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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.05.2013 Profughi, non ci sarebbero se gli arabi non avessero perso già il primo treno nel 1948
ma la propaganda palestinese preferisce dare la colpa allo Stato ebraico

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 maggio 2013
Pagina: 17
Autore: Viviana Mazza
Titolo: «Profughi, intifada, carceri. Ma sono (solo) canzonette»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/05/2013, a pag. 17, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo "Profughi, intifada, carceri. Ma sono (solo) canzonette".


Viviana Mazza,      Mohammed Assaf mentre canta ad Arab Idol

La prima parte dell'articolo di Viviana Mazza è dedicata a Mohammed Assaf, che "con la kefiah sulle spalle, ha cantato la causa palestinese (il desiderio di un profugo di tornare alla sua casa in quello che oggi è Israele) e, nelle interviste ha parlato dei prigionieri nelle carceri israeliane".
Assaf ha 22 anni, lo Stato ebraico è stato fondato nel 1948, perciò è impossibile considerarlo 'profugo'.
Se gli arabi avessero accettato il piano di spartizione dell'Onu (27 novembre 1947) che sanciva la fondazione di uno Stato ebraico e uno palestinese, non ci sarebbero nè profughi, nè 'cause' da cantare.
Per altro non ci sarebbero profughi nemmeno se gli arabi locali avessero dato ascolto a Ben Gurion che, appena fondato lo Stato ebraico, li aveva invitati a restare e a non scappare. Quelli che hanno scelto di restare hanno la cittadinanza israeliana e godono di tutti i diritti, sono anche rappresentati alla Knesset.
Ecco l'articolo:

GERUSALEMME — Mohammed Assaf ha 22 anni ed è una leggenda. Per arrivare da Gaza a Beirut, e competere nell'Arab Idol (la versione mediorientale di «X Factor») si narra che questo ragazzo palestinese del campo profughi di Khan Younis abbia dovuto corrompere le guardie al confine egiziano, scavalcare un muro per entrare nella sede dei provini ch'era ormai chiusa, e quando le guardie lo hanno arrestato, ha iniziato a cantare commuovendole. Infine, anche se tutti i posti per i provini erano ormai presi, ha convinto un partecipante a cedergli il suo. Ora, tra gli elogi di pop star come Nancy Ajram e Ragheb Alama, è uno dei favoriti nel concorso canoro che va in onda ogni venerdì sulla rete satellitare di proprietà saudita Mbc 1, e che si concluderà a fine giugno.
Ma è anche di più: è diventato un'icona nazionale. Con la kefiah sulle spalle, ha cantato la causa palestinese (il desiderio di un profugo di tornare alla sua casa in quello che oggi è Israele) e, nelle interviste ha parlato dei prigionieri nelle carceri israeliane. Ma è apprezzato anche semplicemente per aver interpretato con abilità (e bell'aspetto) le canzoni d'amore dell'egiziano Abdel Halim Hafez, trasmettendo un senso di appartenenza, di stabilità che manca nella vita quotidiana. Ha comunicato speranza: una cosa che pochi leader riescono a fare oggi in Medio Oriente.
La sua non è l'unica causa ad aver conquistato la scena del seguitissimo programma canoro che va in onda ogni venerdì. Tra i suoi rivali, c'è un giovane di Aleppo che ha ridotto in lacrime la giuria lamentando la distruzione della sua città nel conflitto siriano che ha fatto decine di migliaia di vittime.
Abdelkarim Hamdan, 25 anni, è stato però anche criticato, e invitato ad andare a combattere anziché cantare. «Se Dio mi ha dato la voce, vuol dire che devo usarla», ha replicato lui. Un'altra partecipante siriana, Farrah Youssef, 23 anni, che viene dalla città costiera di Tartus ed è cresciuta in Europa, ha raccontato di essere stata quasi uccisa sulla strada da Damasco a Beirut, quando dei miliziani hanno sparato contro il suo pullman e derubato i passeggeri. Tra il pubblico c'è chi l'ha accusata di sostenere il presidente Assad, e chi le rimprovera di truccarsi e svestirsi troppo. «Non canto per me stessa, ma per tutta la gente della Siria — ha sostenuto lei — voglio rendere le persone felici almeno per un istante, voglio far dimenticare loro la realtà».
Mentre «X Factor» altrove è puro intrattenimento, in Medio Oriente non è sfuggito ai conflitti politici, e al bisogno di simboli. La madre del palestinese Assaf ha spiegato a un giornalista che suo figlio aveva un solo desiderio: «Andare là fuori, e fare ascoltare al mondo la sua voce». Durante l'intervista, un venditore per strada ha urlato: «Congratulazioni a Mohammed Assaf che ha portato la voce della Palestina in tutto il mondo arabo!».
Anche il presidente Abu Mazen lo ha subito elogiato definendolo l'«orgoglio della Palestina», ma un portavoce di Hamas, pur ammettendo che è un giovane «di buona famiglia», ha espresso su Facebook alcune riserve sul nome dello show («L'unico idolo per noi è Dio»).
Gli organizzatori di «Arab Idol» non si sono opposti ai temi politici, tranne in un caso. Quando una partecipante irachena ha annunciato di esibirsi per il Kurdistan, è stata ammonita dai giudici. Da allora in poi ha cantato in arabo, non più in curdo.

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