Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 06/05/2013, a pag. 14, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Il vero obiettivo di Netanyahu è fermare i piani di Teheran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Missili israeliani su Damasco. E Assad ora giura vendetta ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-15, l'articolo di Federico Rampini dal titolo " Obama prigioniero della linea rossa ", a pag. 14, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " La discesa in campo del 'Partito di Dio' ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Il vero obiettivo di Netanyahu è fermare i piani di Teheran "
Fiamma Nirenstein Bibi Netanyahu
Gli aerei di Israele sono arrivati e hanno bombardato nella notte di sabato alla periferia di Damasco, e non è cosa da poco. IL Medio Oriente, la gente di Israele, del Libano, della Siria, trattiene il fiato, il solito maledetto odore di guerra viaggia sul vento del deserto a mille all’ora. Faisal El Mekdad viceministro degli esteri siriano ha detto alla CNN che la Siria risponderà come e quando riterrà opportuno all’”aggressione israeliana… un tentativo di sollevare il morale dei gruppi terroristi”; il ministro degli esteri libanese Adnan Mansour ha definito l’attacco ai missili destinati agli Hezbollah “un’evidente violazione della sovranità libanese”, il suo esercito è in stato di allarme come anche l’UNIFIL. L’Iran chiama alle armi tutti gli Stati del Medio Oriente per “resistere all’assalto che accorcerà la vita del regime-farsa (Israele)”, e si dichiara pronto a esercitare l’esercito siriano. Israele ha trasportato al confine col Libano e con la Siria due batterie dell’ottimo sistema di intercettazione Arrow. E’ chiaro che il rischio maggiore non è Assad, impegnato sul fronte della sua guerra interna contro la sua stessa popolazione sunnita, fra cui si contano ormai 70mila morti.
Assad agirebbe soltanto se costretto a partecipare, per salvarsi, a un piano orchestrato dall’Iran, il suo alleato, o meglio il suo comandante numero uno. Questo accadrà nel caso che gli Ayatollah decidano di procedere sulla strada che a metà aprile fu disegnata da un incontro segreto fra Nasrallah, il capo degli Hezbollah,il leader supremo ayatollah Ali Khamenei e il generale Qasem Suleimani, comandante del reparto Quds (Gerusalemme) delle Guardie Rivoluzionarie. Per capire cosa sta accadendo, ricordiamo che quello di ieri è il seguito dell’operazione già condotta fra giovedì e venerdì, quando Israele ha colpito un carico di Fateh 110, missili che possono portare testate chimiche, armi letali di provenienza iraniana diretti agli Hezbollah tramite la Siria.
Gesto carico di significati, ma altro è colpire Damasco, è una azione di deterrenza che ci riporta al tema della “linea rossa”, quella di Obama, che ha promesso la fine per Assad se avesse usato armi chimiche, o, si può sottintendere, messo in gioco altre armi in grado di cambiare la situazione strategica. Israele aveva già fatto sapere che non avrebbe consentito che fossero passati agli Hezbollah, che vogliono la sua sparizione dalla carta geografica, i missili balistici D che possono portare l’agente chimico VX per una distanza fino a 680 chilometri. Ovvero: le armi che ora Assad era pronto a passare agli Hezbollah, possono colpire sia le strutture militari che i civili dal confine a nord fino a Eilat, nel sud estremo, e possono essere attivati per esempio dalla valle della Bekaa dagli Hezbollah in modo che sia molto difficile intercettarli. Infatti il sistema Arrowè efficace nel colpire solo numeri limitati di bolidi in arrivo. Gli Hezbollah hanno già 70mila missili, ed evidentemente le informazioni dei servizi israeliani hanno imposto di agire subito.
Perché l’Iran ci teneva tanto a fornire adesso armi fatali agli Hezbollah? Per paura che il loro pupillo Assad presto non sia più in grado di farlo, e che gli Hezbollah debbano muoversi adesso per realizzare il piano strategico dello Stato Islamico. Come dicevamo esso è stato disegnato a Teheran a metà aprile. Nasrallah era andato in Iran l’ultima volta nel 2010, muoversi è pericoloso per lui. Stavolta però era cruciale: la Siria non può essere perduta. Se anche Assad dovesse perdere, per l’Iran la Siria resterebbe la base della sua strategia, garantita dai giannizzeri Hezbollah. L’idea dunque, secondo Shimon Shapira, analista del Jerusalem Center for Public Affairs, è quella di uno mini stato alawita-sciita che possa controllare da Damasco fino alla costa con un corridoio e da là arrivi alla Bekaa libanese. Tutto sciita. La pulizia etnica perpetrata con stragi a Banjas sulla costa sarebbero una premessa di questo piano. Questo staterello sciita farebbe uso di un esercito popolare sciita di 150mila combattenti reclutati soprattutto in Iran, in Iraq e in piccola parte nel Golfo Persico, persone che abbiano la convinzione che non si può lasciare il campo ai sunniti. Una guerra di fazioni che però non ha fatto i conti con Israele.
Israele non può immaginare di avere un Iran nucleare ai confini, piazzato dentro la Siria in un matrimonio con gli Hezbollah, e ha quindi lanciato un forte messaggio di deterrenza, che secondo l’ottimo analista Ron Ben Yishai è stato concordato da Netanyahu con Obama. La deterrenza è certo rivolta a Assad perché non usi armi di distruzione di massa e agli hezbollah perché non si cimentino nel lancio di missili, ma è soprattutto rivolta all’Iran: quando si dice “linea rossa”, dice il messaggio, si intende “linea rossa”, e questo vale anche per la famosa soglia dei 140 chili di uranio arricchito al 40 per cento nelle strutture atomiche di Ahmadinejad. Questo piano di espansionismo sciita, prima della guerra di Assad era stato promosso con molte mosse di facilitazione economica, culturale, sociale per tutti quelli che passassero dalla Sunna alla Shia. Israele non tiene per gli uni o per gli altri. Al momento alla sbarra sono i piani iraniani. A loro pensa Bibi oggi. Sempre che agli Hezbollah non scappi qualche missile, e allora il Libano sarà di nuovo nel mezzo.
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La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " La discesa in campo del 'Partito di Dio' "
Renzo Guolo Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah
Nella crisi siriana scende in campo Hezbollah. E lo stesso leader Nasrallah che minaccia l'aperto sostegno a favore di Assad al fine di evitare che la Siria cada Ilin mano a Israele, Stati Uniti e "takfiri", i gruppi jihadisti sunniti acerrimi nemici religiosi degli sciiti. Nasrallah sa che le prossime settimane potrebberoessere decisive perAssad. Gli insorti non sono riusciti a sconfiggere le forze lealiste ma un massiccio sostegno in armi da parte degli Usa, sin qui frenati dai timori per una nuova probabile vittoria dei Fratelli Musulmani nel blocco sunnita e per il possibile rafforzamento militare del fronte qaedista di Al Nusra, potrebbe mutare l'equilibrio sul campo. Il leader del "Partito di Dio" nega che il suo movimento sia già coinvolto nel conflitto, anche se conferma che"consiglieri" militari sono già oltre confine. Il capo di Hezbollah ammette, invece, che le sue milizie sono intervenute a fianco delle truppe siriane per proteggere i villaggi libanesi di confine che stavano per essere occupati dagli insorti. Un classico del "Partito di Dio", la rivendicazione della funzione di supplenza istituzionale nella pro-tezione della popolazione sciita che lo Stato libanese non riesce a garantire e che il movimento ha già sperimentato nel lungo confronto con Israele nel sud del Paese dei Cedri. Nasrallah non esclude, però, che Ilezbollah possa intervenire apertamente nel conflitto. Lo fa evocando la solidarietà confessionale che scatterebbe di fronte a un attacco dei "takfri" ai luoghi santi sciiti come la moschea di Saida Zeynab. In tal modo il leader di Hezb ollah tocca il tasto sensibile dell'oggettiva alleanza delle forze anti-Assad con i qaedisti e i rischi legati all'esplosione delle fratture settarie. Se il casus belli fosse la distruzione dei luoghi sacri alidi l'effetto domino sarebbe garantito, sottintende Nasrallah. L'incendiosiespanderebbe al Libano, all'Iraq, ai paesi del Golfo. Un conflitto su scala regionale che coinvolgerebbe, inevitabilmente, anche l'Iran, grande protettore delle comunità sciite nell'area. Il monito di Nasrallah rivela i timoristrategici del "partito di Dio" e del suo alleato iraniano. La caduta degli alawiti spezzerebbe, nel suo punto centrale, la corda tesa dell'arco sciita che, passando per Damasco, va dalla Teheran degli ayatollah alla Beirut di Hezbollah. Ridimensionando la profondità strategica iraniana mentre cresce il peso delle potenze sunnite saudita e turca e si avvicina la resa dei conti con Israele sul nucleare. Senza più deterrenza, costituita non tanto dalla bomba non ancora a punto quanto dalla capacità di destabilizzare la regione attraverso l'esplosione confessionale, l'isolamento di Teheran e dello stesso Hezbollah diverrebbe insostenibile. E perché tale deterrenza sia credibile il mantenimento di Damasco nell'orbita sciita resta essenziale.
La REPUBBLICA - Federico Rampini : " Obama prigioniero della linea rossa"
Federico Rampini Barack Obama
L'escalation di interventi militari israeliani in Siria può preludere alla deflagrazione di un conflitto più vasto. E Obama forse maledice in cuorsuo la"red line", la linea rossa. E' l'espressione che il presidente stesso coniò: per indi-care che l'uso di armi chimiche da parte del regime di Damasco avrebbe "cambiato i calcoli strategici" dell'America. Ora quel termine viene contestato (ufficiosamente) da alcuni suoi consiglieri, che lo giudicano imprudente. Gli attacchi di Israele possono rientrarein unasorta di «guerra per procura» in cui il vero obiettivo finale è l'Iran. Intanto i colpi israeliani dal cielo indeboliscono alcune strutture militari di Basharal Assad,dunque indirettamente aiutano I'opposizio ne siria na.Svolgono un ruolo di supplenza in favore dei ribelli, mentre l'Occidente è titubante e indeciso. Da una parte Francia e Inghilterra sono favore-voliaun'azionepiù incisiva contro Assad. Dall'altra Obama, che affronta la prima grave crisi interna-zionale del suo secondo mandato, per i suoi detrattori appare «indeciso a tutto». Perfino tra i media più vicini alla Casa Bianca, si moltiplicano le analisi impietose sul comportamento del presidente. Per il New York Times, Obama «si è messo in una trappola geopolitica, la sua credibilità è in gioco, ha poche opzioni buone». Un retroscena che ricostruisce lo stesso New York Times risale all'agosto 2012. Fu allora che l'intelligence Usa ricevette i primi segnali che Assad si preparava a usare armi chimiche contro i rivoltosi, e contro la popolazione nelle zone da loro controllate. In unaseriedi riunioni con i suoi esperti della sicurezza, culminate il 20 agosto scorso. Obama conci useche doveva mandare un segnale forteperdissuadereAssad. Ma una volta in conferenza stampa, il presidente usò un termine che nessuno dei suoi gli aveva consigliato. Disse, appun to, checon I'even tua-le ricorso alle armi chimiche Assad avrebbe «varcato una linea rossa». e a quel punto i calcoli strategici dell'America sarebbero cambiati. Più di recente, nel suo viaggio in Israele a marzo, Obama ha ribadito il concetto usando un'altra frase forte: l'impiego di armi chimiche sarebbe un "game changer", una novità in grado di cambirre il gioco. I suoi consiglieri più :ritici sostengono che fu un etere. Uno statista, a maggior ragione il presi-dente degli Stati Uniti che governa la superpotenza mondiale, dovrebbe sempre conservare il massimo di flessibilità, non scoprire le sue carte, mantenersi un ventaglio di opzioni. Parlando di linea rossa, Obama ha dato un potere implicito ad Assad. L il dittatore siriano a decidere se "il gioco cambia". E una volta che lui ha varcato la linea rossa, se l'America non interviene perde la faccia, svaluta la propria credibil itàversoaltri avversari: dall'Iran alla Corea del Nord. Ora, sembra davvero che la linea rossa sia stata oltrepassata, eppure nulla accade di nuovo (se si eccettuano i blitz israeliani) per fermare il massacro della popolazione siriana. Atrocità come l'uso del gas nervino restano impunite. In urta prima fase, la cautela di Obama era motivata con l'attesa di prove incontrovertibili. Scotta il ricordo delle menzogne di George Bush sulle armi di distnrzionedi massa di Saddam Hussein, un'impostura che lasciò una macchia durevole sulla credibilità degli Stati Uniti. Maaquesto punto l'attesa di "prove certe" sembra diventata quasi un alibi. Dietro ci sono resistenze più profonde. Lanciare l'America in un intervento militare — sia pure con nobili cause umanitarie, per fermare un massacro — è una decisione tremenda, per il presidente che vuol passarealla storia come colui che chiuse le guerre avviate dalsuo predecessore.Averriportato a casa i soldati dall'Iraq, e fare lo stesso con l'Afghanistan: questi sono due atti per i quali Obama vuol essere ricordato. Non vuol essere lui ad aprire una terza guerra, a rifare"lo sceri ffo del mondo", ancora in Medio Oriente. Su questo punto il presiden te goded i un consenso bipartisan. "No boots on the ground", niente scarponi militari (americani s'intende) sul terreno, è uno slogan su cui concordano anche i repubblicani. Le perplessità di Obama si estendono però ad altre forme di intervento: dai cieli, sotto forma di no-fly zone e bombardamenti contro le forze di Assad; ovvero con fomiture di armi ai ribelli. Scotta il ricordo della primavera egiziana, dove l'appoggio Usa verso Ie rivolte antiautoritarie non ha impedito l'avvento al potere di movimenti radicali e antiamericani. Se in Siria c'è al Qaeda, e un prossimo attentato contro l'America usasse armi... "made in Usa"? II columnist Thomas Friedman ricorda un proverbio arabo: "Quando ti sei scottato la lingua con la minestra bollente, poi soffi anche sullo yogurt". E chi ci dice—osserva Friedman—che la Siria sia lo yogurt?
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Missili israeliani su Damasco. E Assad ora giura vendetta "
Davide Frattini
Davide Frattini punta il dito contro la decisione di Bibi Netanyahu di non rimandare il suo viaggio in Cina e scrive "L'unica modifica all'agenda del premier israeliano è rinviare la partenza per la Cina di due ore. Come se non fosse successo nulla,...". Non è ben chiaro per quale motivo Netanyahu avrebbe dovuto fare diversamente. Come fa notare Rolla Scolari in un articolo sul GIORNALE di oggi, ad Assad non conviene uno scontro con Israele, il regime non riuscirebbe a reggere il colpo. Israele è costantemente minacciato da qualche Paese islamico, questo non deve impedire il normale svolgimento della sua vita politica.
Ecco il pezzo:
GERUSALEMME — Pronuncia la parola «sicurezza» una sola volta in tutta la giornata, alla cerimonia per l'inaugurazione di uno svincolo autostradale attorno a Gerusalemme. È intitolato a suo padre Benzion ed è lui — proclama Benjamin Netanyahu — «ad avermi insegnato l'enorme responsabilità che abbiamo di garantire la sicurezza a questa nazione». L'unica modifica all'agenda del premier israeliano è rinviare la partenza per la Cina di due ore. Come se non fosse successo nulla, come se nella notte tra sabato e domenica i jet non avessero colpito i depositi di munizioni alla periferia di Damasco, come se lo spazio aereo sopra Haifa e il nord del Paese non fosse stato chiuso ai voli civili, come se il regime di Assad non avesse minacciato la rappresaglia e puntato i missili verso Israele.
Senza dare nessuna conferma dell'attacco, Netanyahu si è portato a Pechino e Shanghai la moglie Sarah e i figli. Cinque giorni a Oriente per parlare di affari, lasciando quelli che riguardano la Siria nelle mani di Moshe Yaalon, il ministro della Difesa. Prima di salire sull'aereo ha riunito il consiglio sicurezza del governo, due ore e mezza di discussione per definire la strategia. Verso il confine a nord vengono dispiegate le batterie di difesa del sistema Iron Dome, per il resto il messaggio da far arrivare a Damasco sembra essere: non vogliamo un'escalation.
Di conflagrazione parla Faisal al Miqdad, viceministro degli Esteri siriano, alla Cnn: «Il bombardamento è una dichiarazione di guerra». Il governo di Damasco ripete la formula del complotto internazionale: accusa Israele «di sostenere i ribelli fondamentalisti, di appoggiare i gruppi terroristi legati ad Al Qaeda», protesta alle Nazioni Unite e denuncia «numerose vittime». Il capo della Lega Araba Nabil Al Araby chiede all'Onu di «agire immediatamente per fermare l'aggressione israeliana contro la Siria». E intanto l'ex magistrato svizzero Carla Del Ponte, membro della Commissione Onu sulla Siria, ha dichiarato alla Radio svizzera: «Abbiamo raccolto testimonianze sull'uso di armi chimiche, in particolare gas nervino, ma non da parte del governo bensì da parte dei ribelli».
Una fonte da Gerusalemme spiega alla France Presse che i nuovi raid hanno colpito un carico di missili iraniani destinato ad Hezbollah. Quei Fateh-110 con una gittata sopra ai 300 chilometri che Tsahal vuole impedire finiscano al gruppo sciita libanese, è la linea rossa fissata dal governo di Netanyahu. I miliziani di Hezbollah hanno combattuto contro Israele una guerra di 34 giorni nell'estate di 7 anni fa e potrebbero incaricarsi della risposta agli attacchi. Su mandato dell'Iran: «La resistenza reagirà all'aggressione», proclama da Teheran il generale Masoud Jazayeri. Un altro ufficiale iraniano avverte: «Siamo pronti ad addestrare l'esercito siriano».
Le immagini girate con i telefonini e diffuse su Internet mostrano le esplosioni nella notte di Damasco, le colonne di fiamme si alzano sul monte Qasioun. I nuovi bombardamenti — il primo attacco è avvenuto tra giovedì e venerdì — avrebbero bersagliato un centro di ricerche dell'esercito a Jamraya (già colpito a gennaio in un raid israeliano), un deposito di munizioni e unità per la difesa anti-aerea. Testimoni da Damasco hanno detto al New York Times che sotto i missili è finita anche una caserma della Guardia Repubblicana, le truppe scelte comandate da Maher, fratello minore di Bashar Assad.
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