Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/05/2013, a pag. 17, l'articolo di Antonella Rampino dal titolo " Kerry, riparte da Roma il pressing Usa su Israele ".
John Kerry con Tzipi Livni
Con una girandola di incontri e di bilaterali ad alto livello animate dall’arrivo a Roma del Segretario di Stato americano John Kerry, l’Italia torna al centro della politica internazionale, rilanciando fortemente il proprio ruolo nel processo di pace in Medio Oriente, dalla questione israelo-palestinese a quella siriana. Kerry vedrà oggi il premier Enrico Letta, il ministro degli Esteri Emma Bonino e l’inviato speciale del Quartetto Tony Blair, ma già ieri ha incontrato per tre ore a Palazzo Taverna Tzipi Livni, che nel governo israeliano è ministro della Giustizia ma ha la delega del premier Netanyahu per le trattative con i palestinesi (e che a differenza di Netanyahu ha anche un ottimo e solido rapporto con l’amministrazione americana) e il ministro degli Esteri giordano Judeh. Roma è stata «scelta» per il riavvio del processo di pace perché considerata amica di entrambe le controparti, e perché potrebbe avere un cruciale ruolo di «facilitatrice» nel creare un quadro in cui le trattative possano - come si spera - centrare l’obiettivo. Del resto, sono state le uniche parole pronunciate da Tzipi Livni, apprezzando «l’entusiasmo e gli sforzi» di Kerry, «un impegno rinnovato può ricreare speranza nella regione».
Il governo italiano punta a rendere stabile la localizzazione a Roma del processo di pace in Palestina, e per questo gli appuntamenti sono stati accuratamente preparati, con l’invio a Roma già qualche giorno fa dell’inviato speciale americano per il Medio Oriente David Hale e con il lavoro del team mediorientale della Farnesina. «L’Italia – ha detto il ministro Bonino dopo l’incontro con Livni – continuerà a garantire, anche nel quadro europeo, l’attività che Kerry sta svolgendo per la ripresa del processo di pace». E questo perché Roma, lavorando in pieno accordo con Washington, intende «proteggere» il delicato percorso: gli americani sperano infatti che, sulle buone basi gettate per tentare il riavvio delle trattative – nelle quali l’amministrazione Obama s’è impegnata a fondo – l’Europa li assecondi, evitando motivi di attrito: una precauzione che guarda al Consiglio Affari Generali del 27 maggio a Bruxelles, dove circolano voci di un’ordine del giorno che potrebbe appunto comprendere la questione israelo-palestinese. Mentre quel che si vuole evitare – spiega un’alta fonte diplomatica – è proprio «che in sede europea si facciano distinguo o strappi in avanti». Le linee di cui Kerry ha discusso con Tzipi Livni, sono chiare: obiettivi precisi in unlasso di tempo determinato. Ovvero, entro l’estate, sciogliere i nodi del contenzioso tra le due parti: i palestinesi chiedono il blocco degli insediamenti (sospesi informalmente dal premier israeliano alla vigilia del viaggio di Kerry), scambio di territori a partire dai confini del 1967, e rilascio di prigionieri; gli israeliani chiedono il riconoscimento dell’esistenza dello Stato ebraico.
Kerry il 21 e 22 maggio sarà nuovamente in Israele e in Palestina, per incontrare Netanyahu e Abu Mazen, e far ripartire i negoziati interrotti ormai da tre anni. E nodo cruciale, e motivo contingente del riavvio dell’iniziativa, è anche evitare che il conflitto siriano contagi il processo di pace.
Infatti, anche la Siria è stata al centro della girandola di bilaterali romane. Kerry, in arrivo a Roma da Mosca dove aveva incontrato Putin e Lavrov, ha annunciato, oltre allo stanziamento di 100 milioni di dollari per i profughi, una conferenza internazionale a Ginevra: a fine maggio verrà eletto il nuovo capo dell’opposizione al regime, e gli Stati Uniti insistono in un allargamento dell’opposizione (che si sta dando delle strutture istituzionali – con il contributo dell’Italia – e che sta per designare i membri dell’esecutivo provvisorio). L’Italia – ha ricordato Emma Bonino a John Kerry– ha appena aumentato il sostegno umanitario e dovrebbe ospitare, dopo quella del febbraio scorso, anche la prossima riunione del Gruppo Amici per la Siria. La soluzione che si cerca per la Siria è politica, e la precondizione è l’uscita di scena di Bashar Al Assad, come ieri sera hanno ribadito da Washington il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, e da Beirut la Coalizione dell’opposizione siriana.
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