Riportiamo da FONDAZIONECDF.IT l'articolo di Robert D. Kaplan dal titolo "La nuova mappa del potere".
estratto da un saggio di Robert D. Kaplan per Stratfor.
L’immagine più appropriata per descrivere il Medio Oriente di oggi è la mappa medievale che, come afferma lo storico Albert Hourani, risale all’epoca in cui le frontiere non erano definite in modo netto, l’influenza di ogni centro di potere non era distribuita uniformemente su di un’area chiaramente delimitata, ma tendeva a indebolirsi con la distanza dalla città in cui risiedeva. I confini legali, a cavallo dei quali si interrompeva il potere di uno stato e iniziava il potere di un altro, non esistevano quasi.
Il mondo di oggi è nuovamente composto da aree di influenza vaghe e sovrapposte (vedi mappa a lato). Sciiti e Sunniti del Libano settentrionale si massacrano su entrambi i lati del confine siriano. Il panorama militare siriano e quello libanese si stanno rapidamente fondendo. Il regime di al-Assad a Damasco non irradia il suo potere a raggiera verso i confini legali della Siria, bensì lungo il corridoio Homs-Hama dominato dai sunniti e verso la costa mediterranea tra Latakia e Tartus, dove sono stanziati gli alauiti, sostenitori del regime. Ci sono poi centinaia di piccoli gruppi e alcuni grandi gruppi di ribelli, divisi a seconda del loro orientamento filosofico e religioso, e di quello dei loro sostenitori esteri. Inoltre almeno sei diverse fazioni curde si dividono o contendono il potere in parte della Siria settentrionale e nord-orientale.
Quanto alla regione curda dell’Iraq settentrionale, ci sono due gruppi curdi principali che di fatto governano i due settori. Importanti aree sunnite dell’Iraq, in particolare la zona di Anbar, tra il fiume Eufrate e il confine siriano, sono a seconda dei casi governate in modo indipendente o non governate per niente. Neppure l’Iraq centrale e meridionale sciita è totalmente controllato dal regime di Bagdad, a maggioranza sciita, visto che anche altri gruppi esercitano un certo grado di sovranità in alcune zone (vedi mappa a lato).
Lungi dall’essere temporanea, questa situazione potrebbe durare diversi anni. Il regime di Bashar al-Assad potrebbe non sgretolarsi subito ma sopravvivere indefinitamente, come un fragile staterello, dato che riceve armi russe attraverso il Mediterraneo e aiuti iraniani attraverso il deserto iracheno.
È finita l’epoca dell’Impero Ottomano, durante la quale le varie tribù e i gruppi etnici e settari non si scontravano quasi mai per il controllo dei territori, perché il Sultano esercitava davvero la propria sovranità da Istanbul fino alle montagne del Libano e all’altopiano iraniano. È finita l’epoca coloniale, durante la quale i Britannici e i Francesi esercitavano davvero il proprio potere dalle città capitali fino ai confini legali dei loro Mandati, da poco costituiti. È finita l’epoca post-coloniale, durante la quale tiranni come Hafez al Assad in Siria e Saddam Hussein in Iraq comandavano stati di polizia entro gli stessi confini disegnati dai Britannici e dai Francesi. Presto gli unici stati in grado di esercitare una vera autorità sui propri territori nella regione potrebbero essere soltanto Israele e Iran.
Quello che ha permesso di mantenere la stabilità politica durante la maggior parte della storia del Medio Oriente è il concetto (elaborato da Ibn Khaldun, filosofo e storico tunisino del XIV secolo) di asabiyya, o gruppo solidale, spesso − ma non sempre − basato su legami di sangue, come quelli tribali e anche clanici. La stabilità dei regimi arabi, sia di quelli relativamente illuminati come quello di Harun al-Rashid all’epoca d’oro degli Abbassidi a Bagdad, sia di quelli soffocanti e tirannici come quello di Saddam 1200 anni dopo, fu sempre basata sulla asabiyya. Gli interessi della asabiyya erano legati a quelli del sovrano e quindi le élites raccolte nell’asabiyya erano disposte a difendere il regnante. La asabiyya non era democratica, ma contava spesso su di una larga base di consenso, e anche in mancanza di consenso garantiva il beneficio della stabilità. La stabilità era ottenuta anche limitando il numero di persone coinvolte in questioni politiche. Al di fuori della asabiyya, il popolo si sottometteva alle decisioni senza protestare.
Khaldun sosteneva che talora una asabiyya ne sostituiva un’altra, portando così a un nuovo regime o dinastia. Sosteneva anche che le asabiyya erano costituite dai nomadi del deserto che, insediatisi in un certo luogo, lo rendevano via via più sicuro e sontuoso. L’insediamento veniva prima o poi attaccato da gruppi esterni che ne rovesciavano l’élite, stabilendo una nuova dinastia, che rinnovava la rete dei legami di interesse e di solidarietà. Così si è sviluppata la storia del Medio Oriente. Durante l’epoca post-coloniale, i colpi di stato che a intervalli regolari avvenivano in Siria e in Iraq segnalavano il passaggio da una asabiyya all’altra, anche se la formulazione di Khaldun relativa agli spostamenti di nomadi non era più valida.
Regimi come quello di Hafez al Assad e Saddam Hussein rimasero al potere così a lungo anche grazie a tecnologie della sicurezza – come la tortura e la sorveglianza elettronica − arrivate dalla DDR durante la Guerra Fredda. Oggi l’evoluzione tecnologica – internet, telefoni cellulari e social media – ha compromesso il concetto stesso di asabiyya perché ha creato l’opinione pubblica di massa. L’asabiyya si basava sul privilegio: c’era un gruppo più importante degli altri, più importante della società in generale. Ma la società di massa, la cui nascita è stata permessa e rafforzata dalla tecnologia, ha travolto la tradizione elitaria. O forse no? Alla fine la democrazia si basa su asabiyye o gruppi di interesse, parte integrante dei partiti politici al governo. Ma in una società di massa emancipata, dove le voci sovrane sono milioni, c’è bisogno di nuove e più sofisticate categorie organizzative a cui le culture tradizionali non sono a abituate. Gli Europei hanno impiegato secoli per sviluppare i fondamenti sociali, economici e culturali di una democrazia stabile. In un certo senso è come se la storia del mondo arabo, superando il concetto di asabiyya, che funzionava bene all’interno di società autoritarie, stesse ripartendo da zero.
Democrazia non significa rovesciare dittatori e indire elezioni. La vera democrazia richiede un livello di sviluppo tale da permettere alle asabiyye di entrare in competizione tra di loro in campo politico ed economico, in modo non letale. Al momento sono invece le rivalità letali a determinare buona parte del panorama politico mediorientale: la combinazione di sangue, fede e tecnologia ha generato una mappa neo-medievale non di fiorenti centri di civiltà, bensì, nel caso della Siria e dell’Iraq, di insiemi di clan, bande criminali e caos.
Modris Eksteins, storico dell’Università di Toronto, paragona la libertà dell’età moderna, se priva di cultura e disciplina sociale, a una danza macabra. Al-Ghazali, giurista e teologo musulmano dell’XI-XII secolo, affermava che secoli di tirannia esercitata dal sultano creano meno danni di un anno di tirannia esercitata dai sudditi l’uno contro l’altro.
Per inviare la propria opinione a FondazioneCdF.it, cliccare sull'e-mail sottostante