Siria: Assad supera la 'linea rossa' di Obama. Ci saranno conseguenze ? Commenti di Redazione del Foglio, Mattia Ferraresi
Testata: Il Foglio Data: 30 aprile 2013 Pagina: 1 Autore: Redazione del Foglio - Mattia Ferraresi Titolo: «Israele non spinge Obama a intervenire in Siria, ma rivede i suoi calcoli - Strategie e fantasmi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/04/2013, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " Israele non spinge Obama a intervenire in Siria, ma rivede i suoi calcoli ", l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Strategie e fantasmi ". Ecco i pezzi:
" Israele non spinge Obama a intervenire in Siria, ma rivede i suoi calcoli"
Milano. La radio dell’esercito di Israele sostiene che il premier, Benjamin Netanyahu, ha imposto ai suoi ministri il silenzio sulla questione siriana, ma continuano a sfuggire dichiarazioni che sono interpretate sempre con un unico obiettivo: capire quanto è solida l’alleanza con Washington. Il presidente Barack Obama ha stabilito una “linea rossa” in Siria – l’utilizzo di armi chimiche in Siria: ieri c’è stata la notizia di un altro attacco chimico, a Saraqib, nella provincia di Idlib – e sono stati proprio gli israeliani a costringere gli americani a uscire allo scoperto, quando un generale dell’intelligence militare israeliana, Itay Bron, ha detto che Gerusalemme ha le prove dell’uso di armi chimiche in Siria. Da tempo Israele fa pressioni sulla comunità internazionale riguardo all’arsenale chimico di Damasco, e sempre la radio dell’esercito di Gerusalemme domenica ha detto: “L’esitazione americana negli ultimi giorni ha causato grande preoccupazione in Israele”. Ma domenica a New York, a una conferenza sponsorizzata dal Jerusalem Post, Yuval Steinitz, ministro degli Affari strategici e d’intelligence di Israele, ha specificato: “Non abbiamo mai chiesto agli Stati Uniti di agire militarmente in Siria, né li abbiamo mai incoraggiati a farlo”. E’ ben diverso da quel che avviene con l’Iran, per intenderci, e anche Gilead Sher, che era a Camp David nel 2000 assieme a Ehud Barak di cui è stato chief of staff, dice al Foglio: “Non andiamo di fretta verso un confronto, Israele prende prima in considerazione soluzioni pacifiche”. Anche sulla “linea rossa” Sher è cauto: “Ci sono diversi gradi di utilizzo di armi chimiche e non sappiamo quello che è successo esattamente e quali siano i diversi gradi delle ‘red line’ americane”. Tra le 50 sfumature di rosso delle linee di Obama, Israele si mostra riluttante, come ha spiegato Jacques Neriah, del Jerusalem Center for Public Affairs, in un paper recente: “Come il resto dell’occidente, Israele ha adottato una tattica ‘wait and see’, scandita da dichiarazioni con cui ribadisce che non sarà tollerato alcun cambiamento degli equilibri di potere nella regione”. Israele è preoccupato per il trasferimento di armi a Hezbollah. Prima che ieri la notizia diventasse l’attentato fallito a Damasco al premier siriano, Wael Nader al Halqi, il quotidiano israeliano Maariv dava voce ai ribelli siriani del’Esercito libero secondo i quali alcuni jet di Gerusalemme avrebbero colpito un sito di armi chimiche vicino alla capitale siriana: la difesa aerea di Bashar el Assad avrebbe risposto cercando di colpire gli aerei israeliani, ma senza successo. I ribelli hanno pubblicato un video in cui si vede una colonna di fumo salire da un minicompound a Damasco, ma non ci sono né conferme né smentite della versione dei ribelli. La notizia è stata accolta con cautela: i ribelli sono interlocutori difficili da interpretare, tante sono ormai le infiltrazioni di al Qaida e di gruppi che perseguono interessi diversi da quelli del popolo siriano che, dopo 70 mila morti, vorrebbe veder destituito il suo dittatore. Ma Israele ha già colpito in Siria, al confine con il Libano, a febbraio, per fermare il passaggio di armi a Hezbollah, che è, assieme a Teheran, l’alleato principale di Assad. In quella operazione, probabilmente fu ucciso anche il generale Hassan Shateri, che era stato mandato dall’Iran in Siria per aiutare il regime (questa ricostruzione è controversa, forse il generale aveva una doppia identità come è stato spiegato su queste colonne). Il calcolo di Gerusalemme finora è stato questo: ogni cambiamento nella regione porta maggiori pericoli per Israele, come ben dimostra il caso egiziano, per cui è meglio favorire un sostanziale status quo. Nessuno a Gerusalemme ama Assad, ma il timore che la Siria diventi un paradiso di al Qaida, mentre i salafiti stanno conquistando gli altri territori confinanti con Israele, come Gaza e il Sinai, congela ogni idealismo sul “regime change”. Domenica c’è stato un meeting di quattro ore dei ministri israeliani che si occupano di diplomazia e sicurezza: si è parlato, per la prima volta, esclusivamente di Siria perché alcuni sono convinti che il calcolo finora adottato non sia più corretto. Uno stato islamista al confine non è auspicabile, ma ancora meno lo è il rafforzamento dell’asse Damasco- Teheran-Hezbollah, con quest’ultimo a fare da padrone sul campo (e quindi con le armi) contro i ribelli (per oggi è previsto un discorso in tv del suo leader, Hassan Nasrallah). Ephraim Kam, esperto di sicurezza all’Institute for National Security Studies di Tel Aviv, conferma al Foglio: “A Israele non importa tanto l’uso di armi chimiche in sé, ma il trasferimento di armi chimiche a organizzazioni terroristiche. Vuole tranquillità lungo il confine e che Hezbollah non sia armato, ha priorità di sicurezza differenti dagli Stati Uniti”. L’ex ministro della Difesa Binyamin Ben-Eliezer ha ribadito che “il processo di trasferimento delle armi a Hezbollah è iniziato”: secondo Haaretz, la strategia di Israele sarà a breve rivista. E un “senior official” di Gerusalemme ha cancellato con una sola dichiarazione i sofismi di Obama: “C’è materiale significativo sull’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito di Assad. Tutti i servizi segreti ne sono a conoscenza. L’intelligence è stata aggiornata. Nessuno ha più dubbi in materia”.
Mattia Ferraresi - " Strategie e fantasmi "
Mattia Ferraresi Barack Obama
New York. Nell’abisso di una sanguinosa guerra civile corredata dai tentennamenti di Washington e dalle interessate divisioni della comunità internazionale ciascuno vede riflessi i propri fantasmi. Un dittatore che usa armi chimiche contro il proprio popolo in rivolta ricorda inevitabilmente il Saddam Hussein poi detronizzato da Bush anche con il sostegno intellettuale e ideologico del mondo liberal; il presidente indeciso che fissa “linee rosse” superate le quali l’intervento militare non può più essere rimandato – se non al prezzo di tradire la propria parola e i propri ideali – e poi si ricrede, si cautela con sotterfugi linguistici, rimanda ad libitum, guida “from behind” e dice che servono altre prove, ricorda più Clinton sul genocidio in Ruanda. Allora l’America è rimasta a guardare e chi chiedeva che l’Amministrazione si schierasse dalla parte giusta della storia ora ha un brivido quando sente la Casa Bianca dire che le agenzie hanno stabilito la presenza di armi chimiche in Siria con “vari gradi di certezza”. Anne-Marie Slaughter, ex direttrice della pianificazione al dipartimento di stato, professore a Princeton e presidente della New America Foundation, ricorda un famoso botta e risposta fra un giornalista della Reuters e la portavoce del dipartimento di stato Christine Shelly quando in Ruanda il massacro fra Hutu e Tutsi aveva già causato circa 100 mila morti. Shelly si era avventurata nella vacua distinzione fra “genocidio” e “atti di genocidio” per affrancare formalmente gli Stati Uniti dall’obbligo di un intervento quando il cronista l’ha fulminata: “Quanti atti di genocidio ci vogliono per fare un genocidio?”. Lei aveva abbozzato: “Non sono nella posizione per rispondere a questa domanda”. La Casa Bianca ha ammesso un generico “utilizzo” di armi chimiche in Siria, ma non abbastanza per far scattare il cambio di atteggiamento promesso a parole. Slaughter la mette giù in modo esplicito: “Signor presidente, quanti utilizzi di armi chimiche servono per varcare la linea rossa delle armi chimiche? Lei dovrebbe essere nella posizione per rispondere a questa domanda”. Barack Obama ha detto che l’uso di armi chimiche contro i ribelli “cambierebbe i miei calcoli in modo significativo”, ma per Slaughter “cambiare è difficile” dopo che il presidente ha rinunciato fin qui ad ascoltare chi nel team della sicurezza nazionale lo invitava a considerare un intervento militare. Per Obama le vie preferenziali per affrontare il dossier siriano sono quelle dell’assistenza non militare ai ribelli e della pressione diplomatica sulla Russia per cambiare i rapporti di forza al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Se il destino è quello di intervenire, Obama vuole evitare a tutti i costi un’iniziativa unilaterale che non sia benedetta dal Palazzo di vetro. Ma le vie di Obama si sono mostrate in realtà vicoli ciechi, espedienti per prolungare l’inazione e Slaughter è soltanto il capofila di una schiera di policy maker e intellettuali che da sinistra guardano di traverso i calcolati tentennamenti del presidente. Perfino il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ieri ha annunciato che gli ispettori onusiani fermi a Cipro inizieranno la missione a lungo rimandata nel giro di un paio di giorni, è apparso per un momento un granitico decisionista se messo a confronto con il senso di stasi politica che promana dalla Casa Bianca. Il segretario annunciava i progressi – tutti da verificare – nelle indagini mentre dalla Siria arrivava un altro resoconto di un attacco con le armi chimiche. E’ inevitabile che dal passato si materializzino gli spettri delle decisioni prese e non prese dagli Stati Uniti di fronte a crisi di proporzioni siriane. Oltre un anno fa 56 intellettuali hanno scritto una lettera a Obama per invitarlo a considerare un’operazione in Siria: “L’America non può delegare le proprie responsabilità strategiche e morali”. I firmatari non erano soltanto falchi conservatori, ma anche democratici e liberal che come Slaughter considerano Washington un attore responsabile quando il mondo si trova di fronte a tragedie umanitarie, politiche e strategiche come quella in Siria. A furia di evocarli, i fantasmi assaliranno anche Obama.
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