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Il Foglio Rassegna Stampa
03.05.2013 Gran Bretagna: shari'a sempre più diffusa
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 03 maggio 2013
Pagina: 5
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «La sharia di sua Maestà»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/05/2013, a pag. I, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "La sharia di sua Maestà".


Giulio Meotti       

Roma. Di corti della sharia in Inghilterra ne esistono ottantacinque. Poi c’è una vasta rete di “consigli” informali islamici, che operano esternamente alle moschee, occupandosi di divorzi e di custodia dei figli. Nessuno ne conosce il numero reale. Le corti operavano a porte chiuse, inaccessibili a osservatori esterni indipendenti. Fino a oggi: una giornalista della Bbc è riuscita a entrarvi per filmare questo sistema legale parallelo alla Common Law. Ne è uscito “The secrets of sharia courts”, un magistrale documento sull’Inghilterra alla prova con le sfide dell’integrazione e del multiculturalismo. Alla Camera dei Lords è stato introdotto un disegno di legge, promosso dall’ex vescovo anglicano Michael Nazir- Ali, che cercherà di regolare l’anarchia delle corti, che contemplano, tra l’altro, poligamia e mutilazione genitale, ripudio della moglie (noto come “talaq”) e prevenzione dei matrimoni misti. Giudici e corti, formati all’interno di moschee, centri islamici e scuole, hanno già emesso decine di migliaia di sentenze relative allo stato civile e famigliare dei musulmani inglesi. L’Alta corte britannica di recente ha sentenziato, nel caso di una coppia di ebrei ortodossi, che le corti religiose hanno il diritto di gestire i casi di divorzio, aprendo così direttamente alla possibilità di una legislazione autonoma delle corti della sharia.
Il film della Bbc ha documentato gli abusi a cui le donne inglesi sono sottoposte in queste corti. In un caso, a Leyton, una donna di nome Sonia racconta di aver ottenuto l’affidamento dei figli in un processo civile, perché il marito era violento. Ma quando si è rivolta alla corte islamica locale perché osservante, il giudice ha affidato i bambini al marito, come vuole il Corano. E la donna ha assecondato la seconda sentenza. Il primo tribunale islamico in Gran Bretagna fu istituito nel 1982 a Leyton, a est di Londra, con il nome di “Consiglio della sharia islamica” (gli anni Ottanta sono stati il decennio della trasformazione del Regno Unito in laboratorio multiculturale). Il segretario generale è Suhaib Hasan, membro del Consiglio europeo della fatwa, organismo presieduto da Youssef Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli musulmani in Europa. Ripreso dalla telecamera in un filmato segreto della Bbc, Hasan dice a una donna che, nel caso il marito la maltratti fisicamente, lei non deve rifugiarsi in un istituto inglese: “E’ una pessima scelta”, e comunque “non devi andare contro l’islam”. In Inghilterra l’evoluzione di questo sistema giudiziario “alieno” è stata possibile grazie al British Arbitration Act, che classifica le corti della sharia come “tribunali arbitrali”, poiché nel sistema di Common Law britannico è possibile che le parti in causa decidano di affidare la soluzione di una controversia a un terzo, detto “arbitro”.

La previsione dell’arcivescovo

Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, e il presidente della Corte suprema, Lord Phillips, hanno auspicato che il diritto inglese “inglobi” alcuni elementi della sharia. Ma se la baronessa Sayeeda Warsi, esponente conservatrice di fede islamica, ha avvertito che sotto i nostri occhi è in corso un “apartheid legale”, l’ex ministro della Giustizia Jack Straw ha detto che è in pericolo “il primato della legge dello stato”. Secondo Williams invece “la cittadinanza in una società secolarizzata non deve significare l’abbandono della pratica religiosa”. Come denuncia il Daily Telegraph dopo la diffusione del filmato della Bbc, i tribunali islamici “si fondano sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base delle democrazie europee”. Per dirla con Denis MacEoin, autore di un recente report sulle corti islamiche su incarico della fondazione Civitas, “secondo la sharia le donne non sono uguali e un bambino maschio appartiene al padre dopo l’età di sette anni”. Ma c’è anche chi, come John Bowen sul Guardian, difende le corti da posizioni progressiste, dicendo che mettono ordine a una disuguaglianza che esisterebbe comunque. Eppure l’inchiesta della Bbc sembra testimoniare il contrario, la disuguaglianza trova nelle corti una sua legittimazione ulteriore: a Nuneaton l’eredità di un padre non è stata divisa equamente tra le figlie femmine e i due maschi, sempre in nome della sharia. In sei casi di violenza domestica, nei quali le donne denunciavano maltrattamenti da parte dei mariti, i giudici si sono espressi in termini estremamente miti, condannando gli uomini a seguire corsi per la “gestione della rabbia”. Le donne hanno ritirato le denunce presso la polizia. “La famiglia è più importante della polizia”, dice un’anziana donna esperta di legge islamica a una ragazza venuta a denunciare abusi da parte del marito. Inoltre, poiché il matrimonio siglato dalle corti non è riconosciuto dalla legge, i contratti islamici consentono a un uomo di convivere con più donne. Si chiama “via inglese alla poligamia”. Il decano delle corti filmato dalla Bbc, Suhaib Hasan, lancia una previsione: “La sharia viene applicata ampiamente in Gran Bretagna tutti i giorni. Anche se la fustigazione degli ubriachi e dei fornicatori sembra orribile, una volta applicata diventa un deterrente efficace per l’intera società. Per questo il tasso di criminalità in Arabia Saudita è estremamente basso”.

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