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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.04.2013 Dalla Siria all'Iraq, al Qaeda sempre più forte
commento di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 aprile 2013
Pagina: 20
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Da Bagdad ad Aleppo: la terra libera dei qaedisti»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/04/2013, a pag. 20, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Da Bagdad ad Aleppo: la terra libera dei qaedisti".


Lorenzo Cremonesi       al Qaeda

Trecento morti in due settimane in Iraq. Il premier iracheno Al Maliki che denuncia: «Siamo vicini alla guerra civile». Strage continua e senza possibilità di un bilancio veritiero in Siria. Le «squadracce» di Al Qaeda sono sempre più forti e sempre più in grado di controllare un'area vastissima che va dalla periferia di Bagdad fino ad Aleppo. Una grande regione semi-autonoma che valica il confine tra i due Paesi ed è destinata ad alimentare il lacerante braccio di ferro cresciuto all'interno dell'Islam dopo l'arrivo delle truppe americane dieci anni fa a Bagdad. È la versione in chiave contemporanea dell'antico scontro teologico e sociale tra sciiti e sunniti, alimentato adesso dalla dinamica sempre più sanguinosa della «primavera araba» in Siria e dalla politica settaria del premier sciita iracheno Nouri al Maliki, stretto alleato dell'Iran e palesemente incapace di assecondare le aspirazioni della minoranza sunnita.
Si spiega così la recrudescenza di gravissimi attentati in Iraq, che durante le ultime due settimane, in concomitanza delle elezioni provinciali del 20 aprile, hanno causato oltre 300 morti. Un'ondata di violenze che ricorda da vicino le stragi e il terrorismo della «guerra civile» tra il 2005 e 2007, quando la media mensile dei morti superava quota 3.000, e costrinse Washington quasi a raddoppiare la presenza delle proprie truppe per cercare di controllare le piazze. La grande differenza ora è che da due anni gli americani si sono ritirati (e stanno ben attenti a non farsi trascinare militarmente nello scenario siriano), con la conseguenza che sono gli attori regionali ad essere maggiormente coinvolti: Iran, Hezbollah libanese, governo Maliki e truppe lealiste della dittatura alawita di Bashar Assad a puntello del campo sciita, contro Arabia Saudita, Qatar, Turchia in sostegno dell'universo sunnita.
Ma la novità sta adesso nel consolidamento dell'alleanza politica e militare tra qaedisti iracheni e le brigate sunnite islamiche in Siria, di cui la Jabhat al Nusra («Fronte di Sostegno», il gruppo armato operante nella regione di Aleppo che annovera tra i suoi ranghi anche volontari delle brigate jihadiste internazionali e apertamente legato all'ideologia di Al Qaeda) costituisce la formazione meglio equipaggiata e più nota. Circa un mese fa i due fronti hanno ufficialmente annunciato di essersi «assorbiti» gli uni negli altri. Pochi giorni dopo quell'accordo, una trentina di militari alawiti dell'esercito siriano sconfinati in territorio iracheno, incalzati dalle brigate rivoluzionarie che avevano conquistato la regione petrolifera a est della città di Dayr az-Zawr, sono stati a loro volta massacrati dai qaedisti iracheni in un paio di agguati ben preparati contro il loro convoglio che cercava di rientrare in Siria da un altro punto della frontiera. Il meccanismo delle alleanza non beneficia comunque solo i sunniti. Da tempo gli americani e la Nato accusano Maliki di facilitare il ponte aereo di armi iraniane e russe ad Assad via Bagdad. E negli ultimi giorni pare che l'aviazione siriana lealista abbia utilizzato le basi irachene per attaccare le forze ribelli alle spalle.
Tuttavia la nuova dimensione territoriale dello scontro pare davvero sconvolgere i vecchi equilibri del Medio Oriente così come si erano consolidati dalla fine della Prima guerra mondiale. Già da gennaio ormai le truppe agli ordini del governo Maliki non riescono più a controllare le province occidentali del Paese. Quella che potremmo definire la nuova regione semi-autonoma fondamentalista sunnita si estende dai quartieri occidentali di Bagdad, occupa la regione di Al Anbar, le città di Falluja e Ramadi, per poi estendersi in Siria sino ad Aleppo, Hama, Homs e confinare con le tradizionali enclave alawite per eccellenza che fanno capo alla fascia costiera di Latakia, Tartus e Qardaqha, il villaggio natale del clan Assad. Una deriva destinata a trascinare i due Paesi in una spirale di violenze. Ma è proprio il carattere profondo, identitario e radicale del conflitto a far temere il peggio. Non risparmia neppure i media: proprio ieri al Maliki ha ordinato la chiusura di una decina di tv considerate filosunnite, tra cui Al Jazeera. Ultimamente l'intellettuale iracheno Kanan Makiya sul New York Times ha ricordato che la rivoluzione siriana ha le sue radici nell'invasione dell'Iraq nel 2003. E lo storico Fouad Ajami nel suo libro da poco pubblicato, La ribellione siriana, ha spiegato quanto fosse inevitabile che la maggioranza sunnita si rivoltasse contro la minoranza alawita.

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