Riportiamo dal FOGLIO del 07/05/2013, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Intubarli è sbagliato. Lasciamoli morire di fame".
Giulio Meotti Guantanamo
Dal dilemma legale, politico e morale di Guantánamo non se ne esce facilmente e neppure Barack Obama è riuscito a mettere fine a questa “legal no-man’s land”, la terra di nessuno dal punto di vista giuridico. Senza giri di parole, l’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld ebbe a definire i detenuti di Gitmo “i più pericolosi, feroci e meglio addestrati assassini sulla faccia della terra”. Fra di loro c’è anche l’uomo che ha materialmente staccato la testa di Daniel Pearl, quel genio del travestimento e dell’eccidio che è Khalid Sheikh Mohammed. E molti terroristi che misurano il coraggio sulla base della capacità di sparare in faccia a un bambino di Beslan. Nessun paese arabo vuole indietro questi jihadisti. E le organizzazioni umanitarie hanno spesso protestato contro Washington nei casi in cui li ha rimandati in patria, perché sarebbero stati sbattuti in prigioni che in confronto Guantánamo è una spa di lusso. Quando l’Amministrazione Bush ha tentato di rispedirli nei paesi d’origine, organismi come Amnesty International hanno sempre protestato: meglio Guantánamo di un carcere algerino o saudita. Come ha spiegato Christian Rocca in una lunga risposta (sintetizzata nel box), i detenuti di Guantánamo non sono criminali comuni, ma guerriglieri irriducibili per i quali il Pentagono ha dovuto studiare persino un modus operandi nella fornitura di copie del Corano. Soltanto i cappellani musulmani possono maneggiare il testo sacro e solo dopo essersi infilati guanti puliti davanti agli occhi dei detenuti e si devono usare entrambe la mani “per manifestare rispetto e riverenza”. Per questo il capo dell’antiterrorismo belga, Alan Grignard, in visita per conto dell’Osce a Guantánamo, ha detto che nell’isola di Cuba (parte americana) i detenuti sono trattati meglio che nelle carceri del suo paese. L’accusa di tortura scagliata contro l’America che oggi intuba i detenuti in sciopero della fame ha qualcosa di ridicolo se si pensa che le stesse associazioni in difesa dei diritti dell’uomo sono arrivate ad accusare Washington di “tortura” quando gli stessi detenuti di Guantánamo sono ingrassati per mancanza di esercizio. I detenuti possono fare ginnastica per dodici ore la settimana con macchinari, cyclette e tapis roulant, e tutti, anche i più sanguinari, hanno diritto a una ricreazione giornaliera di due ore, il tetto minimo stabilito dalla commissione internazionale della Croce Rossa. Ha ragione però Adriano Sofri, nel saggio pubblicato sul Foglio in cui ha affrontato il problema delle “pance vuote” di Guantánamo dal punto di vista umanitario, a sostenere che l’America non può alimentare a forza i corpi dei prigionieri. Poi Sofri aggiunge, sbagliando, che è un dilemma da cui se ne esce soltanto con la loro liberazione. Lo sciopero della fame è una vecchia e gloriosa forma di protesta, che accomuna l’epica di Gandhi per l’Indipendenza dell’India e le proteste dei prigionieri sovietici nei primi anni Ottanta. Ma è essenziale comprendere il protagonista di questa forma di lotta. Nel caso dei terroristi palestinesi, Israele ha scelto un’altra strada rispetto a quella di Guantánamo: lasciarli morire di fame e rispettare la loro devozione al “martirio”. E’ una soluzione cinica e brutale, che accomuna grandi democrazie a regimi odiosi come quello castrista a Cuba, dove un anno fa è morto in sciopero della fame il dissidente Orlando Zapata. Ma come ha spiegato Efraim Inbar, presidente del Besa Center e stratega vicino al premier Benjamin Netanyahu, “siamo responsabili della vita dei detenuti e della loro assistenza sanitaria di base, ma solo se vogliono restare sani. Se hanno deciso di utilizzare la loro salute come arma nella lotta contro gli ebrei, l’obbligo di Israele viene meno. Visto che molti di questi sono terroristi pronti a sacrificare la loro vita nella guerra contro Israele, Israele non ha il dovere morale di mantenerli in vita contro la loro volontà”.
Dall’Ira alla Rote Armee Fraktion
Lo stato ebraico avrebbe lasciato morire di fame il terrorista Ayman Sharawna se non avesse accettato la via dell’esilio. Ne è uscito, infatti, con il fisico distrutto per sempre, leso ai reni e al metabolismo. Il martirologio palestinese include numerosi prigionieri morti in carcere per sciopero della fame: Abdel Qader Jabir Ahmad Abu al Fahim, Rasim Mohammad Halaweh, Ali Shehadeh Mohammad Al-Jafari, Anis Mahmoud Douleh, Ishaq Mousa al Maraghah e Hussein As’ad Ubeidat. Israele non li ha intubati, ha lasciato che la protesta facesse il suo corso, senza cedere ai ricatti. C’è anche una sentenza della Corte Suprema israeliana, vacca sacra dei liberal: il 7 maggio del 2012 la Corte ha rigettato l’appello delle organizzazioni dei diritti umani che chiedevano il rilascio di Thaer Halahlah e Bilal Diab, due detenuti in sciopero della fame. Durante la Seconda Intifada, il ministro della Sanità, Dany Naveh, col tipico cinismo israeliano, destò le reazioni indignate delle ong umanitarie per aver dichiarato che i palestinesi accusati di terrorismo non potevano essere ricoverati negli ospedali israeliani se si fossero sentiti male a causa dello sciopero della fame. Il modello è quello di Margaret Thatcher alle prese con il terrorismo dell’Ira: “Dopo sei mesi e dieci morti per fame, senza concessione britannica in vista, lo sciopero ha perso slancio”, ha scritto Inbar. “Il suo fallimento fu una delle ragioni per cui la quota di nazionalisti irlandesi gradualmente si spostò dalla violenza al tavolo dei negoziati”. Negli stessi anni la Germania sceglieva invece la nutrizione obbligatoria per i terroristi della Rote Armee Fraktion. La Dichiarazione di Malta del 1991 stabilisce, in caso di sciopero della fame, l’immoralità medica dell’alimentazione obbligatoria in atto a Guantánamo. L’Associazione medica israeliana dichiara di rispettare lo spirito di quella convenzione quando non interviene con il sondino sul corpo dei terroristi. Un dilemma da cui i critici e i nemici di Israele vorrebbero uscire con il rilascio dei terroristi, che tornerebbero puntualmente a fare quello che sanno fare meglio: uccidere gli ebrei. I detenuti di Guantánamo in sciopero della fame, come i loro omologhi palestinesi, sono pronti a morire da “martiri”. C’è più dignità nel lasciare che perseguano la via delle vergini dagli occhi neri piuttosto che sfamarli col sondino ed essere accusati di violare le norme mediche. In fondo, chi avrebbe gridato allo scandalo settant’anni fa se Hermann Göring avesse avviato un letale sciopero della fame anziché ingerire del cianuro?
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