeliano sul passaporto per vedersi rifiutare l'ingresso. Anche queste è una discriminazione, ma diciamo che rientra nelle regole del gioco. E però la notizia non riguarda solo gli israeliani. Delta, su mandato dell'Arabia Saudita, non fa salire sui suoi aerei israeliani ED EBREI. Questa non è più una discriminazione politica, ma razzismo vero e proprio. Chi prende un aereo dagli Stati Uniti verso l'Arabia Saudita (e magari anche dall'Europa, anche dall'Italia, sarebbe interessante verificare), si sente domandare di che religione è. Se è ebreo, non parte. Badate, non si tratta solo della proibizione, che pure regna indiscussa, di portare in Arabia oggetti rituali di un'altra religione, per esempio un crocefisso anche piccolo, un libro di preghiere, il talled, cioè lo scialle rituale che usano gli ebrei per pregare. Anche questo è un costume largamente diffuso e per esempio è accaduto che questi oggetti personali fossero sequestrati a turisti israeliani all'ingresso in Giordania, con cui pure lo stato ebraico ha concluso un trattato di pace e intrattiene rapporti diplomatici. No, qui il problema è un altro. Una linea aerea delle libera america chiede ai propri passeggeri prima di imbarcarli: tu, Jakob Cohen (o John Smith o Franco Rossi) di che religione sei? E la dogana saudita ripete: non sarai mica ebreo? Ora provate a pensare che la cattolicissima Polonia chieda ai turisti svedesi se per caso sono protestanti ed espella quelli che pensano che la salute eterna si raggiunga “sola fide”, senza “opere”. O viceversa. Oppure, peggio, che la Serbia e l'India, che sono state coinvolte in guerre con forze esplicitamente islamiche in Kossovo e Kashmir, chiedessero a chi vuole vistare il loro paese se pensa che Maometto sia il profeta. O che lo facesse qualcuno da noi. Non grideremmo tutti quanti alla discriminazione, al razzismo, non invocheremmo i diritti dell'Uomo e lo statuto dell'Onu? Nulla di tutto questo per l'Arabia Saudita (che certo è diversa, ha il petrolio). Nessuno spiega che si tratta di uno Stato legalmente razzista, che per esempio proibisce agli stranieri l'accesso a certi luoghi, per esempio alla Mecca, sulla base della loro religione? Si blatera senza fondamento di apartheid israeliana, si promuovono boicottaggi contro uno stato democratico, multiculturale, dove vige pienamente la libertà politica e quella religiosa. Ma contro un'autocrazia, dove le donne non possono guidare, i fidanzati che si sfiorano la mano rischiano di essere frustati, i ladri vengono mutilati, e vige ufficialmente una discriminazione all'ingresso e agli spostamenti sulla base della religione - be', nessuno si sogna di organizzare la minima protesta. E le società della libera America (e magari anche le nostre) che accettano questo tipo di discriminazioni non subiscono alcuna sanzione. Qualche settimana fa Air France è stata condannata in tribunale per aver sbarcato una passeggera, militante filopalestinese, che voleva partecipare a una manifestazione contro Israele e che figurava su una lista - perfettamente legittima - di persone che Israele non voleva ammettere sul suo territorio per ragioni di sicurezza. Io domando: qualcuno ha mai condannato la Delta (e anche la Saudi Airlines) per una vera discriminazione, quella basata su un profilo “razziale”? Qualcuno dice ai buoni pacifisti e progressisti europei che gli arabi non ce l'hanno con gli israeliani, ma con “gli ebrei”? Non credo. Eppure il problema, anche il problema della pace in Medio Oriente è questo: il diritto per gli ebrei di avere uno stato, la legittimità di uno stato ebraico in Medio Oriente accanto a venti musulmani, l'uguaglianza dei diritti umani degli ebrei (e in prospettiva anche dei cristiani). Questo si nasconde dietro a una notizia che è stata un giorno sulle cronache, due anni fa, ma che è ancora perfettamente attuale. Ugo Volli |
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