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La Stampa Rassegna Stampa
14.05.2013 Shoah, Roosevelt sapeva ma fece poco o nulla per salvare gli ebrei
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 14 maggio 2013
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Roosevelt e gli ebrei: era ostile, fece poco per salvarli da Hitler»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/05/2013, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Roosevelt e gli ebrei: era ostile, fece poco per salvarli da Hitler".


Franklin Delano Roosevelt, Rafael Medoff, FDR and the Holocaust: A Breach of Faith

Per i visitatori del Museo dell’Olocausto di Washington uno degli aspetti più sorprendenti sono le testimonianze su come Franklin Delano Roosevelt fosse a conoscenza dello sterminio degli ebrei nei lager nazisti ma decise di non bombardarli. A gettare nuova luce su quella controversa scelta dell’allora Presidente degli Stati Uniti, la cui entrata in guerra fu determinante per la sconfitta del nazifascismo, è Rafael Medoff, fondatore dell’Istituto per gli studi sull’Olocausto a Washington, nel libro «FDR and the Holocaust: A Breach of Faith» in libreria.

Sulla base di nuovi documenti, Medoff descrive un Roosevelt privato ostile agli ebrei. Nel maggio del 1943, oltre un anno prima del D-Day, durante una conversazione con il premier britannico Winston Churchill alla Casa Bianca, Roosevelt illustra la sua idea di soluzione della questione ebraica «dopo la vittoria» sposando la tesi del geografo Isaiah Bowman, secondo il quale «gli ebrei devono essere distribuiti geograficamente» fra nazioni e città, in maniera da non dare troppo fastidio a nessuno e la dose considerata appropriata era di «4 o 5 famiglie» per quartiere.

L’idea di Roosevelt era di «rendere più sottile la presenza ebraica» per consentire alle singole nazioni di accettarla e forse tale approccio aiuta a comprendere - questa è la tesi di Medoff perché durante la Seconda Guerra Mondiale limitò al massimo l’arrivo degli ebrei in fuga dalla Germania nazista. La quota annuale permessa era di appena 26 mila persone e inoltre venne colmata solo al 25 per cento in quanto molti venivano respinti con la motivazione di avere «parenti in Germania» e poter dunque diventare «spie nemiche». Se Roosevelt avesse applicato la legge vigente, senza ostacolarla, circa 190 mila ebrei tedeschi avrebbero potuto essere salvati.

La conversazione con Churchill, annotata dal vicepresidente Henry Wallace, è solo uno dei tasselli del mosaico composto da Medoff che documenta una miriade di altri eventi. Nel 1923, quando Roosevelt fa parte del consiglio di Harvard, decide che vi sono troppi ebrei fra gli studenti e ne fa ridurre la quota. Nel 1938, in una conversazione privata, imputa l’antisemitismo in Polonia al «dominio dell’economia da parte degli ebrei». Nel 1941, durante una riunione del gabinetto di ministri, si lamenta dell’eccessivo numero di ebrei fra i dipendenti federali in Oregon e nel 1943 dà disposizione ai comandi alleati affinché nelle zone liberate dell’Africa del Nord «il numero di ebrei nelle professioni debba essere limitato per eliminare le comprensibili ragioni di lamentela che i tedeschi hanno maturato verso gli ebrei in Germania».

In altri documenti Roosevelt mostra fastidio per i «piagnistei ebraici» sulla limitazione dell’arrivo dei rifugiati, si vanta di «non avere sangue ebraico nella vene» e descrive un’operazione fiscale da parte di un editore ebreo come «uno sporco trucco ebraico». Più in generale il tema che più ricorre nelle riflessioni di Roosevelt è il fastidio per l’«eccesso di presenza nelle professioni» e la conseguente possibilità di «esercitare un’influenza immeritata». Altri presidenti sono noti per aver espresso opinioni ostili agli ebrei - da Truman a Nixon - ma a renderle più importanti nel caso di Roosevelt è la possibilità che spieghino il mancato bombardamento di Auschwitz.

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