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La Stampa Rassegna Stampa
28.04.2013 Siria: le armi chimiche ci sono, ma Cia e Fbi non le vedono
Cronaca di Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 28 aprile 2013
Pagina: 21
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «Siria fuori dai radar Usa,la Cia dei droni è senza spie»

Sulla STAMPA di oggi, 28/04/2013, a pag.21, con il titolo "Siria fuori dai radar Usa, la Cia dei droni è senza spie", Francesco Semprini intervista Robert Baer, ex agente Cia, che accusa gli Usa di grave latitanza nelle vicende siriane.

Robert Baer

L’ indecisione di Washington sulla Siria è dovuta al fatto che «gli Stati Uniti non vogliono e non possono permettersi di rimanere coinvolti in un altro conflitto», oltre alla «completa latitanza» dell’attività di intelligence americana in quel Paese».

L’analisi è di Robert Baer, ex agente operativo della Cia in Medio Oriente, autore di libri divenuti bestseller e a cui è ispirato il protagonista di Syriana, il film interpretato da George Clooney. «L’attività di informazione degli Usa –dice l’ex 007 – sta attraversando un momento di generale difficoltà, come conferma l’attentato di Boston».

Pensa che Assad abbia utilizzato le armi chimiche?

«Le prove raccolte da alcuni Paesi europei non lascerebbero spazio a dubbi, del resto la Siria dispone sia di Sarin che di VX. Credo abbia usato il primo in piccole dosi controllate, i cui effetti sono comunque letali».

Non crede che anche alcune fazioni dei ribelli lo abbiano fatto?

«No, ma temo che se il conflitto proseguirà la guerriglia riuscirà a mettere le mani su una parte dell’arsenale chimico e il rischio è che possa essere utilizzato dalle fazioni più estremiste».

Il governo Usa sembra arrancare sulla questione siriana...

«C’è da dire che gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di intromettersi negli affari della Siria. Non ci sono uomini, non ci sono risorse, e non c’è la volontà di affrontare un altro conflitto dopo Afghanistan, Iraq e Libia. La Siria rischia di essere rasa al suolo prima che gli americani entrino nel Paese».

Quindi non gravita nell’orbita Usa?

«Anche da un punto di vista di intelligence, non ci sono operativi sul suolo siriano, la Francia ne ha qualcuno così come l’Inghilterra, perché ci sono ragioni storiche. La gran parte delle informazioni in possesso degli americani provengono da analisti e ribelli, e da sole non possono essere considerate affidabili. Negli ultimi 12 anni la Siria è stata fuori dai radar dell’intelligence Usa che era concentrata altrove. Ci sono legioni di operativi che possono dire cosa accade in Iraq e Afghanistan, nulla sulla Siria».

Quindi la Cia è di fatto assente?

«Ci sono contractor, giovani funzionari, ma non ci sono agenti di livello, preparati e all’altezza di quello specifico scenario».

È un nodo che riguarda solo la Siria?

«C’è una tendenza pericolosa nella comunità di intelligence americana, ovvero ci si dedica troppo ai droni e all’analisi dei dati, a supercomputer, intercettazioni dei social media e algoritmi. In una guerra “opaca”, dove Internet e cellulari sono fuori uso, tutto questo non serve a molto».

Servono spie « vecchio stile»?

«Un cambiamento è necessario: anziché parcheggiare migliaia di funzionari di fronte a pareti di schermi per guidare i droni, è necessario andare sul campo, contattare fonti e creare cellule operative, in particolare ad Aleppo. Questo è quello che farà la differenza tra la guerra e la pace, o per l’intelligence Usa ci saranno ancora fallimenti».

A cosa si riferisce?

«Boston e la Siria sono collegati tra loro, fanno parte della jihad globale, e al contempo sono due volti dello stesso problema, le lacune dell’intelligence americana. Washington era stata avvertita da Mosca sui rischi posti dagli attentatori ceceni dopo il viaggio in Dagestan. I servizi russi non sono inclini a passare informazioni agli Usa, anche per la scarsa simpatia che c’è tra gli apparati. Ma quando lo fanno è il caso di dare loro ascolto».

Sembra il film dell’11 settembre...

«Allora indicazioni arrivarono dalla Malesia dove gli attentatori si riunirono poco prima, Cia e Fbi le ignorarono».

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