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La Stampa Rassegna Stampa
13.05.2013 Elezioni in Pakistan: vince Nawaz Sharif, pragmatico che però tratta con i talebani
cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 13 maggio 2013
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il milionario realista che tratta con i taleban»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/05/2013, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Il milionario realista che tratta con i taleban".


Maurizio Molinari          Nawaz Sharif

Con la vittoria nelle urne della Lega musulmana pachistana a guidare il nuovo governo di Islamabad sarà Nawaz Sharif, un leader pragmatico, e una vecchia conoscenza di Washington, che vuole ribilanciare il rapporto con gli Usa. Formatosi sotto la dittatura militare del generale Zia ul-Haq, che governò fino al 1988, Sharif è uno degli uomini più ricchi del Pakistan grazie al controllo del gruppo industriale Ittefaq ed già stato per due volte premier, dimostrando dosi abbondanti di Realpolitik.
Fu artefice della riappacificazione con l’India dopo aver sfiorato la guerra nel Karghil ed è stato sempre lui a ordinare, nel 1998, il primo test nucleare per rivaleggiare proprio con New Delhi. Anche i rapporti con gli Usa sono stati segnati da momenti alterni: prima di essere rovesciato nel 1999 dai militari di Musharraf, per un decennio alleato di ferro di Washington, era stato l’unico leader pachistano ad ordinare un blitz contro Osama bin Laden e in seguito si è più volte detto a favore del negoziato con i taleban afghani, assumendo una posizione che gli Usa hanno osteggiato ma adesso potrebbe giovargli, in vista del ritiro dall’Afghanistan nel 2014.
Ciò che preoccupa la Casa Bianca è la promessa fatta da Sharif agli elettori di «riconsiderare il sostegno alla guerra americana al terrore perché fucili, proiettili e droni non risolvono i problemi». Ciò significa che finisce la stagione di Ali Zardari, il presidente uscente, che ha consentito alla Cia di bersagliare liberamente con i droni jihadisti e taleban. D’altra parte se a prevalere nelle urne fosse stato il campione di cricket Imram Khan la rottura sarebbe stata più lampante, visto che aveva promesso di «abbattere i droni». Se a ciò aggiungiamo che Sharif, durante l’esilio forzato dal Pakistan seguito al golpe di Musharraft, ha trovato rifugio nell’Arabia Saudita, alleata di Washington, e non intende rinunciare ai 2 miliardi di aiuti annuali americani è possibile comprendere perché Daniel Markey, politologo del Council on Foreign Relations, non escluda «un riassetto dell’alleanza fra Obama e il Vecchio Leone di Islamabad».
«Sostegno alle riforme economiche, lotta alla corruzione e buoni rapporti con l’India sono elementi che Washington vede con favore al pari del suo sostegno alla riconciliazione con i taleban afghani - spiega Markey, veterano dell’Asia del Sud - mentre la disputa sui droni dovrà essere affrontata con reciproco pragmatismo». D’altra parte per l’America in uscita dall’Afghanistan, avere a Islamabad un leader sunnita realista può costituire un elemento di stabilità, a cominciare proprio dalla gestione dei rapporti con i taleban che rimangono la maggiore minaccia per Kabul. La quantità di seggi conquistati e la possibilità di creare una salda coalizione, per via della netta sconfitta dei maggiori avversari, garantisce inoltre Sharif una stabilità interna di medio termine che rassicura la Casa Bianca.
Vi sono però due prove delicate sul cammino del neopremier: la scelta del successore del capo delle forze armate - l’uomo più potente della nazione - perché in novembre il generale Ashfaq Parvez Kayani andrà in pensione e la sorte del megaoleodotto progettato con l’Iran, grazie ai prestiti cinesi, perché cambia gli equilibri energetici regionali. Sono questi i motivi per cui la reazione di Barack Obama al risultato è stata di estrema prudenza: «Complimenti al Pakistan per il pacifico e trasparente passaggio dei poteri civili, pietra militare dei progressi democratici. Abbiamo una lunga storia di cooperazione basata sui mutui interessi e mi aspetto di continuarla con il nuovo governo». Ovvero: l’accento è su cooperazione e democrazia, senza riferimenti alla guerra ai jihadisti e al nome del neopremier.

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