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La Stampa Rassegna Stampa
11.05.2013 Donne tra ortodossia e riformismo, alla prova del Kotel
Cronaca e commento di Aldo Baquis, Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 11 maggio 2013
Pagina: 13
Autore: Aldo Baquis-Francesca Paci
Titolo: «Zeloti contro Liberal, rissa fra donne al Muro del Pianto-Dietro lo scontro culturale la lotta fra due idee di Israele»

Sulla STAMPA di oggi, 11/05/2013, a pag. 1/13, Aldo Baquis e Francesca Paci raccontano la manifestazione-scontro avvenuta al Kotel tra ortodossi e donne che reclamano diritti di eguaglianza anche nel campo della preghiera.

Aldo Baquis: " Zeloti contro Liberal, rissa fra donne al Muro del Pianto "

Sacchetti di immondizia, bottiglie d’acqua, seggiole di plastica e perfino pannolini sporchi sono volati ieri nel corso di un gigantesco parapiglia divampato nella Spianata del Muro del Pianto a Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri all’ebraismo.

Reparti rinforzati di polizia hanno dovuto impegnarsi allo stremo per contenere la collera ribollente di 15 mila zeloti ortodossi (uomini e donne) quando di prima mattina nella Spianata si sono presentate decine di donne ebree «emancipate». Erano determinate a celebrare il primo giorno del nuovo mese ebraico, Sivan, a modo loro: ossia indossando sulle spalle il manto rituale, allacciandosi a un braccio i filatteri e leggendo un brano dai Rotoli della Bibbia. Tutte operazioni che, secondo la ortodossia ebraica, sarebbero di prerogativa degli uomini.

Da giorni il tam-tam degli ambienti ortodossi avvertiva - a nome di autorevolissimi rabbini, fra cui Aharon Yehuda Leib Steineman e Ovadia Yossef che alle donne riformate dove essere impedito l’accesso al Muro del Pianto. Da una stazione radio rabbinica, un altro religioso (Mordechai Neugerstal) aveva fatto appello in extremis ai sentimenti profondi degli agenti di polizia affinché si rifiutassero di scortare le donne «ribelli al Signore».

In base all’ortodossia, agli uomini è vietato vestirsi da donne, e viceversa. Chi si comporta diversamente si macchia di un atto «disgustoso»: tanto più se così si presenta al cospetto del Muro del Pianto, ultimo vestigio del Tempio di Gerusalemme.

Le «Donne del Muro» sono l’avanguardia, per ora sparuta, del potente ebraismo statunitense riformato e conservatore, che il premier Benjamin Netanyahu è costretto a tenere in alta considerazione. Per loro al Muro del Pianto sarà approntato in futuro un recinto separato: a «distanza di sicurezza» dagli ortodossi. In attesa che ciò avvenga, forti di una recente sentenza di un giudice di Gerusalemme, le spericolate «Donne del Muro» hanno affrontato ieri a viso aperto la marea umana degli ortodossi, confluiti con torpedoni da tutto il Paese. Dopo i primi improperi (da un lato: «Matte! Fatevi ricoverare»; dall’altro: «Vogliamo una donna per rabbino capo») si è passati agli spintoni, per arrivare infine a lanci serrati di oggetti contundenti.

Passata la bufera, esponenti ortodossi hanno fatto autocritica: «Per quattro matte insignificanti, ora veniamo rappresentati dalla stampa come lanciatori di pannolini...». Una sconfitta tattica tanto più bruciante in quanto nel nuovo Parlamento i partiti ortodossi sono stati relegati all’opposizione e dovranno misurarsi in battaglie ben più significative per difendere la loro comunità, che rappresenta quasi un decimo del Paese.

Il contrasto rituale – e non solo – è in corso da tempo, è sfociato nelle aule di giustizia ed è arrivato anche in parlamento. Tappa decisiva è stata la decisione, nelle scorse settimane, di una corte di Gerusalemme: che ha riconosciuto alla «Donne del Muro» il pieno diritto a pregare nel proprio modo ritenendo che non c’è alcuna «violazione dei costumi locali», né «provocazione». Ma la sentenza ha mandato su tutte le furie i rabbini ortodossi. Fino agli scontri di ieri.

Francesca Paci: " Dietro lo scontro culturale la lotta fra due idee di Israele"

Ibookmakers israeliani puntano sulla ministra della giustizia, perché delle due mission impossible del premier Netanyahu quella assegnata al presidente dell’Agenzia ebraica tira in ballo equilibri precari assai precedenti al 1948.

La battaglia per il Muro del Pianto racconta lo scontro più ampio in corso tra la Start Up Nation proiettata verso il futuro e gli haredim, i fondamentalisti della Torah, che pur rappresentando solo il 10% della popolazione partecipano da trent’anni alle coalizioni di governo assicurandosi una buona fetta del budget tra esonero dalla leva e scuole religiose. Ma se la maggioranza degli israeliani affronta il ruolo politico di Dio al momento del voto, che quest’anno si è risolto in una disfatta per i rabbini massimalisti rimasti fuori dal gabinetto, le Women of the Wall preferiscono la prima linea, il mitico Tempio di Gerusalemme, quella porta del cielo così angusta per loro nonostante l’ebraismo sia una religione che si trasmette di madre in figlio.

La bestia nera dell’emancipazione femminile si chiama Tzanua (che in ebraico sta per modestia), un dogma più che un’auspicata virtù muliebre impresso sui cartelli intimidatori agli incroci di Mea Shearim, enclave ultraortodossa di Gerusalemme. Regola numero uno vestire di scuro, bandire i pantaloni (fascianti) e le maglie col collo a V (rivelatrici di sinuose profondità), indicare il proprio status di maritata coprendo i capelli (con cappello, foulard o parrucca) indossare calze spesse e, a voler strafare, privilegiare le scarpe chiuse. E pazienza se il lungo mare dell’iper liberale Tel Aviv pullula di bikini essenziali come neppure Copacabana: anche lì, dove coppie di militari omosessuali si abbracciano tenendo il mitra in spalla, s’è fatta spazio una spiaggia per religiosi doc con una staccionata protettiva intorno e le bagnanti rilassate nei loro austeri costumi-abiti, castigati al pari dei burqini islamici ma realizzati in sottili tessuti high tech a prova di annegamento.

Anche i rabbini più oltranzisti ammettono che alcuni divieti sono presi forse un po’ troppo alla lettera, specialmente in un paese futurista al punto che non riesce più a chiamare un taxi senza l’applicazione iPhone. L’integerrimo Moshe Feinstein per esempio, ha sempre esecrato ogni promiscuità tra i sessi (compresa la stretta di mano) facendo eccezione però per i luoghi di lavoro, i treni o l’affollatissima metropolitana di New York, situazioni limite perché considerate «contatto fisico non intenzionale». Ciò non ha impedito che una decina di anni fa una compagnia di trasporti privata di Tel Aviv inaugurasse gli autobus con i posti separati nel sobborgo ultraortodosso di B’nai Brak mettendo il governo di fronte al fatto compiuto e le donne ribelli come la soldatessa diciottenne Doron Matalon alla stregua di una Rosa Parks israeliana costretta ad appellarsi alla Corte Suprema. Da allora si sono moltiplicate le proteste ma anche i pullman della discordia e i marciapiedi per soli uomini.

Il problema, come provano le ambizioni «ecclesiastiche» delle Women of the Wall (che vorrebbero pregare più devotamente), non è la religione di per se ma le consuetudini religiose. Soprattutto quando il brand «modestia», come qualsiasi brand identitario nell’indistinta era global, può diventare un business. «Gli autobus separati sono una grandiosa opportunità di fare soldi con gli haredim» racconta la scrittrice ebrea ortodossa Naomi Ragen, riferendo proprio la riflessione di un haredim. Basta vedere la quantità di siti che commercializzano casti abiti femminili khoser ( o quelli per single osservanti). L’ultima parola? La sfida è donna, al Muro del Pianto come nelle cabine del Ye’elat Chen Salon, dove, in un sottoscala a dir poco nascosto, le gerosolimitane più ortodosse (e le musulmane che discretamente arrivano dalla zona araba della città) si fanno belle per il marito ma soprattutto per loro stesse.

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