Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/05/2013, a pag. 15, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Se Erdogan preme su Obama per intervenire ".



Antonio Ferrari Recep Erdogan
Ipotetico ingresso della Turchia in Europa, Ferrari scrive : "La Turchia, (...) vuole ancora l'Unione Europea. Vuole l'Europa non certo per ragioni economiche, (...) ma per quel quadro di appartenenza e di valori che stanno accostando il fondatore Ataturk, apostolo del secolarismo, all'attuale riformatore Recep Tayyip Erdogan, islamico moderato. ".
La Turchia islamista di Erdogan non ha nulla a che vedere con la Turchia laica di Atatürk, nè con le democrazie europee.
'Grazie' a Erdogan non c'è libertà di stampa, nè di espressione in Turchia. Questo, già di per sè, esclude ogni possibilità di prendere in considerazione il suo ingresso in Europa.
Erdogan non è un islamico moderato. Questo si può notare da dettagli tutt'altro che di poco conto, come il ritorno del velo nella società turca, un tempo bandito nelle occasioni pubbliche, mentro ora è obbligatorio per le impiegate statali.
La politica ambigua di Erdogan con il nucleare iraniano - si era opposto alle sanzioni- è un altro fattore che difficilmente si può ignorare.
Ecco il pezzo:
Qualcosa sta cambiando nei rapporti tra la candidata Turchia e l'Unione Europea. Dopo due anni di gelo, nei quali si pensava che il cammino si fosse definitivamente interrotto, questo 2013 vede aprirsi qualche spiraglio alla ripresa fattiva e concreta delle trattative. L'obiettivo, per Ankara, è raggiungere il traguardo entro il 2023, quando la Repubblica turca, fondata da Ataturk, compirà 100 anni. Proprio al «Fenomeno Turchia» è stata dedicata, in tre tempi, una conferenza internazionale che si è conclusa ieri, promossa dal Centro italiano per la pace in Medio Oriente, dalla Camera di commercio, da Promos e da Unicredit. E realizzata grazie alla passione di Janiki Cingoli e degli ambasciatori Carlo Marsili e Hakki Akil. La Turchia, nonostante gli sgambetti e le delusioni, vuole ancora l'Unione Europea. Vuole l'Europa non certo per ragioni economiche, perché la Ue in questo momento non offre garanzie, ma per quel quadro di appartenenza e di valori che stanno accostando (anche se sembra un ossimoro) il fondatore Ataturk, apostolo del secolarismo, all'attuale riformatore Recep Tayyip Erdogan, islamico moderato. L'Erdogan che dieci anni fa rifiutava sdegnosamente ai soldati americani l'ingresso in Iraq dalle basi turche, è lo stesso Erdogan che oggi è a Washington per chiedere a un riluttante presidente Obama un'azione più energica (leggasi militare) nei confronti della Siria. Pur sapendo che gli Usa non hanno alcuna intenzione di lasciarsi coinvolgere in un'altra impresa, e ben conoscendo il rischio di riprodurre, moltiplicandola per un nugolo di nuove incognite, una tragedia, come quella della ex Jugoslavia. Interessante e profondo quello che dice l'israeliano Mark Heller, ricordando che i contatti tra Turchia e Israele non si sono mai interrotti, persino nei momenti più drammatici. Anzi, in qualche campo si sono rafforzati. E ora, grazie alla mediazione di Obama, anche la forma è stata ricomposta. Del resto, come dice l'accademica Deniz Ulke Aribogan, «se la Turchia vuole essere una potenza regionale, non può avere una politica ostile verso Israele». Il «Fenomeno Turchia» è insomma una solida realtà.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante