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La Repubblica Rassegna Stampa
05.05.2013 Dal Golan Israele controlla la Siria: no pasaran
Cronaca poco informata di Alberto Stabile

Testata: La Repubblica
Data: 05 maggio 2013
Pagina: 15
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Nel Golan minacciato dal caos carri armati e cannoni puntati: non li faremo sconfinare»

Su REPUBBLICA di oggi, 05/05/2013, a pag.15, con il titolo " Nel Golan minacciato dal caos carri armati e cannoni puntati: non li faremo sconfinare", il servizio di Alberto Stabile. Che non rinuncia ai suoi 'wishful thinking' "pensi inevitabilmente che l'esercito israeliano si stia preparando al peggio.", oppure agli errori che un giornalista serio non dovrebbe commettere "..il plateau strappato alla Siria nella guerra dei Sei giorni e da allora militarmente occupato". No, il Golan non è militarmente occupato, si informi meglio, il Golan è annesso allo Stato di Israele sin dal 1981.
Un suggerimento a Stabile, perchè non fa qualche passo più in là e visita il  versante siriano ? potrà sentire il parere di chi vive sotto il terrore di una guerra civile. Ma è più comodo stare in Israele, vero ?

Alberto Stabile         soldati israeliani sulle alture del Golan, al di là del confine c'è la Siria

Vedi la lunga fila di carri armati Markava, saldamente ancorati ai pianali di giganteschi rimorchi, risalire affannosamente le strade tortuose che portano all'altopiano del Golan, e pensi inevitabilmente che l'esercito israeliano si stia preparando al peggio. E' un'inedita inquietudine quella che corre lungo il confine solitamente tranquillo tra Siria e Israele. «La notte sentiamo le sparatorie nei villaggi siriani al di la della frontiera — dice nel giardino tutto agrumi della sua casa, Manuel Dassa, uno dei ventimila coloni che popolano il plateau strappato alla Siria nella guerra dei Sei giorni e da allora militarmente occupato — e la mattina raccogliamo i colpi che arrivano fin qui, secondo me, non soltanto per un errore di mira». Finora l'artiglieria' israeliana ha avuto l'ordine di rispondere soltanto se è chiara ed evidente lafontedelfuoco.Si contano già una trentina di questi incidenti. Ma Israele teme anche che il caos e l'ingovemabilità in cui può cadere il regime di Assad, spinga i gruppi ribelli più oltranzisti, radicalieanti-israeliani come il Fronte al Nusra, troppo vicino alla frontiera. E allora ecco costruita a tempo d i record una barriera metallica alta quasi cinque metri dotata di sofisticati sensori e sistemi di intelligence lungo tutti i 70 chilometri della frontiera. Ecco riattivate vecchie postazioni messe temporaneamente in disuso. Ecco innalzato il livello di allerta. Ecco i mezzi corazzati spinti vicino alla lineadiconfineconicannoni rivolto al nemico. «Noi vogliamo fare in modo che nessuno possa penetrare nel nostro territorio dalla Siria», ha detto il generale Gal Hirsch, che comanda un'unità specializzata nelle incursioni di lunga profondità in territorio nemico, ad un gruppo di giornalisti accompagnandoli sulla linea del fronte. «Nei boschi tutt'attorno ci sono uomini pronti a saltare ed aprire il fuoco. Vedete carri armati. Ma ci sono tante altre cose che non potete vedere». Il timore che quello che è stato per oltre 40 anni il confine più ostile, ma al tempo stesso più sicuro d'Israele possa improvvisamente infiammarsi, si fa strada fra i coloni del Golan. [quali, seda un lato vedono nella caduta di Assad il compimento della profezia che vuole tutti i dittatori condannati all'oblio, dall'altro, non possono fare a meno di riconoscere che con gliAssad. padre e figlio, saldamente in sella a Damasco, la presenza degli israeliani sul Golan, dal 73 in poi, vale a dire nei 40 anni trascorsi dopo la Guerra del Kippur, ha corso pochi rischi. I rischi, semmai, dal punto di vista dei coloni, sono venuti dal Processo di Pace. «Era il 1994 — racconta Dassa, un ebreo francese destinato in gioventù a seguire le vie dell'arte, ma approdato a metà degli anni '80 in un moshav a tre chilometri dal confine con la Siria, a coltivare frutti tropicali che esporta a migliaia di tonnellate in Europa —quandoYtshakRabin aprì il negoziato indiretto per la restituzione del Golan alla Siria. Direi che i nostri governanti non capirono che per noi vivere nel Golan era persino più importante che vivere in Israele. Dovemmo marciare con i nostri trattori fino alla casa del Primo Ministro, a Gerusalemme, per farglielo capire». Il dramma in cui èsprofondata la Siria finisce, dunque, per offrire ai coloni israeliani un'ulteriore motivazione di tipo nazionalista della loro presenza in queste terre. «Non ci piace per niente quello che sta succedendo dall'altra parte. Nessuno sa quello che può arrivare dopo Assad, la sensazione nostra è che il peggio debba ancora venire. Comunque noi da qui non ci muoviamo», afferma Debbie Attoun, una signora sui 70 anni. che è stata cittadina americana, belga e francese, prima di trovare qui a pochi chilometri dalla città fantasma di Quneitra, attraverso cui passa la linea del cessate il fuoco della guerra del '73, il suo luogo ideale. Arroccata sulle pendici del Monte Hermon, ecco Majdal Shams la capitale dell'altra metà della popolazione del Golan, quella composta da circa 19 mila drusi, i nativi di queste alture, i quali, ovviamente, guardano con maggiore partecipazione emotiva alla guerra civile che si combatte in quella che è stata e resta la loro patria. Al punto da dividersi tra oppositori e sostenitori del regime. Quella dei drusi del Golan è una condizione di sdoppiamento esistenziale comune a molte popolazioni occupate. Non sono cittadini israeliani, avendo rifiutato la cittadinanza offerta loro da Israele (che i drusi della Galilea hanno invece, accettato) ma il loro essere cittadini siriani sotto occupazione non garantisce loro praticamente alcun diritto. Piuttosto qualche favore, come continuare ad esportare le famose mele del Golan, sotto il controllo dei soldati dell'Onu, o conti-nuarea percepirela pensionedi guerra. In questi giorni di grande confusione, per loro la guerra civile siriana ha il sapore amaro di una contesa in famiglia. «il trenta per cento appoggia il regime. il 30 per cento i ribelli e il 40 percentorestaa guardarecome finirà», dice Majdi Abu As-san. un commerciante di tute da sci e articoli sportivi il cui negozio si affaccia sulla piazza centrale di Majdal Shams. «Ma in fin dei conti, il nostro peso nelle vicendesiriane è irrilevante».

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