Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/04/2013, a pag. 1-4, gli articoli di Daniele Raineri e Paola Peduzzi titolati " In Siria i ribelli le stanno prendendo dagli uomini del “piano Suleimani” " e " Liti da embargo".
Ecco i pezzi:
Daniele Raineri - " In Siria i ribelli le stanno prendendo dagli uomini del 'piano Suleimani' "
Daniele Raineri Bashar al Assad
Roma. Una città in posizione strategica nel sud della Siria è stata riconquistata dalle truppe del presidente Bashar el Assad, hanno ammesso i combattenti dell’opposizione ieri nelle prime ore del mattino con l’agenzia Reuters. Khirbet Ghazaleh è sull’altopiano dell’Hauran, nel breve tratto che separa il confine con la Giordania dalla capitale Damasco, ed è importante perché da lì passa la rotta dei rifornimenti – munizioni, armi, uomini – che alimenta la battaglia attorno alla capitale Damasco. Ora che questa linea è tagliata, non è chiaro quanto resisteranno i gruppi che combattono contro l’esercito sul fronte che coincide con la tangenziale della capitale. Circa mille ribelli si sono ritirati ieri perché hanno finito le munizioni e hanno perso la speranza che i rinforzi sarebbero riusciti ad arrivare dalla Giordania, dove c’è il loro comando militare, appoggiato ma non troppo dal governo di Amman. “Potrei provare a rientrare dentro Khirbet Ghazaleh con mille uomini – dice il capo della brigata ribelle locale – ma siamo a mani vuote”. Due settimane fa era caduta un’altra città sulla rotta Giordania- Damasco, Oteibah, anch’essa strategica per la logistica. L’esercito del governo sta riguadagnando terreno, dopo che per due anni aveva perso inesorabilmente territorio senza mai recuperarlo e dopo essere stato costretto a trincerarsi nelle grandi città. Anche se al nord i ribelli continuano ad avanzare (sono entrati dentro il perimetro dell’aeroporto di Mennigh, fuori da Aleppo, dove stanno combattendo da mesi per cacciare i soldati del governo) c’è un grande riflusso militare. Lo slogan che i pacifisti non urlano in piazza, “Stop Assad, now!”, in realtà potrebbe essere “Stop Suleimani, now!”, dal nome di Qassem Suleimani, il generale iraniano dei gruppi speciali che ha preso in mano la situazione e sta guidando la rimonta del governo Assad con forze fresche. Dove c’era il guscio vuoto del governo Assad, colpito da attentati e defezioni, e incapace di battersi con reale efficacia contro una guerriglia pur disorganizzata, ora si è installato un comando di strateghi iraniani, determinati a non cedere la Siria. I ribelli sono sunniti, quindi sono nemici ideologici di Teheran e alleati naturali di Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Il generale Suleimani è stato a Damasco a fine febbraio. Ora il suo piano è in pieno svolgimento attorno a Homs e Qusair, nel centro del paese, dove la milizia libanese Hezbollah sta combattendo per preservare la continuità territoriale del governo da Damasco fino alla fascia costiera del nord, abitata dagli alawiti (è la stessa fede dell’establishment assadista). “Vediamo spuntare in Siria unità di duemila, duemilacinquecento hezbollah”, dice un ufficiale del Pentagono al Wall Street Journal. Un’altra milizia di segno completamento diverso – sono i comunisti di Muqawama Suriya, Resistenza siriana, turchi alawiti – s’è occupata dei massacri deliberati nella città di Baniyas e vicino, per spaventare i sunniti e costringerli alla fuga. Il capo della milizia è un turco paffuto e con i capelli bianchi, Mihraç Ural, che nei giorni scorsi, tra un poster di Che Guevara e una stretta di mano con i religiosi alawiti in tunica e turbante, ha parlato in un video della necessità di “ripulire” la costa dai sunniti. Secondo Hassan Hassan, articolista siriano del giornale The National, Assad ha scatenato la milizia di volontari turchi contro i civili perché ha una strategia della tensione: i sunniti risponderanno ai massacri con altri massacri, gli alawiti sentiranno che è in gioco la loro stessa sopravvivenza e non ci saranno compromessi o accordi con il nemico, si batterano fino all’ultimo. Il piano Suleimani non è fatto soltanto di milizie, ma anche di armi. Secondo informazioni arrivate ieri da ex agenti dei servizi israeliani, i missili Fateh-110 distrutti nei raid aerei israeliani di domenica erano arrivati da meno di una settimana: il che dimostra che Israele monitora la situazione da molto vicino. I ribelli sono in grado di affrontare questo nuovo nemico, l’ibrido Assad-Teheran a trazione iraniana? Se stanno cedendo le conquiste fatte è anche perché dopo due anni non hanno più soldi a disposizione. In un’intervista con il Financial Times, il capo militare dell’opposizione, il generale Selim Idriss, dice di ricevere soltanto un decimo di quello di cui avrebbe bisogno, e sostiene che le battaglie cominciano a essere prese per mancanza di munizioni. Pur avendo promesso cento milioni di dollari di aiuti umanitari ieri, l’Amminstrazione Obama è ancora indecisa se intervenire o meno in loro aiuto con un piano di azione militare, ma potrebbe arrivare tardi.
Paola Peduzzi - " Liti da embargo "
Paola Peduzzi al Qaeda
Milano. Al Foreign Office di Londra s’è parlato molto delle foto del segretario di stato americano, John Kerry, a Mosca: passeggiava per la Piazza Rossa, attorno a lui tutto era pronto per la parata della Giornata della Vittoria, sorrideva come un turista, Vladimir Putin l’ha fatto attendere tre ore prima di riceverlo, e poi in conferenza stampa non lo ha mai citato. Quelle foto sono parse quasi bizzarre, certo non un buon segno per il colloquio che poi ci sarebbe stato, e per la strategia occidentale in Siria. Kerry e i russi hanno proposto un governo di transizione a Damasco, che dovrebbe nascere dal dialogo tra i ribelli – i ribelli “buoni” – e il rais Bashar el Assad; nel frattempo continuerà l’inchiesta sull’utilizzo delle armi chimiche in Siria e si valuterà, a Washington, il da farsi sulle armi ai ribelli. Secondo alcuni dispacci, le armi stanno arrivando in modo più massiccio rispetto a prima, ma Kerry è stato molto vago: stiamo valutando, al Congresso ci sono molti “sentimenti contrastanti” al riguardo, la strategia è comunque rischiosa. Per i russi la questione non si pone: se armi ne danno, è al regime di Damasco (Mosca sta rafforzando la difesa antiaerea del regime, che è anche uno dei problemi militari più difficili da risolvere nel caso si volesse creare una no fly zone). Obama ha chiesto al Congresso di rinnovare le sanzioni al regime in scadenza l’11 maggio, ma gli inglesi vogliono un piano per la Siria che vada al di là delle foto in Piazza Rossa. Ieri ha preso a circolare un “confidential paper” preparato dagli inglesi, da presentare ai colleghi europei, per iniziare a rifornire di armi l’opposizione ufficiale al regime di Assad a partire da luglio, togliendo l’embargo ora vigente a livello di Ue. “La situazione in Siria si sta grandemente deteriorando – si legge nel documento – per il probabile utilizzo di armi chimiche e l’ascesa dell’estremismo, il conflitto è entrato in una fase ancora più pericolosa”. Al momento i paesi dell’Ue non possono rifornire di armi i ribelli, perché c’è un embargo, al quale tiene molto l’Alto commissario europeo Catherine Ashton, e pure la Germania. Al vertice del 27 maggio a Bruxelles sull’embargo, gli inglesi vogliono presentare una doppia proposta: la prima è di “escludere completamente dall’embargo il National Council” siriano, l’opposizione formale al regime (quella che, nei piani di Kerry e dei russi, dovrebbe dialogare con Assad. Il suo leader ha risposto ieri con un tweet: “Siriani: state attenti a non sperperare la vostra rivoluzione nelle sale di una conferenza internazionale”), e secondo il Telegraph questa è l’opzione che preferisce anche il governo inglese guidato da David Cameron. La seconda opzione prevede che l’Europa “rimuova la definizione ‘non letale’ e permetta di fornire alla Coalition armamenti letali”. Gli armamenti letali “sarebbero ancora previsti con l’obiettivo di ‘proteggere i civili’”, come già accade per gli approvigionamenti non letali. In questo modo, “l’Europa manderebbe un messaggio chiaro ad Assad – tutte le opzioni sono sul tavolo – e la pressione su di lui per andare a negoziare a quel tavolo aumenterebbe”. Gli inglesi sperano di superare l’opposizione della baronessa Ashton e del governo tedesco di Angela Merkel a ogni forma di aiuto militare: le due signore temono che quelle armi finiscano in mano agli estremisti e che sul campo non sia possibile fare distinzioni credibili tra ribelli buoni o cattivi. Tale preoccupazione è condivisa da molti, perciò gli inglesi prevedono nelle loro proposte meccanismi di controllo e di responsabilizzazione da parte del National Council sull’utilizzo e la destinazione delle armi. Con tutta probabilità, però questo non basterà a convincere gli scettici. I francesi sono in una posizione intermedia: si sono dichiarati a favore della fine dell’embargo, ma non insistono troppo sulla questione. Il ministro degli Esteri Laurent Fabius (che passa la maggior parte del tempo a dover giustificare le sue grandi ricchezze e la vita lussuosa di suo figlio, da quando l’Eliseo ha imposto massima trasparenza sui patrimoni dei ministri) fa grandi appelli al National Council perché si faccia avanti e gestisca con leadership il dialogo. L’ipotesi di un governo di transizione è stata accolta con un misto di sollievo ed entusiamo, anche ieri negli incontri diplomatici a Roma. Il piano, che dovrebbe essere coronato da una grande conferenza, fa riferimento a quello che già era stato concordato da Kofi Annan, quando era inviato dell’Onu in Siria: tanto dialogo, nessun riferimento al ruolo di Assad nell’eventuale transizione
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