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La Stampa Rassegna Stampa
10.05.2013 'Nel cuore dei mari' di Shmuel Yosef Agnon
la recensione di Alessandra Iadicicco

Testata: La Stampa
Data: 10 maggio 2013
Pagina: 31
Autore: Alessandra Iadicicco
Titolo: «Torna a casa Israele prima che venga l’inferno»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/05/2013, a pag. 31, l'articolo di Alessandra Iadicicco dal titolo " Torna a casa Israele prima che venga l’inferno ".


Shmuel Yosef Agnon, Nel cuore dei mari, ed. Adelphi
 

Già il titolo, Nel cuore dei mari , suona come l’obiettivo di un’impresa corsara, la sfida alla traversata di un esploratore, l’insegna di un cimento da avventurieri. Invece è ripreso testualmente dai versetti della Bibbia. Dal libro di Giona in cui si narra di colui che, precipitato negli abissi in mezzo a una tempesta, finì nel ventre del gran pesce e di là invocò il suo Signore che mettendosi per mare aveva provocato: «Dal profondo degli inferi ho gridato, e tu hai ascoltato la mia voce...». Proprio come il profeta biblico, e perfino recitando le stesse parole della sua invocazione, i protagonisti del breve romanzo di Shmuel Yosef Agnon – finalmente tradotto per la cura impeccabile di Ariel Rathaus da Adelphi, in uscita questa settimana – si ritrovano, nel momento cruciale del loro viaggio, in balia delle onde: «nel cuore dei mari» che dalle sponde della terra dell’esilio, della dispersione e della diaspora li avrebbero condotti all’approdo sulla Terra della Salvezza, quella Promessa e Santa. Il loro itinerario, snodandosi fra gli shtetlekh (i centri popolati di ebrei ashkenaziti) dell’Europa orientale e le sospirate spiagge d’Israele, è scandito dalla stessa alternanza – tra avventura trascinante e devozione, tra il colore e la vivacità di peripezie eroiche e la gravità di un rito di espiazione – che il titolo della lunga novella suggerisce: è ritmato dal battito che, «nel cuore dei mari», si fa al contempo più palpitante e più profondo. Partirono in dieci, un numero perfetto per costituire una solida brigata di viaggiatori, e il minimo indispensabile di uomini necessari a formare un gruppo di preghiera. Si misero al seguito del misterioso Hanania, un vagabondo vestito di stracci, munito di un misero bagaglio avvoltolato tutto quanto in una pezza, dotato però di una doppia ricchezza inestimabile: la memoria del saggio che di certo non era bastata la sola esperienza della strada a fornirgli, e la fede assoluta del più fervido dei credenti grazie a cui aveva trasmesso a tutta la comitiva la smania di «salire» in Terra Santa. Si misero in viaggio in un passato fantastico: remoto quanto quello delle fiabe, antico quanto il tempo delle Scritture, immemore quanto può esserlo un’età non ancora segnata dagli orrori della storia. Lo scrittore israeliano, nato nel 1888, morto nel 1970, premio Nobel nel 1966, compose questo suo breve e denso capolavoro nel 1926, oltre dieci anni prima del secondo conflitto mondiale e del conseguente genocidio degli ebrei. Ciò conferisce lo spessore di un apologo esemplare, emblematico, universale al raccontino cui l’autore non rinunciò tuttavia ad aggiungere un’impronta di genuino realismo, un segno di struggente affetto, disseminandovi, in forma quasi cifrata, quei due o tre rimandi autobiografici che valgono come la sua sigla personale. Come il nome della località di partenza dei suoi ebrei erranti, Buczacz, ovvero la cittadina della Galizia asburgica dove lo stesso Agnon era nato e cresciuto. O la figura del rabbi Shmuel Yosef, conoscitore delle leggende d’Israele, appassionato narratore di innumerevoli storie che, guarda caso, è omonimo dell’autore di questo testo e, figlio di Sholom Mordekhai, marito della pia Ester, gli offre il pretesto di rendere un omaggio letterario a suo padre e a sua moglie. È proprio Shmuel Yosef - l’alter ego di S. Y. Agnon, il personaggio del cantastorie – a scorgere e rilevare via via, lungo le tappe del percorso verso Gerusalemme, le tracce dell’incanto e del miracolo: nelle notti trapunte di stelle che brillavano sulle case assopite da sopra le cime dei monti, nei fiotti di puro argento che scorrevano nel letto dei fiumi e dei ruscelli per le campagne, nella fragranza salina del mare che confortava l’asprezza del viaggio per l’ignoto elemento. È lui a leggere via via come «prove», tentazioni da vincere, ostacoli da superare con fiducia le seduzioni e le avversità che sembravano voler sviare i pellegrini. Ed è lui a riconoscere nel profilo di Hanania, la loro guida, oscuramente sparita nel nulla proprio al momento di salpare e prodigiosamente riapparsa sul pelo dell’acqua nel cuore del mare, «il segreto del Signore», «la presenza divina che torna a casa sua insieme a Israele».

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